Avete presente Bambi? Dai, quel cerbiatto dagli occhi tristi, orfano e amico di un coniglietto dal naso rosa? Chi di noi non ha versato lacrime almeno una volta quando gli muore la mamma per colpa di un brutale cacciatore? Il famoso film Disney, uscito nel 1942, con il piccolo cervo dalla coda bianca, in realtà si ispira al romanzo Bambi, la vita di un capriolo (1923) dell’autore austriaco Felix Salten. Un libro per l’infanzia, dove emergono solo buoni sentimenti e si avverte forte il gruppo come valore. La nota casa cinematografica americana in realtà ha attinto spesso alle opere di Salten: nel 1957 esce con il documentario Perri, tratto da Le avventure di Perri lo scoiattolo (1938) e Geremia cane spia ispirato a Der Hund von Florenz (1923). Come tanti di voi conoscevo Bambi ma non Felix Salten. L’occasione è stato un pranzo tra amici storici, dove tra un piatto di cappelletti e un bicchiere di Sangiovese, si è discusso a lungo di quanto la letteratura erotica abbia tradito l’originale senso di peccato per virare verso un ibrido tra il rosa, il noir e il grottesco. Da diversi anni, infatti, si è impoverita nello stile e nei contenuti. Le regole sono: non eccedere mai troppo e restare dentro al limite della morale comune. Altrimenti è porno. Un esempio? Nella più recente narrativa di genere, il BDSM è ammesso ma solo se inserito in un romance a lieto fine o la sessualità libera e disinibita della donna è tipica solo di una protagonista matura, separata e indipendente. Le ambientazioni sono per lo più grandi alberghi, grattacieli, musei e gallerie d’arte e il sesso è infuocato solo con Mr Grey e mai con il signor Rossi, impiegato alle Poste. Un dato interessante è che, dagli anni Novanta, non si trovano più protagoniste giovanissime e avventuriere sul modello di Moll Flanders. L’ultima degna di nota è Sugar, prostituta nella Londra vittoriana, nel bellissimo Il petalo cremisi e il bianco di Michael Faber. Non è che la facilità con cui si accede a certi siti ha contribuito a svuotare di significato la letteratura erotica e a standardizzarla? Basta davvero poco per soddisfare la curiosità in un mondo dominato dall’immagine. E, se un tempo questo genere di letteratura aveva anche uno scopo educativo e catartico, oggi è stata soppiantata dal porno usa e getta che ha impoverito il nostro immaginario. Da quando mi occupo di questi temi, ho notato infatti che alcuni must forti, affrontati con grande abilità invece da Anais Nin nel Delta di Venere, non sono possibili nell’eros scritto, anche se restano tra le categorie più cliccate di Porn Hub. Attenzione perché, se ignoriamo Edipo o lo banalizziamo, rischiamo di non avere poi la capacità di distinguere ciò che è bene da ciò che è male. E, inevitabilmente, prima o poi, questo entrerà in scena a rivendicare la sua parte di dramma.
Felix Salten, pseudonimo di Sigmund Salzmann, autore ungherese naturalizzato austriaco e vissuto tra il 1869 e il 1945, si era assunto l’oneroso compito di smuovere le acque, svelando i vizi di una società solo apparentemente ben educata e conformista. Questo elegante signore mentre pubblicava libri per bambini agli inizi del Novecento, si dilettava anche di letteratura erotica. Nel 1906, infatti, esce Josefine Mutzenbacher ovvero La storia di una prostituta viennese da lei stessa narrata (Josefine Mutzenbacher oder Die Geschichte einer Wienerischen Dirne von ihr selbst erzählt), romanzo che nei salotti buoni fin da subito venne attributo a Salten nonostante i bibliotecari dell’Università puntassero piuttosto su Arthur Schnitzle, autore di Doppio sogno e noto in quegli anni per aver raccolto in un diario le sue avventure erotiche.
La storia, raccontata in prima persona, vede protagonista una prostituta di 50 anni che rievoca la sua brillante carriera nella professione. La trama, condotta a ritroso, con un flash back tra case di piacere e mezzane, ci porta a fine Ottocento e agli anni della sua infanzia. All’età di soli 12 anni, dopo essere stata sedotta dal patrigno, inizia a vendere il proprio corpo ottenendo così la licenza per i bordelli viennesi. Durante il 1873, l’anno del decollo economico e dell’Esposizione Universale, già lavorava solo per la migliore società. Dopo essere fuggita con un affascinante russo, la protagonista torna a Vienna dove vive fino al 1894 come prostituta d’alto bordo tanto da permettersi un podere nei pressi di Klagenfurt dove resterà fino alla morte. Le sue memorie sono non solo un esempio di letteratura erotica d’inizio Novecento, ma anche un documento per comprendere dal punto di vista storico come venisse affrontata la sessualità al tempo di Freud. Il romanzo in forma autobiografica, nonostante sia caratterizzato da uno stile lezioso, presenta situazioni piccanti. Il lessico mai esplicito riesce però a evocare atmosfere decadenti dove il peccato si consuma dietro tendaggi color cremisi. Benché l’autore preferisca eufemismi per raccontare l’atto sessuale o le parti anatomiche, introduce l’incesto, il sesso di gruppo e la fellatio, argomenti scandalosi per l’epoca. Nonostante non sia uno dei capolavori più noti del genere, è comunque un romanzo che ha fatto discutere. La Corte Federale della Germania il 27 novembre del 1990, infatti ha incluso Josefine Mutzenbacher in una lista di opere vietate ai minori stilata dal “Bundesprüfstelle für jugendgefährdende Medien” (BPjM) (“Dipartimento che testa le opere pericolose per la gioventù”). La decisione, confermata anche nel 1992, inevitabilmente mette però in discussione la libertà d’espressione artistica. Si può censurare l’arte quando desta scandalo? O l’opera è indipendente dalla morale comune? Eppure questo libro appartiene a un genere particolare, non certo destinato ai bambini e, soprattutto nasce in un contesto storico preciso. Sono gli anni, infatti della Bella Epoque, della Wiener moderne, dei teatri e dei caffè illuminati. Qualche anno prima Freud aveva pubblicato L’interpretazione dei sogni e gli studi di psicoanalisi avevano messo in discussione le certezze del Positivismo creando nuovi paradigmi in arte e in letteratura.
Nonostante la censura l’opera ovviamente ebbe successo tanto da meritare due sequel: Meine 365 Liebhaber e Peperl Mutzenbacher, Tochter der Josefine Mutzenbacher. Diverse sono state le sue trasposizioni cinematografiche dagli anni settanta in poi e, in particolare segnalo, quella del 1976 con Patricia Rhomberg per la trama fedele al libro e per la cura dei dettagli. Il film girato in costume si muove tra interni ed esterni con personaggi in perfetto stile di fine Ottocento. L’attrice austriaca, dopo aver abbandonato la professione medica, con l’aiuto del compagno e regista Hans Billien, divenne da questo momento un’icona del genere hard tedesco. Ricordo, infine, l’elegante versione del 1991 di ES con traduzione di Maria Teresa Ferrari. Ilaria Cerioli