L’Europa è in fiamme, dopo l’occupazione di Polonia, Norvegia e Danimarca le truppe tedesche il 10 maggio invadono Olanda, Belgio e Lussemburgo, superando le Ardenne aggirano la Maginot. la Francia si avvia verso la sconfitta. Hitler appare imbattibile. In Italia il Fascismo è al l’apice del consenso dopo la proclamazione dell’Impero con le conquiste etiopiche. La povertà delle masse agricole rimane comunque inalterata, gli operai nel Nord lavorano duramente per un salario che rimane da fame. Cresce la classe media legata agli apparati amministrativi e a Roma coi suoi ministeri. Dopo le leggi fascistissime ogni opposizione sarà stata espugnata a forza di prigioni, confini, uccisioni (Matteotti, Gobetti, Amendola, i fratelli Rosselli, Gramsci).
In questo inferno della guerra che presto sconvolgerà l’intera Europa e il mondo, il 17 maggio ha inizio il ventottesimo Giro d’Italia, favorito per la vittoria è Bartali che lo ha già vinto due volte. Uno dei suoi gregari alla Legnano si chiama Fausto Coppi, 20 anni. Alla prima tappa Bartali cade per colpa di un cane nella discesa della Scoffera e s’incrina il femore. I medici consigliano riposo assoluto ma Gino non abbandona il giro, sebbene menomato. Per lui il giro parte malissimo.
Durante l’ottava tappa, Coppi viene investito dal camioncino della Gloria, la bici è distrutta, Mario Ricci gli dà la sua, ma è troppo piccola. Quando gli danno quella giusta rientra, ma al traguardo perde 3’08”. Favalli uno dei favoriti, lascia la maglia rosa e la corsa. La leadership finisce sulle spalle di Enrico Mollo. Coppi, quarto in classifica, è comunque il primo del team Legnano.
Il 27 maggio inizia la scalata di Coppi sull’Olimpo del ciclismo, scatta ai piedi del Passo della Consuma, guadagna minuti, Bartali guida gli inseguitori, Fausto viene ripreso a 9 km dal traguardo di Firenze. La tappa va ad Olimpio Bizzi su Bartali, Coppi è però terzo in classifica a 2’42” da Mollo. C’è il giorno di riposo, il 29 maggio riprende la sfida.
Al via della 11 tappa Firenze-Modena, 184 km, Enrico Mollo veste la maglia rosa, Bartali e Valetti, vincitori degli ultimi quattro Giri, sono lontani in classifica generale. Sulle Piastre attacca Ezio Cecchi, minuto scalatore toscano. Sull’Oppio Bartali fora e resta attardato. Coppi attacca sull’Abetone, per quella che sarà una fuga di oltre 100 km. fino all’arrivo, scollina a pochi secondi da Cecchi e lo salta in discesa.
Sull’Abetone la maglia rosa Mollo transita con 1’ e 55 di ritardo insieme ad un gruppetto di nove corridori, a 4 minuti passano Bartali, Magni e Valetti, il vincitore delle due precedenti edizioni del Giro.
Coppi passa sul Barigazzo con oltre tre minuti di vantaggio, il percorso porterà poi a affrontare la salita delle Piastre, 8,5 chilometri con pendenza media del 6,8%, il pių facile Passo dell’Oppio (3 chilometri) e il leggendario Abetone, 1.388 metri di altezza e 17,4 chilometri di lunghezza, lo attende ancora il Barigazzo, 14 chilometri per tornare a quota 1.221 metri. Si prosegue poi fra discese e lievi salite sino a Monfestino, prima di puntare verso Maranello, Formigine e Modena. Coppi attacca e supera via via tutti i rivali, raggiungendo Bizzi, che faceva parte del gruppo maglia rosa sull’Abetone. Al traguardo di Modena Coppi chiuderà con 3’ e 45” di vantaggio sui due inseguitori, conquistando la sua prima maglia rosa.
