E’ una donna errante, vagabonda, emigrata, profuga, esule, viaggiatrice, attrice girovaga.
A volte le piacerebbe sistemarsi, ma curiosità, dolore e alienazione glielo impediscono.
Deborah Levy, Swallowing Geography
Finalmente è arrivato il giorno della partenza.
Arrivare e partire che gusto mi dà, canta Julio Iglesias nella mia canzone mantra Sono Un Vagabondo. Sia chiaro che non mi sento offesa e deturpata in quanto donna perché ho scritto “vagabondo” senza ricorrere a quegli atroci geroglifici così tanto progressisti…
Finalmente ferma, almeno per qualche ora, sullo sferragliante treno osservo il paesaggio susseguirsi a oltre 200km all’ora.
Godo nel e del movimento. Il movimento mi placa.
E’ la mia natura pellegrina ed errabonda a impormi il moto a luogo.
A impedirmi una vita stanziale.
Nell’andare, nel tornare alle isole degli dei, creo sinergie di psicomagia. Sono sempre stata un’ancella del pensiero magico di Alejandro Jodorowski, ben prima di leggere i suoi libri.
Ovunque tu sia, attraversa la strada, apri gli occhi.
Porto con me tanto bagaglio, tanti libri e tanta pesantezza che già sto scaricando tra una stazione e l’altra.
Ho trovato una definizione poetica e perfetta per rispondere ai curiosi quando mi domandano: “Ma tu cosa fai nella vita?” (Un tempo amavo rispondere: “I cazzi miei!”)
Oggi, più vecchia, ormai sono una cinquantenne, e più saggia, esclamo: “Sono una Flâneuse” termine francese che risale al 1585, forse derivato dal sostantivo scandinavo flana “una persona che vaga”. Insomma, una passeggiatrice, che, al pari di tante parole che declinate al femminile assumono una connotazione spregiativa, è dai più intesa come prostituta. Ma voi sapete quanta stima affetto e comunione di lussuriosi sensi io condivida con le donne di strada.
Lo sono anche io, una donna di strada.
Ho sempre amato tanto passeggiare nel mondo.
Ho iniziato a battere le strade da giovinetta e continuo a farlo, immune da responsabilità e spinta dalla sola ambizione di fare ciò che ritengo interessante.
Ma a che cosa servono le radici, se non puoi portarle con te? (Gertrude Stein).
Mi accompagna un delizioso libro, molto ben scritto, intitolato Flâneuse – Donne che camminano per la città a Parigi, New York, Tokyo, Venezia e Londra di Lauren Elkin (Einaudi Edizioni).
La Flâneuse esiste ogni volta che deviamo dalla strada che è stata tracciata per noi, partendo alla ricerca di un territorio nostro.
Cammino perché, in un certo senso, camminare è come leggere. Vieni messo a parte di vite e conversazioni che non hanno niente a che vedere con le tue, e che puoi ascoltare di nascosto. A volte c’è troppa folla; a volte le voci sono troppo alte. Ma sei sempre in compagnia. Non sei solo. Attraversi la città fianco a fianco con i vivi e i morti….
A volte cammino perché ho molte cose per la testa, e camminare mi aiuta a riordinarle. “Solvitur ambulando”, dicevano i latini.
Nel mio “piccolo” ne ho passeggiate tante, di città, nazioni, sentieri, relazioni.
Con coraggio libertà audacia, girovagando oziosa curiosa e viziosa.
Amo il concetto di street haunting, ossia l’andare a zonzo… e proprio mentre battevo i tasti sul laptop per scrivere questo pezzo, qui a Stromboli, ho sollevato lo sguardo verso la montagna e in un baleno l’ho vista avvolta da un’enorme nuvola di fumo. Il vulcano ha fatto boom boom!
Da “passeggiatrice” di razza quale sono, ho immediatamente chiuso le trasmissioni virtuali, ho recuperato i vecchi scarponi, mi sono infilata lo zaino e sono partita verso la mulattiera, gravemente danneggiata dall’alluvione del 12 agosto causata, in gran parte, dall’incendio per “fiction” scoppiato devastante e implacabile il 25 maggio scorso. A causa della stolta tracotanza dei miseri e miserevoli esseri (sub)umani.
