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L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi. Intervista a Giovanni Di Marco

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Questa settima andiamo a raccontare, attraverso le Tre Domande del Libraio, uno dei libri più belli da me letti negli ultimi mesi. Si tratta del romanzo d’esordio del siciliano Giovanni Di Marco dal titolo “L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi” da poco pubblicato per Baldini+Castoldi.

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Giovanni, in questo tuo romanzo la Sicilia e i tuoi luoghi e gli anni della tua giovinezza diventano la fonte d’ispirazione per sferrare un duro attacco non tanto alla Chiesa cattolica ma quanto a quegli uomini che hanno tradito la loro missione evangelica. Tu ti occupi di libri a 360 gradi da molto tempo ma questo é il tuo esordio narrativo, ecco, prima di addentrarci nel vivo della trama ci racconti più in generale, a partire anche da questo titolo così evocativo, come è nata l’idea di questo romanzo, il processo di lavorazione e quali percorsi hai intrapreso prima di arrivare a Baldini + Castoldi?

L’idea è nata una decina d’anni fa, quando mi sono imbattuto in un saggio di Federico Tulli dal titolo “Chiesa e pedofilia”, edito da L’Asino d’Oro. Le tante storie, i numeri e soprattutto il modus operandi messo in atto dalla Chiesa allo scopo di proteggere i membri del clero che si sono macchiati di questo reato mi hanno profondamente turbato. Da lì ho cominciato ad approfondire e ad un certo punto ho pensato di inventarmi una vicenda che in qualche modo fosse emblematica, prendendo spunto anche dalle tante inchieste giornalistiche condotte negli ultimi decenni da testate di altissimo profilo, come il New York Times, il Boston Globe o la BBC. Così nasce Tonino. Riguardo al titolo, sinceramente non avevo alcuna idea all’inizio. L’ho scelto quasi per gioco, mi piaceva la parola “avversione”, la trovavo evocativa; poi però in casa editrice è stato approvato con entusiasmo. A molti piace, proprio perché incuriosisce.

‘L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi’ è la storia di un’ infanzia di lutti e di dolori, quella del bambino protagonista e del suo paesino dell’entroterra siciliano negli anni Ottanta. Bambino che cade nella ragnatela pericolosa degli abusi di un prete morboso e del sistema di copertura e protezione del clero: tema difficile, torbido e complicato attorno a cui, però, costruisci una sapiente narrazione che ha il sapore di un classico della letteratura. A partire dalla storia feroce di Tonino ci vuoi dettagliare il mondo che si muove intorno a lui attraverso i tanti personaggi, tutti con una profondità e uno spessore sorprendenti, e nello specifico se ti va di soffermarti sulla figura di Tania, la giovane vicina di casa, unica disposta a lottare per lui .

Io amo definire il mio libro un romanzo di formazione e di denuncia. Di formazione perché assistiamo alla crescita di Tonino – prima l’abuso, poi il tentativo di superare il trauma e guarire dalle ferite subite – e di denuncia perché l’intento è proprio quello di mostrare come, sull’argomento, la Chiesa di Wojtyla abbia tradito. E sinceramente lo trovo imperdonabile per chi, da due millenni a questa parte, si arroga il diritto di essere la guida morale dell’intera umanità. Ho deciso di ambientare la storia all’inizio degli Anni ’80, in un paesino dell’entroterra palermitano, perché quelli sono gli anni della mia infanzia e quelli sono i miei luoghi, per cui mi è venuto quasi naturale, sebbene poi abbia lavorato parecchio di fantasia. La storia inizia col funerale della mamma di Tonino che viene interrotto bruscamente perché arriva la notizia dell’attentato a Giovanni Paolo II: da lì l’antipatia per il papa e i polacchi che è solo un pretesto narrativo, ovviamente, per rendere più interessante l’intreccio. Tonino resta orfano all’età di sette anni ed è costretto ad andare a vivere presso la zia materna che è una donna buona, ma che fa fatica a stargli appresso, ad assecondarne i bisogni, che lo spinge inconsapevolmente verso il prete locale (Padre Alfio) e non capisce cosa, da lì a poco, succederà al nipote. Il calcio è l’unico sfogo di Tonino e sullo sfondo della vicenda si staglia un’Italia allegra e vibrante che si immedesima nella Nazionale di Bearzot che vince i Mondiali di Spagna. A cercare di salvare Tonino dalle grinfie dell’orco sarà Tania, una giovane vicina di casa della zia che gli farà quasi da seconda madre. Tania è bella, è metà tedesca e metà siciliana, ha una mentalità aperta, un passato burrascoso e un animo ribelle, e cercherà in ogni modo di ottenere giustizia per Tonino. Ma sarà dura. Probabilmente è il personaggio più riuscito del romanzo, proprio perché ricco di tormenti e di vissuto. Rappresenta la speranza, la voglia di riscatto, e allo stesso tempo la sconfitta.