La via della vittoria verso Milano è però piena d’insidie, a Forlì Coppi rompe il manubrio, perde 2′ minuti e li recupera. Nella tappa Dell’Abbazia-Trieste cade e viene attaccato da Vicini e Bizzi, perdendo 2′ minuti in classifica. È in questo frangente che Bartali, su pressione della squadra, lo aiuta a salvarsi dal tracollo, lo fa grazie alla sua maggiore esperienza, ma anche perché in fondo ammira il suo miglior gregario, sa che sarà in un futuro più che prossimo il suo più temibile avversario eppure lo rispetta, Coppi gli piace perché non si monta la testa, è uno schivo, umile, parla poco, quando sorride il sorriso ha una vena di tristezza che gli deriva dall’infanzia grama, sa che proviene dalla fame e dalla penuria come lui stesso.
Il 5 giugno, nella Pieve di Cadore-Ortisei, Coppi e Bartali vanno in fuga, il connubio sorprende i giornalisti al seguito, si danno il cambio, nessuno fa il furbo, il ritmo del tandem li fa sentire invincibili, Fausto però ha un momento di difficoltà, dice che non ce la fa, i muscoli non gli rispondono, va in affanno, Gino lo sprona, lo ingiuria, prende della neve, gliela butta addosso purché si riprenda, decide di tirare lui la fuga, il toscano riesce a portarselo dietro, voltandosi ripetutamente verifica che non rimanga staccato, scollinano insieme sul Pordoi e sul passo Sella, Mollo è finalmente staccato. Ad Ortisei Bartali vince la tappa, ma Coppi, grazie al suo capitano, ora ha in mano il Giro, un sogno che era nel cassetto ora è a portata di mano e ciò grazie al suo più acerrimo, ostico avversario di sempre negli anni a venire, Gino Bartali.
Il 9 giugno Coppi viene celebrato all’Arena di Milano. Il giorno dopo la festa
prevista in suo onore di è annullata, qualcosa di grave aleggia nell’aria, a Roma il duce Benito Mussolini si affaccia dal balcone di Palazzo Venezia e dichiara guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. La favola del Giro, la Corsa Rosa riprenderà dopo cinque edizioni cancellate, nel 1946. La favola di Coppi si interrompe qui. Per lunghi cinque anni di anonimato.
Fausto Coppi nasce a Castellania, in provincia di Alessandria, il 15 settembre 1919, quarto dei cinque figli di Domenico Coppi e di Angiolina Boveri, proprietari di un fondo coltivato a granturco, ulivi e vite. L’orto e la cantina per fare il vino e l’olio, l’aia con le galline, la stalla. Fausto inizia a lavorare presto, dopo aver rinunciato alla scuola, farà il garzone in una salumeria a Novi Ligure, le consegne le effettua in sella alla bicicletta, poi torna a casa sempre in sella alla bici, consegna il guadagnato alla madre. Spesso deve aiutare il padre nel lavoro nei campi.
A quindici anni, grazie all’aiuto dello zio marinaio nel Golfo Persico anche lui di nome Fausto, compra una Maino per 520 lire, con questa bici fa il suo esordio nelle corse non ufficiali. A Novi Ligure viene segnalato a Biagio Cavanna, il mitico massaggiatore di Costante Girardengo e di Learco Guerra, entra a far parte del suo team con sede a Pozzolo Formigaro. Cavanna, che sarà affetto da cecità dal 1938, sarà il primo a rendersi conto delle potenzialità del giovane ciclista, nonostante la magrezza e una struttura ossea molto fragile causata dalla denutrizione e forse dalla pellagra, capisce al volo che Coppi ha tutto quanto serve per correre da professionista, notevole agilità muscolare, gambe lunghe e sottili, un sistema endocrino iper efficiente, un sistema cardio-respiratorio fuori dal comune, soprattutto una volontà di emergere senza paragoni e l’umiltà di chi vuole imparare, di chi non alza mai la cresta. Cavanna esamina i suoi atleti tastando reni, bicipiti e quadricipiti, la base del collo, come se là risiedesse il santo Graal del corridore. Sarà lui a lanciare l’Airone sul palcoscenico globale. Ma la cosa richiede tempo, tempo, pazienza e dedizione.
Coppi disputa la sua prima gara ufficiale il 1º luglio del 1937, da non tesserato, sul circuito di Castellania, ma è costretto al ritiro per una foratura. Compra, con 600 lire, una nuova bicicletta, una Prina realizzatagli su misura da un artigiano di Asti. Centra la sua prima vittoria nel luglio del 1938, da dilettante, sul circuito di Castelletto d’Orba; vince anche ad Alessandria, al Trofeo Gigi Agosta.
