Dei confini austriaci, dove sono cresciuto, presi le stravaganze delle terse mattine invernali. Dalle Dolomiti, miravo stupefatto quel grande e selvaggio Nord, dal quale provenivano alcuni dei miei autori preferiti.
Guardando a sud, si apriva il paesaggio delle pianure venete. L’Italia scendeva dolcemente, verso Venezia, per poi proseguire lungo lo stivale fino al cuore del Mediterraneo.
Quando iniziai a leggere poeti morti da duecento anni, immaginai il significato del mio essere italiano, e una particolare Bellezza che lo forgiasse.
Non la trovai solo nei libri, era di già in me. Nella lingua, nei volti delle persone che amavo. Parlava di radici e tradizioni secolari, era un asse spirituale attorno al quale cominciai a far ruotare la mia esistenza. Mi sentivo italiano in ogni goccia del mio sangue, quando salivo per le strade di Feltre per incontrare sotto al suo castello i miei primi amori, quando andavo nel palazzo di un conte decaduto e ne assorbivo tutta la potenza, quando giravo di notte, in una Venezia deserta, o nella Roma imperiale.
Le rovine di quello spettacolo erano incastrate nel mio DNA di uomo mortale.
Ciò che si usa definire, nostalgia, non riguarda solamente il ricordo di ciò che s’è vissuto in una vita, ma indica qualcosa di più antico: se ci capita di passeggiare sulle macerie di città cadute da secoli, alziamo gli occhi al cielo, percepiamo le nostre nascite latenti, qualcosa che è da sempre, e sempre sarà.
L’eccezione si stravolge e diventa l’essenza di una moltitudine.
La provincia diventa allora il centro del mondo.
Ricordo la fiamma che mi arse. Non una nazione, non un confine, non un insieme di uomini: la mia Italia era femmina, seduttrice, istigatrice, non aveva nulla di democratico, non professava la libertà, ma potenze passionali che potessero elevare quelle idee in grandi slanci individuali e collettivi. È così che ogni estremismo diventa l’amante con il quale viene consumato l’adulterio di ogni società.
Il mio amore fu un amore fatto di grandi promesse, erano per lo più giuramenti irreali, fatti a persone inesistenti: lessi per sbaglio di grandi papi e di grandi imperatori che furono prima di me, proprio dov’ero io, e assaporai nella mia fantasia crudeltà inaudite sotto forma di immagini di folli conquiste dello spirito, e di altrettante storie di leggendarie Bellezze senza scopo, seduzioni senza preda ne seduttore, seduzioni Assolute!
In quei vaneggiamenti forgiai la mia natura di amante.
Fu allora che elaborai i miei orizzonti e divenni ostile: l’istruzione moderna si dava in tutto il suo terrificante spettacolo. La fascinazione che la mia mente subiva da quella condizione di estraneità, alla stregua di una violenza sessuale, mi spinse a rimodellare la realtà a mio piacimento, quando invece era mio dovere di cittadino retto farmi da essa plasmare, e crescere secondo una strada precostituita.
Era il mio modo di celebrare la vita. Credere a tutto, anche a me stesso.
Così ho creduto d’essere un principe rinascimentale, un poeta francese, la donna-angelo evocata dai poeti di Toscana, e un romantico tedesco, che cerca negli antichi il proprio senso del mondo.
Se avessi avuto bisogno di un’origine mitica per dare un senso alla mia esistenza, mi sarebbe bastato spulciare sotto la voce Romae, Graecia e Mare Nostrum (Mediterraneo).
L’intero Occidente, racchiuso in tre parole.
Ho intravisto allora l’Europa. L’idea che io potessi appartenere ad un luogo, un tempo, un senso del mondo semplicemente immaginandolo. Iniziai ad assorbire qualcosa di infinitamente più grande. Una bellezza che si sommava ad altra bellezza, accumulandosi in un processo infinito. Ogni diffidenza, ogni contrasto crollavano su sé stessi.
Iniziai ad immaginare la mia Europa e la trovai nei volti delle sue donne. Immaginavo le generazioni a venire, ed eressi le donne del Vecchio Continente a creature mitologiche, relegando in secondo piano tutti i trattati.
L’esercizio di un potere incentrato sulla bellezza femminile, mi parve di per sé un elemento abbastanza dirompente per sostenere un’armata di giovani ragazze, forti del proprio grembo materno, come Autorità.
Quando vidi le bocche delle modelle troneggiare nelle strade delle nostre città, capii che il grande passo stava proprio dinnanzi al mio sguardo. Lo Spettacolo, che aveva tolto le nostre femmine dai focolari domestici, e le aveva sbattute in prima linea, fu il colpo di grazia ad ogni tradizione.
Se un senso di appartenenza sarebbe sorto in tutta la sua naturale necessità, l’avrebbe fatto senza vincoli di alcun tipo, e il tempo sarebbe diventato irrilevante.
La fine delle Nazioni si sarebbe consumata in questa, o nella prossima vita.
È questo il compito supremo dei Poeti. È quando tutto cade che i loro servizi sono richiesti, è dal tramonto di una civiltà che viene questa chiamata alle armi!
Fabio Pante