Propongo che il primo passo lungo l’affascinante e misterioso sentiero della scrittura sia la considerazione del nostro rapporto con le parole. Nella relazione originaria con le parole è implicita una forma di obbedienza scevra di accenti etici. Questa obbedienza non-etica, originaria appunto, ci libera dalla teoria dei valori, nella quale la letteratura sembra essersi arenata. Le parole, diversamente dagli strumenti di lavoro e di produzione, non sono mai a mia disposizione. Nelle parole io non dispongo di nulla, non mi impongo. Non sono più il padrone. Sono condotto al di qua e al di là della scrittura stessa. In questa situazione di non-possesso ha origine la libertà dello scrittore. Il solo modo per scrivere eticamente consiste in primo luogo nel pensare la scrittura in modo non-etico. Per scrivere dovremmo partire da un punto nel quale l’autonomia della nostra volontà sia radicata in una poetica obbedienza non contaminata da accuse, proibizioni, condanne e sensi di colpa. L’ascolto di questa origine è la scrittura. Tale ascolto allontana drasticamente lo scrittore dalla pericolosa alternativa sottomissione – rivolta, proiettandolo nella dimensione del dischiudersi di qualcosa. Il sentire, in questo senso, è l’elemento costituivo della scrittura, un sentire comprendente, compassionevole, umano. L’ampiezza della scrittura diventa in questo modo proporzionale al suo silenzio, al suo silenzio originario, inteso come mondo sublime dal quale scaturiscono le parole. Sarà questa una scrittura che rivela, che dischiude, che mette a tacere le chiacchiere. Al contrario, chi non ha nulla da dire tenderà a parlare sopra le parole senza far parlare le parole. Lo scrittore consola, colui che parla sopra le parole accusa. Lo scrittore è testimone, colui che parla sopra le parole è giudice. Lo scrittore ascolta, colui che parla sopra le parole parla. Lo scrittore non è un predicatore profetico, aiuta semplicemente la parole a trovare il loro posto nel mondo. Lo scrittore è solo e solamente il poeta di se stesso, delle parole che si muovono in lui, delle parole che non ha deciso. Lo scrittore è il folle che accende la lanterna nelle luminose ore del mattino e grida “Io cerco Dio”.