Nel 1939 vince il Giro del Penice, la Coppa Canepa a Genova, il Circuito di Susa, il Giro del Casentino, il Premio di Varese e il Circuito di Varzi. Il 9 aprile debutta nelle gare per professionisti, corre il Giro della Toscana, Il 28 maggio partecipa alla Coppa Città di Pavia; in quell’occasione Cavanna raccomanda Coppi a Giovanni Rossignoli della Bianchi, gli dice ‘osserva bene Coppi. Assomiglia a Binda’ vaticinando la sua vittoria nella corsa che infatti Coppi vincerà poco dopo.
Il 4 giugno seguente Coppi si classifica terzo al Giro del Piemonte, a 3’31″dal vincitore Gino Bartali, viene notato da Eberardo Pavesi, direttore sportivo di Bartali alla Legnano. È l’inizio della leggenda. È secondo alla Coppa Bernocchi, terzo al Gran Premio Stampa-Fiat e al Giro della Provincia di Milano.
Nell’inverno 1939 Coppi, firma a Milano il contratto con la Legnano di Pavesi, con un ingaggio mensile di 700 lire. Ora è un professionista a tutti gli effetti. Non deve più fare consegne. In marzo partecipa alla Milano-Sanremo, contribuendo al successo del capitano Bartali. In maggio il suo esordio al Giro d’Italia ancora per poco da gregario, un Giro che sarà suo. Il Giro che lo farà conoscere in tutta Italia.
Il 7 novembre 1942, Milano vive sotto i bombardamenti quotidiani, sulla pista del velodromo Vigorelli, Coppi compie l’impresa, coprendo i 115 giri e 151 metri col nuovo record mondiale, 45,871 km in un’ora, 104 metri in più del primato di Archambaud. Il fascismo lo acclama come l’emblema del risorgere della stirpe italiana, destinata ad erompere vincitrice sul palcoscenico della Storia. Parole vane ed altisonanti che Fausto non capisce, il padre socialista non rinnegato lo avverte di non farsi immischiare.
Fausto Coppi, caporale del 38º Reggimento di fanteria della Divisione “Ravenna”, riceve l’ordine di partire per la Tunisia ma il 13 aprile 1943 il campione viene catturato dagli inglesi a Capo Bon; il 17 maggio seguente viene imprigionato nel campo di concentramento di Medjez el Bab, in Tunisia, passando poi al campo di Blida, vicino ad Algeri.
Verrà liberato il 1º febbraio 1945, quando in qualità di automobilista aggregato alla RAF in Italia, viene mandato a Napoli, ora sotto il controllo degli Alleati. Dopo una sottoscrizione pubblica indetta da Gino Palumbo sul Corriere dello Sport, un falegname di Somma Vesuviana gli regala una Legnano da corsa, alla fine di aprile, su quella Legnano, Coppi torna a casa percorrendo 800 chilometri in cinque giorni, da Caserta a Castellania. Il 22 novembre sposa Bruna Ciampolini a Sestri Ponente. Da lei ha la figlia Marina che vedrà la luce l’11 novembre 1947.
A inizio stagione nel 1946 Coppi lascia la Legnano di Pavesi e Bartali e firma per la Bianchi, squadra di cui sara l’emblema per tre lustri.
Il 1949 è l’anno della definitiva consacrazione internazionale per Coppi. Il 19 marzo vince per la terza volta la Milano-Sanremo: quel giorno stacca gli avversari sul Capo Berta e arriva al traguardo con 4’17” sul gruppo dei primi inseguitori. Dopo il secondo posto al Giro del Piemonte, l’8 maggio si aggiudica in solitaria anche il Giro di Romagna con 3’50” su Fiorenzo Magni e ben 10’30” su Gino Bartali.
Al Giro d’Italia parte super favorito, vince in volata la quarta tappa, la Cosenza-Salerno. È il protagonista nella frazione da Bassano del Grappa a Bolzano, attaccando a 90 km dall’arrivo e superando in solitaria i tre passi di Pordoi, Campolongo e Gardena: a Bolzano precede di 6’58” la maglia rosa Adolfo Leoni, terzo il rivale Bartali.