Ascesa tra sibili, silenzio, onde, vento e scoppi, mi sono incamminata verso le telecamere, il punto a 190 metri dove “noi” habitué del vulcano abbiamo un luogo intimo e privilegiato da dove ammirare il portento della natura.
Gli amici vulcanologi mi hanno tempestato di messaggi dove implicavano che il mio focoso sbarco avesse in qualche modo solleticato il nucleo lavico della montagna… Eh sì, li faccio eruttare tutti!
Il nostro vulcano ci ha omaggiato con un trabocco lavico e giunta al punto di osservazione ho trovato ad attendermi le Vulcanesse, le dee pagane del vulcano, nonché compagne di merende locali.
Abbiamo inframezzato scoppi di risate agli scoppi del vulcano.
Quest’isola è stata profondamente ferita e colpita, già da qualche anno: parossismi, Covid, incendio, alluvione…
Celebriamo questo portento della natura – non io, il vulcano! – con ammirazione, rispetto, stupore, passione.
Ho visto salire tanti stranieri e anche italiani, di tutte le età, felici ed emozionati.
Questa è la pubblicità (parola che non amo ma tant’è) che merita la nostra Stromboli.
Vi stupirà nel profondo.
Vi farà felici.
Vi farà innamorare.
Vi farà incantare.
Solo la montagna e quel cielo illuminato dai fuochi fiammanti possono farlo.
Non avrei potuto essere accolta da amante migliore …
Pur vero che chi si accontenta, gode!
Tornata di buon’ora a scrivere, ecco che uno dei frequenti botti del vulcano ha fatto tremare le porte di legno di questa nuova casa che mi ospita.
Ho trovato un rifugio bellissimo, immerso in una vegetazione paradisiaca, a sua volta rifugio di una miriade di uccelli. E parlando di altri uccelli, comunico che la casa è costellata di erotica, dai quadri alle sculture, un gioioso e lussurioso inno a Eros …
Appena varcata la soglia di questo nuovo isolato rifugio mi sono sentita pervadere, penetrare addirittura, dagli echi dei passati e remoti amori. Sono entrata a piccoli e delicati passi – l’elefantessa in cristalleria –sentendo riverberare in me il piacere goduto, spruzzato, eiaculato tra queste mura e su questi bisoli negli anni passati.
Ho scoperto di aver trovato, o meglio, di essere stata trovata da una dimora storica e assai chiacchierata nel secolo scorso.
Le dimore più belle, lettori miei, sono quelle che sono state Teatro di Sabbath (cit. Philip Roth).
Di lascivi furori.
Di peccaminose deviazioni.
Di amorose disperazioni.
Amo i luoghi che sono stati amati, a lungo, a fondo, ovunque.
Percepisco gli spiriti passati di qui e forse qui anche rimasti.
Di chi qui ha amato ed è stato amato.
I luoghi hanno memoria degli avvenimenti scriveva James Joyce nel capolavoro Ulisse.
E le memorie erotiche di amori e amanti passati mi tengono compagnia ovunque io mi trovi.
Non sono mai sola, accompagnata sempre da altro, da altri. Che siano nella mia testa o intorno a me.
Sono in benevola e benefica compagnia.
Degli dei, degli spiriti, degli amici e dei gatti – Paraculo, il gatto che mi aveva adottato sull’altra estremità dell’isola non ancora ritrovato – che mi hanno accolto e raccolto.
Il vento soffia.
Le onde fluttuano.
La montagna parla.
Sento di voler dedicare questo scritto, l’ennesimo inno alla libertà – di essere altro, di essere sé stessi, di andare, di vivere altrove e in altro modo rispetto agli schemi precostituiti – a chi la libertà non ce l’ha, a chi l’ha perduta, a chi non l’ha mai avuta, a chi non la conosce o la teme.