Torniamo alla traccia che accompagna il lettore lungo tutta la narrazione di oltre quattrocento pagine : il tema degli abusi e le vittime che il sistema tenta di trasformare in complici, insabbiando per evitare gli scandali. Puntare il dito contro la Chiesa di Roma non era semplice e il rischio di scadere in una semplice storia turbolenta di provincia era alla portata di mano. Invece sei riuscito a mantenere nel lettore alto il livello di attenzione su qualcosa di veramente immorale e osceno e a colpire indirettamente quelli che sono i veri responsabili morali di questi crimini troppo spesso taciuto. Ci spieghi dal punto di vista stilistico come hai potuto raggiungere questo obiettivo, riportandoci anche nel laboratorio di lavorazione del romanzo?

Mi sono documentato molto per dotare il romanzo della necessaria credibilità interna e ho lavorato tantissimo per non risultare banale e non scadere nel volgare. Sarebbe bastato pochissimo. Aggiungo che io non sono credente , e questo distacco, probabilmente, mi ha aiutato a trattare il tema in maniera obiettiva, senza giudicare, ma senza neppure fare sconti o trovare alibi per alcuno. Un reato è un reato e in tal modo andrebbe trattato: questo dovrebbe valere per chi lo commette, per chi lo subisce e anche per gli eventuali complici. Invece, chi indossa una tunica nera spesso sembra beneficiare di una certa immunità. E ciò è ingiusto oltre che immorale. Come abbiamo potuto constatare, la Chiesa ha responsabilità enormi sulla gestione del dramma della pedofilia al proprio interno: per anni ha tenuto un atteggiamento omertoso incomprensibile e gravido di tragiche conseguenze. Tante volte mi sono chiesto come si sarebbe comportato Gesù se si fosse trovato davanti ad un bambino abusato e al suo predatore. Di certo non come ha fatto la Chiesa di Wojtyla, il quale ha impiegato oltre 20 anni per usare appropriatamente la parola “reato” quando c’erano di mezzo abusi sessuali su un minore. Fino a qualche tempo fa, in Vaticano si parlava esclusivamente di “peccati”, e i peccati vengono assolvono in confessionale, mentre i reati vanno giudicati in tribunale. Una scelta linguistica che testimonia non solo scarsa attenzione e sensibilità per le vittime, ma anche una certa arroganza e grettezza. Riguardo alla lavorazione del romanzo, in dieci anni ho apportato una sola sostanziale modifica: all’inizio Tonino raccontava al presente la sua esperienza. Successivamente ho riscritto il testo al passato: cioè è sempre Tonino che racconta, ma lo fa una volta che è diventato adulto. Questo perché certi ragionamenti, certe riflessioni, su un tema così spinoso, non reggevano se espressi da un bambino e il romanzo rischiava di perdere forza e verosimiglianza. Censura da parte di chi scrive di libri? Beh, non saprei. È possibile, non mi stupirebbe. Però ho le presunzione di affermare che se si legge il romanzo, non si può non parteggiare per Tonino e per tutte le vittime di abusi sessuali; e quindi non si può non condividere la mia stessa urgenza di alzare la mano e puntare il dito verso quella Chiesa che ha tradito sé stessa, i propri fedeli e l’essenza stessa del messaggio evangelico.

Buona Lettura del magnifico di Giovanni Di Marco.

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