Otto giorni dopo, il 10 giugno 1949, firma quella che resterà la sua impresa più leggendaria, 192 chilometri di fuga nella tappa Cuneo-Pinerolo, la terzultima in programma. Approfitta di una foratura di Bartali ad Argentera e va all’attacco in solitaria. La provinciale che porta sulla cima dell’Izoard è temutissima dai corridori, Bartali in solitario insegue sotto un diluvio di pioggia e grandine, Coppi in fuga gli è davanti su per le balze del valico, zuppo di pioggia e lordo di fango, a volte letteralmente inghiottito tra i banchi di nebbia, la strada dietro e davanti a lui inquietante e deserta tra i rimbombi dei tuoni e lo scrosciare della pioggia. Ecco cosa scriverà di questa fuga in solitario di ben cento chilometri il giornalista Orio Vergani testimone de visu dell’impresa “Fu allora, sotto la pioggia che veniva giù mescolata alla grandine, che io vidi venire al mondo Coppi. Vedevo qualcosa di nuovo: aquila, rondine, alcione, non saprei come dire, che sotto alla frusta della pioggia e al tamburello della grandine, le mani alte e leggere sul manubrio, le gambe che bilanciavano nelle curve, le ginocchia magre che giravano implacabili, come ignorando la fatica, volava, letteralmente volava su per le dure scale del monte, fra il silenzio della folla che non sapeva chi fosse e come chiamarlo”.
Presso il Colle della Maddalena, oltre 2 minuti di distacco separano Bartali e il suo gregario; 4 minuti e 29 secondi in cima al Colle di Vars. Si procede dentro una lunga gola, la muraglia dell’Izoard. Bartali non molla: testardo, implacabile tiene il ritmo del battistrada, eppure non scorge più la sagoma curva di Coppi il quale è avviato verso l’arrampicata sui gradini dell’Izoard, ora l’Airone si alza sui pedali, accelera con uno strappo, si risiede sulla sella, l’azione e’ assurdamente possente e fluida, le ginocchia sporgenti sembrano delle bielle in un moto continuo, irrompe come un falco dentro l’anfiteatro di ghiaie attorniato dai torrioni ocra ed aspri appena distinguibili tra i sbuffi della nebbia e dei vapori della pioggia, la carrozzabile non ha barriere e basta una scivolata sul selciato bagnato per precipitare giù con la bici nel baratro. Ora Coppi si rialza, la schiena incurvata, le lunghe gambe quasi estese, la testa in linea con le spalle, tempo dopo all’intervistatore che gli chiedeva come facesse a non faticare, replicò, chi ha detto che non fatico, fatico tantissimo, ora in piedi sui pedali affronta le ultime tre scalate, dopo le due già superate, una vertiginosa salita di mille metri su Briancon, poi quella del Monginevro con cinquecento metri di dislivello, infine il Sestriere, il ritmo non varia, Coppi
rifulge come una macchina bellica che niente può scalfire o rallentare, ancora uno strappo, sale e sale, innesta un cambio più agevole prima di affrontare la curva, poi la discesa a tutta velocità, di nuovo un’ascensione, l’ansimare del respiro che si fa più rapido e grave si spande per la valle come un monito, sparuti gruppi di spettatori ogni tanto appaiono ai lati incoraggiandolo, la bici gli è come incollata sul fondoschiena, bici e corpo sono una cosa sola, lo sferragliare della catena sulla corona del cambio lo conforta, gli da il senso del ritmo, in discesa gli sembra di poter prendere il volo, l’attrito in discesa lo esalta, Bartali arranca ma tiene, sul Sestriere registra un distacco di quasi 8’, saranno 12 al traguardo allo stadio di Pinerolo dove Coppi arriva quasi trafelato, sfinito, inzuppato, ricoperto di fango, la faccia stravolta, taglia il traguardo senza nemmeno alzare le braccia, la faccia cupa, senza sorridere come si sentisse in colpa per aver staccato il suo capitano, come se non meritasse la vittoria o come se avesse adempiuto semplicemente ad un dovere come quando faceva le consegne in bici su e giù per le colline e le valli a Novi Ligure per due soldi maledetti. Soldi da condividere in famiglia. Dopo i passi della Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Colle del Sestriere (e ben cinque forature), arriva al traguardo da vincitore, con 11’52” su Bartali. Il giornalista Mario Ferretti aprì la radiocronaca così: «Un uomo solo è al comando; la sua maglia è bianco-celeste; il suo nome è Fausto Coppi». L'”Airone” come lo chiamano i Francesi vince quel Giro con 23’47” di distacco su Bartali, un’enormità.
