La valigetta di Marco del Ciello è il terzo racconto realizzato in seguito al primo incontro di laboratorio on line di “Scritture Urbane”. Da oggi si torna al lavoro con la “scrittura poetica”.
La valigetta
La valigetta ventiquattrore nera non gli pesava in mano, ma doveva starci attento comunque, così attento che attraversava il corso e quasi inciampò nei binari del tram. Riprese equilibrio sul marciapiedi dall’altro lato e proprio davanti a lui c’era la chiesa di San Gottardo in Corte, con la sua facciata posticcia e le linee neoclassiche tracciate dal Piermarini nel Settecento. Si ricordò d’improvviso che qualcuno, una qualche volta (era successo quando frequentava l’accademia?) gli aveva raccontato che l’alta torre ottagonale di San Gottardo, quella sì originale del quattordicesimo secolo, aveva ospitato il primo rudimentale orologio pubblico della storia.
Estrasse dalla tasca della giacca il telefono, per verificare l’ora, ma era ancora presto, c’erano due notifiche nuove sullo schermo lucido, mentre controllava non si accorse che un ladro gli aveva sottratto la valigetta. Lo vide solo di spalle: era un uomo, basso sotto la media, robusto, con una coppola calcata in testa e stava salendo sul tre, il tram numero tre, direzione Duomo. Lo inseguì, lo raggiunse, salì anche lui sul tram, ma dalla porta sbagliata: si trovava all’estremo opposto della carrozza e in mezzo c’erano troppe persone, una addossata all’altra, non si passava di là. Ma lo teneva d’occhio, anche se non riusciva a vederlo in faccia, la visiera della coppola nascondeva i lineamenti. Chi era quell’uomo? Pochi sapevano il contenuto della sua valigetta, per tutti gli altri era una qualsiasi valigetta ventiquattrore nera, senza speciale valore.
Il tre intanto attraversava piazza Ventiquattro Maggio e circumnavigava l’Arco di Porta Ticinese, con i caselli daziari che in antico segnavano i confini fiscali della città. Sotto quell’arco, ancora adolescente, aveva dato il suo primo bacio, una sera di primavera, appoggiato a una delle colonne, ne avrebbe conservato un buon ricordo, se la ragazza, non la conosceva bene, anzi l’aveva incontrata poco prima lungo il naviglio, non avesse approfittato della sua emozione, della sua lieve ebbrezza, per rubargli il portafogli, e poi ovviamente non l’aveva rivista mai più. Ci pensava ogni volta che attraversava la piazza.
Alla fermata successiva scesero entrambi e riuscì a prenderlo, lottarono per la valigetta, la valigetta cadde a terra e si aprì sul selciato, finirono di lottare e lui stava sopra il ladro. C’era vento forte, il che era insolito per Milano, in genere protetta dalle sue montagne, con l’aria ferma. Le banconote da cinquanta euro erano uscite dalla valigetta e volavano libere, portate dalla corrente, disegnando cerchi e spirali in cielo, e i passanti e gli altri passeggeri del tram e chi aspettava alla fermata, tutti correvano dietro alle banconote, con le braccia tese, sperando di afferrarne una manciata.
Con quei biglietti di carta arancione, se fossero rimasti al loro posto nella valigetta, e se lui li avesse consegnati puntuale al committente, per quanti erano, avrebbe potuto comprare pennelli, colori, tele, tempere, matite, stracci, l’acquaragia per pulire, pagare gli affitti arretrati dello studio, finanziare una mostra forse; poi ancora pennelli, colori. Ci aveva impiegato mesi per disegnare le banconote, per farle esatte in ogni dettaglio, indistinguibili dalle autentiche, c’era arte anche nella falsificazione, e ne era sempre stato convinto. Non era un vero criminale, non rubava niente a nessuno.
Si ricordò dell’uomo basso, sotto di lui, che si agitava. Gli strappò rabbioso la coppola dalla testa e lo guardò a lungo, e lo riguardò, ma non era nessuno, non lo riconosceva: era un ladro di valigette qualsiasi.
Marco del Ciello