In questi mesi ho iniziato una conversazione virtuale con un uomo di cui conosco solo il nome. Lui è un detenuto. Non so per quale ragione sia stato in carcere – oggi ai domiciliari – non so quanti anni abbia, non conosco il suo volto. Noi comunichiamo con il cuore.
Dai suoi scritti eruttano una profonda sensibilità, una lacerante disperazione e un inalienabile anelito di libertà.
Dedico a lui e a tanti altri detenuti – dentro un carcere, dentro le mura di casa, dentro una vita costringente, dentro una malattia, dentro una campana di vetro, del resto si può essere detenuti in diverse forme – le mie parole di libertà.
Vi lascio con alcuni suoi scritti, che lui mi ha permesso di pubblicare.
Spero di trasmettere libertà a chi non ce l’ha.
Vorrei far respirare il vento a chi ne ha dimenticato il sapore.
La tua sensibilità è graffiante… hai graffiato la mia anima.
Non sono abituato a niente…l’ isolamento sicuramente non mi aiuta…
Sei stata la prima persona a comunicare con me da così tanto tempo.
Io sono solo in una enorme stanza dove i miei pensieri rimbalzano da una parete all’altra per poi cadere.
Sei partita per Stromboli?
Oggi sono molto felice: ho visto un ragno giocare con la sua ragnatela…un alto numero circense di equilibrio sul filo..
Io unico spettatore.. be’ sono un vip..
Io ho perso sempre l’equilibrio.
Progetto di fuggire.
Dimenticavo… non ho una tua foto nuda per appenderla sul muro…😉
Oggi un colpo di vento ha distrutto la ragnatela… il ragno appeso ad un sottile, unico filo d’argento, quel filo s’allunga, oscilla, sbatte da una parte all’altra. Su quel filo d’argento, sale, scende… il ragno s’arrampica leggero con la vita.
Oggi sono una bandiera al vento.. non guardo il soffitto, non canto canzoni tristi, non penso al mare, alle rose, non rami spezzati…
Fingo di morire, illudere la morte e i miei nemici, fare loro un dispetto, solenne dovere… vivere un altro giorno.
Oggi non c’è sole… il ragno con le sue strade di seta mi indica la via color verderame, i pensieri arrugginiti mordono il cuore che si spande, muta, sanguina… il vento ingrato mi porta lacrime come pioggia.
Oggi sono in compagnia di un barattolo di latta andato a male.. scaduto, come il mio tempo…lo prendo a calci con vigore, resiste.
Il barattolo non è come quelle scatole di latta con cioccolatini assortiti o un aeroplanino, il barattolo non ha valore e memorie… nessuna collocazione.
Io, un dado tirato a sorte con un destino beffardo…giocare il gioco della vita… dentro un barattolo di latta.
Io non so’ amare….ecco perché vi amo. Mi avete dato il pane e candele ardenti tessuti di velluto e diamanti, preghiere balbettanti …un mondo dipinto nella polvere … mi nascondo nelle cose semplici perché mi troviate.
Questa mattina ho cancellato tutti i sogni, costruisco parole con rigore, indosso vesti come armatura di ferro, inscalfibile. Il tempo una fisarmonica che dilata la mia voce, si alza rimane sospesa in aria come nuvola. Più leggero di tutto, forse, è quello che rimane di noi.
L’unico anelito di speranza è rappresentato dal volo di due farfalle, in alto, a sinistra di fronte al muro centrale.
Il simbolo di libertà in ambiente carcerario è spesso rappresentato dal volo di farfalle o uccelli.. L’immagine del volo di speranza sarà invece di ispirazione a molti artisti detenuti. Come van Gogh, rinchiusi nella loro cella, esprimeranno la loro attesa di libertà con citazioni involontarie di questo volo.
Ora il silenzio è inginocchiato davanti a me.
Questa notte ho sognato di andare per mare… abbiamo navigato insieme…portami con te sull’isola come naufrago e lasciami alla deriva in balia delle onde…grazie amica mia!!!
Dedicato a tutti quelli che fuggono e a chi può solo sognare di farlo …
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