Coppi affronta il suo primo Tour de France come co-capitano della Nazionale con Bartali, e prima di partire i due si mettono d’accordo, su pressione del commissario tecnico Alfredo Binda, entrambi s’impegnano a non ostacolarsi durante la gara.
Il Tour di Coppi parte male, dopo le prime quattro tappe il campione piemontese e dietro di 18 minuti dalla maglia gialla Jacques Marinelli. Nella quinta tappa, la Rouen-Saint-Malo, Coppi va in fuga poco dopo il via, ma dopo circa 100 chilometri (tra Pontfarcy e Avranches) una collisione con Marinelli gli causa la rottura della forcella. Il ritardo con cui gli consegnano la bici di riserva gli fa concludere la tappa con un ritardo abissale di 18’43” da Marinelli, e in classifica di 36’55”.
Tre giorni dopo Coppi stravince la cronometro di La Rochelle (92 km) con 4’31” su Bartali e 7’32” su Marinelli. La maglia gialla passa a Fiorenzo Magni grazie a una fuga a quattro nella decima tappa, la San Sebastián-Pau; due giorni dopo, nella tappa Pau-Luchon, Coppi chiude terzo (lo precedono Jean Robic e Lucien Lazaridès) ma guadagna 4’37” su Bartali e 16’03” su Magni, che mantiene la maglia gialla. Coppi comunque pare tagliato fuori, troppo il distacco dal primo classificato.
Il 18 luglio, nella Cannes-Briançon, Coppi e Bartali riprendono Ferdi Kübler e attaccano insieme sull’Izoard: vince Bartali, davanti a Coppi; il toscano veste di giallo con soli 1’22” sul rivale, mentre Magni perde 12’12”. L’indomani, nella Briançon-Aosta, Coppi e Bartali allungano insieme sul Piccolo San Bernardo, ma in discesa la maglia gialla prima fora, poi cade. Coppi fa per aspettarlo, vorrebbe dargli una mano, Binda, il direttore tecnico, gli impone però di proseguire: in 42 km l'”Airone” guadagna così 4’55”, vince e veste la sua prima maglia gialla. Robic è ora l’avversario da battere.
Nella cronometro del penultimo giorno, 137 km da Colmar a Nancy, vince ancora Coppi, con ben 7’02” sul secondo, Bartali. È il trionfo per Coppi, che l’indomani al Parco dei Principi festeggia la vittoria al suo esordio nella Grande Boucle: nessuno prima di lui era riuscito a centrare la doppietta Giro-Tour nello stesso anno. E non sarà l’ultima doppietta.
Il destino gli si accanisce contro il 29 giugno 1951. A 2 km dal traguardo del Giro del Piemonte, slittando con le ruote sulle rotaie del tram, il fratello di Fausto, Serse Coppi, suo gregario alla Bianchi, cade battendo la testa. Sembra nulla di grave e Serse termina la gara. La sera in albergo, però, si sente male e poche ore dopo muore per emorragia cerebrale. Fausto sconvolto medita il ritiro dalle corse. Pochi giorni dopo, il 4 luglio, è comunque al via del Tour de France dove non sarà mai davvero competitivo, chiuderà decimo, a 46’51” dal nuovo astro nascente del ciclismo Koblet.
Nel 1952 si presenta al Giro d’Italia. Il favorito è Koblet, fresco vincitore del Tour: già nella seconda tappa, però, lo svizzero rimane attardato, perdendo cinque minuti. Nella prima settimana Coppi vince la breve cronometro Roma-Rocca di Papa, dando 1’59” a Kübler, 2’45” a Bartali e 3’03” allo stesso Koblet; cinque giorni dopo, al termine della Riccione-Venezia, vinta da Van Steenbergen, veste la maglia rosa.
