Il New York Times dedica un lungo articolo a Henry Miller a cinquant’anni dalla pubblicazione negli Stati Uniti di “Tropico del cancro”. Ciò che scriviamo sulla narrativa, scrive il NYT, non è mai una lettura obiettiva del testo, ma è sempre parte di una mitizzazione più grande – la storia che stiamo raccontando su noi stessi. Quella storia cambia. George Orwell, scrisse nel 1940 di Henry Miller con intenti e interessi molto diversi da quelli di Kate Millet nel 1970. Orwell non si accorse che le donne di Miller sono oggetti sessuali semi umani. Infatti, il suo lungo saggio “Inside the Whale” cita a malapena le donne. Millet invece si accorse che metà del mondo femminile rappresentato da Miller era alloggiato in un bordello, e si chiese che cosa questo ci dicesse della psiche e della sessualità del maschio americano. Norman Mailer aveva bisogno di vedere in Miller un nuovo Shakespeare (questo è semplicemente sbagliato, ma il bisogno è interessante), Erica Jong vedeva se stessa come Atena e Miller come Zeus. E adesso? Sono passati circa 50 anni da quando “Tropico del Cancro” fu pubblicato negli Stati Uniti da Grove Press. Pubblicato la prima volta a Parigi nel 1934 da Obelisk, una casa editrice soft-porno, era stato bandito come osceno in America fino a quando una vittoria legale passata alla storia ribaltò il divieto, consentendo di stampare il libro con Grove nel 1961. Il libro divenne un best seller immediato, e Henry Miller si erse a profeta priapico della libertà sessuale. Frederick Turner in “Renegade” cerca di spiegare come “Tropico del Cancro” nacque e come finì per essere bandito e poi divenire un classico americano.
(Jeanette Winterson, The New York Times, 31 gennaio 2012)