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La lotta alla mafia parte dal cuore. Intervista a Carmelo Sardo

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Se Carmelo Sardo fosse nato negli Stati Uniti sarebbe un riconosciuto come un Gay Talese che ha incontrato Truman Capote. All’inchiesta di Talese si coniuga la capacità narrativa di Capote, ma con una differenza: siamo in Italia e Carmelo Sardo è’ l’unico vero scrittore civile contemporaneo. Non lo scrivo per la stima e l’amicizia che ci lega, ma perché Carmelo Sardo – caporedattore del Tg5- riesce a trasformare anche i suoi servizi televisivi in istantanee che in pochissimi minuti hanno questo grande merito: dimenticare le immagini e ascoltare le parole. Carmelo Sardo, siciliano di nascita e di inchiesta, trasforma le sue inchieste dedicate per lo più alla mafia sconfiggendo la mafia: quella mafia che mira a spettacolarizzare ogni evento in modo da fissare in noi immagini che poi passano come tante altre. Carmelo Sardo ci mette, attraverso la voce ferma, decisa, severa, umana, nella condizione di ricordare le parole. Non a caso è anche uno scrittore. L’ha dimostrato con “Malerba”, la storia dell’ergastolano Giuseppe Grassonelli: non un Giovane Holding alla Saviano ma parole scolpite nel destino di un uomo costretto, pur avendo cercato un’altra vita, a tornare al suo destino. “Malerba”, tradotto in 14 lingue, e’ uno dei più grandi libri degli ultimi 100 anni. Andrebbe adottato nelle scuole, nelle biblioteche, nelle carceri, fatto leggere nelle periferie più degradate e nei circoli snob di lettura. Ed invece non è più neanche nel catalogo Mondadori: pubblicato anche negli Oscar lo troviamo solo usato a prezzi che vanno sui 150 euro. Chiedete “Malerba” nelle librerie chissà che, dopo tante richieste, si decidano a ripubblicarlo. Perché se giace tra i dimenticati allora qualcosa non torna. Perché uno scrittore civile e’ tale se anche noi siamo civili. 

Da pochissimo nelle librerie Carmelo Sardo – dopo un libro inchiesta che ha fatto conoscere la stidda con “Cani senza padroni”, che già sintetizza come gli stiddari siano mafiosi con proprie regole senza regole. Da pochissimo, scrivevamo, e’ arrivato il romanzo “Le notti senza memoria”: che conferma Sardo come scrittore capace di indagare non solo le mafie ma l’amore che mai come oggi è sempre più rimosso, gli amori perduti non sono più poesie crepuscolari ma sintomo di ossessione possessione pericolo. Mi ero dimenticato cosa era l’amore. Carmelo Sardo me lo ha ricordato. Inaspettatamente perché questo scrittore civile che è non è come tanti saggisti uno Sciascia Hag, decaffeinato, ma un Elio Petri sulla carta mi ha fatto commuovere malgrado le mie notti siano solo memoria. 
Da anni non faccio interviste ma il coraggio dello scrittore uomo mi ha ricordato che lo sono anche io. 

Gian Paolo Serino

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A colpire e’ che un romanzo di un ricordo di un amore che è sempre stato, che è e però non sarà mai. Una deriva dei sentimenti che ci regala oltre alle emozioni delle scrittura una lezione: l’amore non è mai una ossessione, ma come si comprende dalle tue parole, che sono carezze che danno il senso della vita, e’ una memoria che ci regala qualcosa? 

E’ un romanzo in cui ho voluto affrontare l’amore in tutte le sue sfaccettature, o per lo meno quelle che mi è capitato di affrontare, di vivere, sia nella vita reale, che, soprattutto in quella onirica. Ho attinto molto dai miei sogni, dalle passioni che si sono sviluppate lungo viaggi deliranti. Ho un’età e un’esperienza di vita che mi hanno permesso di mettermi a nudo, senza sconti, tratteggiando gli aspetti più reconditi della passione più avviluppante che possa capitare in vita a un uomo: l’amore appunto. E la mia memoria è stata determinante per mettermi nelle condizioni di elaborare ed esorcizzare aggiungerei, i mille tormenti che sono propri dell’uomo. 

Da capocronista del Tg5 affronti ogni giorno storie terribili, e il tuo romanzo racconta questo: un regalo a crescere, una poesia di chi mostra un pelo da lupo che però quando lo accarezzi senti le spine del tempo. Da brividi

Può apparire un ossimoro, ma ecco, aver affrontato e raccontato mille e mille storie crude, dolorose, sanguinose, e di averle trasferite nei miei romanzi il cui comune denominatore è il senso del recupero di chi sbaglia, mi è tornato molto utile. Sembra un’assurdità ma aver conosciuto le storie di uomini a perdere, di derelitti, di ergastolani che dal fondo limaccioso delle loro vite sepolte in cella, sono ritornati nella legalità, mi hanno arricchito, mi hanno fatto comprendere il vero valore delle cose belle della vita. Muovendo dai tormenti e dagli errori di un uomo, si può arrivare a scoprire il senso di un recupero. 