Il 29 maggio è il giorno del tappone dolomitico, 276 km da Venezia a Bolzano. Coppi attacca sul Falzarego, a 75 km dall’arrivo, quindi s’invola scalando in solitaria il Pordoi e il Sella: a Bolzano vince con 5’20” su Bartali e Magni, e consolida il primato. La cronometro Erba-Como di tre giorni dopo, in cui Coppi s’impone con 15″ su Koblet, serve a suggellare il trionfo finale: a Milano il “Campionissimo” vince per la quarta volta il Giro, precedendo in classifica Magni e Kübler, di 9’18” e 9’24” rispettivamente.
Tre settimane dopo il Giro, Coppi partecipa al Tour de France come co-capitano della selezione italiana insieme a Bartali e Magni. Quest’ultimo prende la maglia gialla vincendo a Metz, nella sesta tappa, il giorno dopo, nella cronometro Metz-Nancy, la vittoria è invece di Coppi. Lo stesso accade il 4 luglio, nella Losanna-Alpe d’Huez, quando, nel primo arrivo sull’Alpe nella storia della Grande Boucle, il campione piemontese riesce a imporsi con 1’20” su Jean Robic e 2’22” su Stan Ockers, e a vestire di giallo con soli 5 secondi su Ockers. Quel giorno, sul Colle del Galibier, Carlo Martini scatta una foto che diverrà storica, Coppi davanti, Bartali dietro che offre la borraccia a Coppi. Dopo la giornata di riposo, la corsa riprende con il tappone alpino Le Bourg-d’Oisans-Sestriere, 182 km con cinque colli – Croix-de-Fer, Télégraphe, Galibier, Monginevro e Sestriere da scalare.
È sul terzo, il Galibier, che il Coppi va via in solitaria: arriverà al traguardo con 7’09” sul secondo, Bernardo Ruiz, e 9’33” su Ockers. Sui Pirenei è ancora lui a dominare, vincendo la diciottesima tappa, da Bagnères-de-Bigorre a Pau; infine sua è anche la terzultima frazione, la Limoges-Puy-de-Dôme. Nella graduatoria finale va a precedere Ockers di 28’27”, Ruiz di 34’38”, Bartali di 35’25”, e fa sua anche la classifica scalatori della corsa. È per lui, dopo quanto realizzato nel 1949, la seconda vittoria al Tour e la seconda doppietta Giro-Tour.
Il 7 agosto seguente, a pochi giorni dal successo di Parigi, il campione è vittima di una caduta in pista a Perpignano: si frattura la scapola e la clavicola sinistre ed è costretto a interrompere temporaneamente l’attività agonistica. Ritornato alle gare, vince il Gran Premio di Lugano e, in novembre, due frazioni, la cronometro a squadre e la classifica finale del Gran Premio del Mediterraneo, prova a tappe organizzata quell’anno dalla Gazzetta dello Sport nel Sud Italia.
Il 1953 sarà l’anno del suo quinto Giro e del titolo mondiale su strada.
Nella carriera da professionista, durata ventuno anni (diciotto se si considera l’interruzione a causa della guerra), Coppi vince complessivamente 151 corse su strada, 58 delle quali per distacco, e 83 su pista. Indossò per 31 giorni la maglia rosa del Giro d’Italia e per 19 giorni la maglia gialla del Tour de France. Al Giro vinse 22 frazioni, al Tour nove. Nel suo palmares, ai primi allori giovanili, si aggiungono cinque vittorie al Giro d’Italia, nel ‘49 e nel ‘52 unite anche al trionfo nel Tour de France, impresa mai riuscita prima ― due ori mondiali su pista, uno su strada e un’infinità di classiche, giri, campionati, coppe e circuiti.
Il campione conobbe Giulia Occhini durante la Tre Valli Varesine del 1948, Giulia era moglie del dottor Enrico Locatelli, appassionato tifoso di Coppi. Negli anni seguenti il ciclista e la donna iniziano una relazione epistolare che divenne presto personale. Coppi si separo’ dalla moglie Bruna Ciampolini in via consensuale, mentre Enrico Locatelli denunciò la moglie per adulterio.
