L’avevamo lasciata con i vagabondaggi di Dante, il barbone protagonista di Milano è una selva oscura, la ritroviamo con i ricordi di Fenisia, “la Lupa” delle valli dell’Alto Piemonte, “la stría” che guarisce con le erbe e conforta con la parola. Ancora una volta Laura Pariani abita i confini, dà voce al non detto, restituisce un volto a ciò che è nascosto. E lo fa a modo suo, coniugando il contenuto – il racconto di una donna che infrange le regole socialmente condivise – alla forma – una scrittura elaborata ma fresca, intrisa di dialetto e suggestioni popolari. Di ritorno con La valle delle donne lupo, la scrittrice milanese si conferma penna di grande talento capace di uscire dal coro troppo spesso atono della narrativa italiana. Ne resta, appunto, ai margini. Come i suoi personaggi: nel suo ultimo romanzo la voce che ripercorre il ventesimo secolo visto e vissuto da uno sperduto paesino di montagna è quella della Fenisia, la “pelamòrti” che si prende cura dei vivi e dei morti, smascherando una società a modo suo violenta e patriarcale. Accanto a lei c’è la Grisa, la cugina internata in manicomio perché ha osato ribellarsi alle botte del padre. C’è la Malvina, la nonna che «teneva testa agli altri». E c’è lo spirito delle balenghe, le donne che nei tempi antichi venivano uccise e sepolte nel prato perché avevano disobbedito alle leggi della comunità. Con loro, Fenisia riannoda un filo di verità che ci porta lontano.