Carlo Fruttero era un antitorinese. «Avreste dovuto vedere — raccontò una volta — la faccia di Giulio Einaudi, di Natalia Ginzburg, di Italo Calvino, quando annunciai che lasciavo la loro casa editrice, il tempio della cultura italiana, per andare a fare Urania, un giornaletto di fantascienza con omiciattoli verdi in copertina». Fruttero non credeva alle grandi costruzioni ideologiche o ideali del comunismo ordinovista di Gramsci e Togliatti e dell’azionismo di Gobetti. Guardava con rispetto ma anche con garbato scetticismo al lavoro di ricapitolazione politica e filosofica di Bobbio, di cui peraltro era amico. Diffidava del ruolo pedagogico della cultura. E di tutto questo sorrideva, con l’intelligente malizia con cui mise in scena ne “La donna della domenica“ l’americanista Bonetto — «non si dice Boston ma Baaastn» —, ispirato a uno studioso peraltro importante come Claudio Gorlier ma in generale simbolo dell’intellettuale piemontese engagé, strutturato, un po’ pedante. Il contrario di lui.
(Aldo Cazzullo, pag. 32, Corriere della Sera, 16-1-12)