Dopo la conclusione del Giro d’Italia 1954, entrambi lasciarono le rispettive famiglie per andare a convivere nella villa di Coppi, villa Carla, a Novi Ligure. Nella notte tra il 25 e il 26 luglio 1954 i carabinieri, accompagnati da Locatelli, fecero irruzione a villa Carla, ma non riuscirono a cogliere la coppia in flagranza di reato. Tornarono il 9 settembre, arrestarono Giulia Occhini per adulterio. Portata inizialmente nel carcere di Alessandria, dopo quattro giorni la donna viene rilasciata ma costretta al domicilio coatto ad Ancona, a casa di una zia, con obbligo di firma in questura. A Coppi viene ritirato il passaporto. La vicenda viene riportata con clamore sui rotocalchi. Coppi ne rimarrà sconvolto e disgustato. Lo considererà oltre che un affronto alla sua vita privata, un gesto di ingratitudine nei suoi confronti, verso un uomo che dopotutto aveva onorato l’Italia nel mondo.
Il processo celebrato nel marzo del 1955 vedrà Coppi condannato a due mesi di carcere per abbandono del tetto coniugale e di Giulia Occhini a tre mesi. Entrambi usufruiranno della sospensione condizionale della pena ma la vicenda segnerà la serenità della coppia per sempre, tanto da decidersi di sposarsi in Messico, e partorire a Buenos Aires il loro figlio il 13 maggio 1955.
Il 10 dicembre del 1959 viene ingaggiato dalla “San Pellegrino Sport”, la squadra creata dall’amico Gino Bartali. Il giorno dopo Coppi parte con Raphaël Géminiani, Jacques Anquetil, Roger Rivière, Henry Anglade e Roger Hassenforder per un viaggio in Africa nell’Alto Volta. Il 13 dicembre partecipa al criterium di Ouagadougou dove vincerà Anquetil davanti a Coppi, il giorno successivo partecipa ad una battuta di caccia nelle riserve di Fada N’gourma e Pama. Coppi e Géminiani tornano all’accampamento di Fada N’gourma, occupano la stessa camera e nella notte vengono assaliti dalle zanzare, non sanno che hanno contratto la malaria. L’indomani i due rientrano insieme in aereo a Parigi, Coppi torna a casa a Novi Ligure.
Il 20 dicembre Géminiani perde conoscenza e viene ricoverato. La moglie Anne-Marie allerta immediatamente uno specialista di malattie tropicali, una provetta di sangue viene inviata all’Istituto Pasteur di Parigi dove viene rilevata la presenza nel sangue del plasmodium falciparum responsabile della malaria nella sua forma più virulenta. Géminiani resterà in coma otto giorni, curato con il chinino si salverà.
Coppi si reca invece all’incontro di calcio Genoa-Alessandria.
Il 27 dicembre Coppi non si alzerà più dal letto a causa della febbre alta, nausea e brividi; si chiama il dottor Allegri due giorni dopo, viene consultato il primario dell’ospedale di Tortona, prof. Astaldi, ma i due ‘luminari’ non riescono a decifrare un’anamnesi, ne’ una diagnosi. Insistono con una diagnosi di influenza.
Nel pomeriggio del 1º gennaio le condizioni del campione si aggravano; giunge anche il professor Fieschi, dell’Università di Genova. Coppi viene ricoverato d’urgenza prima a Novi e poi a Tortona. Nonostante la moglie e il fratello di Géminiani avessero telefonato per avvertire il team di medici che si trattava di malaria, questi imbecilli non somministrano a Coppi una cura a base di chinino, la sola soluzione che poteva salvarlo.
Alle 22 del 1º gennaio perde conoscenza, all’una di notte del 2 gennaio si riprende e parla con Ettore Milano, suo amico e storico gregario; subito dopo entra in coma. Gli vengono somministrati antibiotici e cortisonici, ma Coppi non reagisce più. Morirà alle 8:45 del 2 gennaio 1960, all’età di 40 anni per la totale incompetenza e supponenza di un branco di idioti qualificati come medici.
50.000 persone seguiranno il suo funerale sul colle San Biagio a Castellania, l’intera nazione e’ in lacrime, a San Biagio sara’ sepolto accanto ai familiari, per poi essere riesumato verso la fine degli anni sessanta assieme alle spoglie del fratello Serse, entrambi traslati in un cazzo di mausoleo, accanto al municipio di Castellania, una rimozione, un gesto che ne’ Fausto ne’ Serse avrebbero mai accettato.