Dove hai trovato il coraggio di metterti a nudo e soprattutto come sei riuscito a far sentire nudo anche il lettore?

Avevo dentro questo tormento che cresceva con me negli anni che ruotava attorno alle nostre fobie, ai nostri desideri inconfessabili. Era lì, depositato a bagnomaria nella mia psiche, fino a quando, con la maturità degli anni di vita, si è imposto e mi ha proposto di esorcizzare tutto raccontando le cose che accadono all’uomo, alla donna, a chiunque viva: l’erotismo, le scelte sbagliate, il destino che sfugge, l’amore respinto, l’amore avuto, l’amore mancato. La vita di ciascuno di noi attraverso la storia di Carlo, il protagonista del romanzo che coincide con me, con te, con loro, con tutti.  

Il romanzo inizia con “La prima volta che l’ho vista l’avevo appena sognata”. Una frase che racconta tutto….

So che sarà difficile crederlo, ma questa frase l’ho scritta in una mia agendina circa un quarto di secolo fa, se non di più, uscendo da un sogno dove, appunto, amavo una donna, una giovane donna, che non esisteva: aveva un volto che non trovavo in nessuna delle esistenti. Nella realtà l’ho cercata a lungo, inutilmente. Nella finzione, l’ho trasformata in Nora, che rappresenta l’amore anelato, l’amore desiderato, il piacere della carne, il desiderio di una vita. Sì. in questo incipit c’è l’intero romanzo.  

Nel romanzo il protagonista fa un frontale con la vita e ne esce miracolosamente illuso. Non illeso. Che è anche se permetti un tuo autoritratto, come fai a mantenere la purezza di anime che solitamente non sono morte ma non esistono più.

In questa domanda non c’è solo una metafora, ma un fatto, un accadimento. Un vero incidente da cui dipende la storia di prima, e la storia di dopo del protagonista. E’ un thriller psicologico e faccio fatica a parlarne per non spoilerare. Il percorso di Carlo si riflette fatalmente nella mia vita. Tutto quello che gli accade è in qualche modo, in qualche forma, accaduto a me, e pertanto le parole che ho usato, il modo con cui racconto quel che succede nella finzione, mi deriva dalla realtà: se io vedo uccidere una persona, e mi è successo nel tempo della guerra di mafia quando lavoravo come cronista in Sicilia, chi meglio di chi vi assiste possa poi parlarne. Fatte le debite proporzioni, se una passione l’hai vissuta, saccheggiata, scandagliata, trasferirne le emozioni e le sensazioni nel romanzo diventa un esercizio di psicanalizzazione.  

Il titolo richiama esplicitamente il racconto “Le notti bianche” di Dostoevskij però prende solo lo spunto che Lei modernizza: non c’è più quel romanticismo dell’attesa, delle lettere fugate, ma viviamo in una sorta di neuroromanticismo dettato dai social, dall’amore (I’m)mediato. Lei ci invita a fermarci, a pensare, a rivalutare l’amore ed è emozione 

Il titolo rispecchia, fin troppo fedelmente, un momento topico della storia che racconto. Certo, richiama Le notti bianche, ed è voluto! Perché Carlo, il protagonista, è un grande sognatore, proprio come il protagonista del capolavoro di Dostoesvkij. 


In tutte le pagine ci sono frasi da sottolineare ma si comprende come ogni parola sia cesellata non tanto nel dolore ma nel pudore dei sentimenti. Importante di questi tempi.

Ho cercato di allontanarmi dalle facili retoriche e di centellinare le parole, le frasi, le espressioni, con la delicatezza che merita ogni forma di passione, foss’anche quella più respingente, più pruriginosa. Faccio il giornalista e ai miei giovani redattori ho sempre raccomandato di scrivere come parla la gente, non con frasi fatte, stereotipi, ma come si parlerebbe al proprio fidanzato, alla moglie, con la stessa semplice importanza. 

“Malerba” il suo libro sulla storia dell’ ergastolano Giuseppe Grassonelli uscito per Mondadori e’ stato tradotto in 14 lingue.  Oggi  non è più disponibile nelle librerie? 

“Malerba” è stato, ed è ancora, un grande memoir andato a ruba. Ancora oggi ricevo decine e decine di richieste di chi vorrebbe comprarlo.

Le ha fatto più male scrivere questo libro o un inchiesta di mafia? 

Dipende da quale angolatura guardare questa domanda. Io mi sono davvero psicanalizzato scrivendo questa storia, e pertanto come sul lettino dello strizzacervelli, non è stato facile, non è stato semplice. Ho tirato fuori tutto. Scrivere di mafia è molto meno doloroso, forse solo più pericoloso. Io amo <Le notti senza memoria> e spesso vado a rileggere alcuni passaggi per stare bene, sì avete capito: per stare bene. E rileggendo non mi rendo conto che l’abbia scritto io.  

Chiudo la mail, correggo in cerca di refusi e mi accorgo che a volte ho dato del tu e a volte del Lei. Ma non correggo. Perché il romanzo è esattamente così: ci entra dentro come un tu ma è scritta con la maestria in punta di penna a cui bisogna dare del Lei. 

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