Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’ e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò …
Si esce poco la sera …
Vedi caro amico, cosa si deve inventare per poterci riderci sopra per continuare a sperare e se quest’anno poi passasse in un istante, vedi amico mio come diventa importante che in questo istante ci sia anch’io …
L’Anno Che Verrà (Lucio Dalla)
L’attimo sfuggente è l’attimo in cui tutto fugge via. Le nostre certezze, le nostre abitudini, la nostra vita. Prima. Nulla più sarai mai uguale. Forse perché troppo costretto dal e nel nulla.
Un apocalittico grido che Mamma Natura ci strillava contro da anni, ignorata e sbeffeggiata come una novella Cassandra.
Fermatevi.
Ascoltate.
Rallentate.
Io la vostra Cazzandra, profetessa della frivolezza, non mi arrendo all’angoscia che, come per tutti, è il nostro alimento quotidiano. Cerco di digerirla scrivendo e leggendo. Ma è un boccone troppo pesante da metabolizzare. Più che una boccata d’aria, ci facciamo una boccata d’angoscia.
Se continuo a guardare i tasti e temere di batterli, non tiro fuori nulla. Quindi me ne sbatto e batto la tastiera, nemmeno amunichinizzata, la tastiera, non io. Io confido nel mio sistema immunitario alla Keith Richards, allenato al vizio e allo stravizio.
Arriva un momento per tutti in cui ognuno di noi è chiamato a fare la sua parte. Per i più privilegiati, e io mi ci annovero, significa starsene nelle proprie sicure case con abbondanza di viveri, soprattutto etilici, di libri, di televisione e di wifi.
Non siamo in trincea, noi privilegiati. Siamo solo scioccati preoccupati e annoiati.
Ma in una società che aveva impedito il concetto di “noia”, oggi sembra che il suo contagio si stia diffondendo ancora più rapido del virus. Almeno di noia, non si muore. Anzi, dalla noia possiamo imparare a riflettere sul serio. Nell’intimo del nostro isolamento, fisico e sociale. Tutti dobbiamo fare qualcosa per non implodere. E siamo solo all’inizio di un percorso sconosciuto e temuto. Non ci è dato sapere quanto durerà e quale sarà l’orizzonte che troveremo alla fine del viaggio.
Alcuni di noi non ce la faranno.
Alcuni non saluteranno più i loro cari.
Alcuni perderanno tutto ma vivranno.
La mia vita è sempre stata scrivere, viaggiare, amare.
Non potendo schiodare le mie sode chiappe e non potendo porgerle ai miei variegati amanti, non mi resta che scrivere. Sui muri (di casa), sulle bacheche, sui diari.
Credo che oggi Sticazzi sia il santo più venerato in Italia, poi lo esportiamo a quelli che ci stanno asportando anche l’anima. Siamo italiani. Cialtroni. Orgogliosamente cialtrona in questo buffo e scombinato paese che per primo sta affrontando, con una dignità fin tanto incomprensibile persino per noi italiani.
Magari facciamoci un’iniezione di realtà: siamo il paese più bello al mondo – e ho viaggiato, un tempo, tanto, quando si poteva – siamo il paese più cazzone e cazzuto al mondo, e solo noi potevamo essere i primi della classe Corona in Europa. Noi gli sbeffeggiati del mondo, in realtà quelli che agli altri insegnano come starci e come goderselo mentre ci stanno. In più abbiamo anche sto gran culo di stare in Italia. Ma vi rendente conto, adesso forse sì, di cosa sia il nostro paese? Sotto ogni aspetto che da oggi meriterà e necessiterà rispetto. Abbiamo sempre avuto tutto di cui ce ne siamo sbattuti. Troppo avvezzi e viziati al e dal bello da renderci conto che il nostro pusher è anche la nostra mamma.
Drogati di dolce, ma fatua, vita.
Pavidi di sbattimento.
Così circondati e oberati da meraviglia da esserne così sedati da accalcarci su un charter che ci portasse altrove, quando l’altrove è qui.
Riscopriamo il nostro.
Riscopiamoci il nostro.
Siamo sempre stati ridicoli, noi italiani. Perché non capiamo quanto siamo forti, sempre fanalini di coda. Ecco, io non voglio più questa quieta e subita narrazione.
Il fanalino mo’ lo mettiamo in culo. Agli altri.
O ce lo togliamo dal nostro.
Terrore, stupore, panico … Emozioni che stiamo provando e che stanno prostrando tutti.
Montagne russe psicologiche, distruzioni e devastazioni emotive.
Non mi occupo di economia.
Io mi occupo di emozioni.
Questa indicibile inesplicabile inenarrabile nuova realtà distopica ci forza, noi morbidi e soffici gattini da tastiera, a guardare dentro noi stessi. A confrontarci con noi, con l’assenza del diversivo dalla famiglia, con l’abbondanza dell’intimità.
Io non ho il privilegio di credere in un dio. Perché ora per un ateo, singolo e cinico potrebbe essere un po’ più complicato ciucciarsi il tutto. Visto che non si può manco ciucciare altro.
O forse in questo momento, se la vivono peggio i credenti perché forse si rendono conto di quanto il loro dio valga quanto un rutto. Ma non voglio fare polemica.
Voglio rispettare l’altro da me e forse l’ho sempre fatto. Accettando la diversità pur rimanendomene salda nelle mie convinzioni, seguendo il mio ritmo di vita, la mia musica così spesso diversa dai tormentoni di massa. Senza mai cercare d’indottrinare gli altri perché ognuno dovrebbe trovare la propria strada senza fare il caprone seguendo gli altri.
Affronto in solitudine sociale, centellinando anche la folle furia social, quest’apocalisse.
Sola non sono, qui circondata dai miei libri, sollevata dalla mia musica, sostenuta dagli amici veri che addirittura tornano a usare il telefono per … parlare!
Comunque quando, e chi lo sa, passerà tutto bisognerà implementare l’immunità di gregge per le psicosi latenti che esploderanno nelle mura della finta normalità di una società contagiata da un altro pericolosissimo virus: l’indifferenza umana.
Lasciamoci contagiare da amore, solidarietà e umanità.
Questa è la battaglia da vincere per noi privilegiati.
Aiutandoci.
Come mai prima.
Ma del resto siamo già nel dopo.
Torneremo a fare l’amore come cantava la Carrà, da Trieste in giù.
Nel frattempo, noi privilegiati stiamo in casa leggendo sul serio e non sui social.
La vera prova starà anche nella tenuta psicologica.
E forse per chi è sempre stata fuori, stare dentro sarà un toccaXanax.
Roberta Denti