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Bernard Quiriny. La liberta' di pensiero l'abbiamo. Adesso manca il pensiero.

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In Francia i maggiori giornali (Le Figarò Littéraire e Lire, su tutti)  lo considerano “uno scrittore con l’inventiva rivoluzionaria di Alfred Jarry, la potenza narrativa di Roberto Bolaño,  l’umorismo di Will Self e la comicità di Borat” e il suo romanzo d’esordio Le assetate una delle metafore più potenti del ‘900 sull’accecamento degli intellettuali.
Bernard Quiriny, docente di filosofia del diritto presso l’Université de Bourgogne e critico letterario di Le Magazine Littéraire  a soli 34 anni è considerato tra i maggiori scrittori francesi contemporanei,  capace nel romanzo di mettere alla berlina intellettuali come Bernard-Henri Lévy, Philippe Sollers, Julia Kristeva denunciando “il paradosso dell’ideologia progressista e la paralisi degli intellettuali di fronte all’incarnazione della loro utopia”.
Finalmente Le Assetate arriva anche in Italia: è in uscita il 18 gennaio per Transeuropa, che conferma ancora una volta la propria vocazione storica nel trovare nuovi talenti letterari inaugurando il proprio respiro internazionale.
Di Bernard Quiriny Satisfiction presenta un inedito assoluto: uno tra i passaggi più caustici di questo romanzo dove le Donne hanno assoluto Potere (sarebbe giusto in un mondo ideale), hanno schiacciato il maschio (sarebbe un mondo perfetto), ma soprattutto hanno relegato gli intellettuali al loro ruolo: quello di “Eco”. In un romanzo che è una favola distopica, dove si immagina cioè un futuro alternativo e apocalittico, Quiriny racconta come “nel Belgio degli anni ’70 una rivoluzione guidata da donne sfoci in un regime totalitario, dominato dal culto della Pastora Ingrid e poi di sua figlia Judith, le cui leggi sessiste ribaltano il rapporto di forza storico tra donne e uomini. In Francia, questa Viragoland isolata dal resto del mondo suscita l’ammirazione di alcuni esponenti dell’intellighenzia parigina, colta e vanesia.”
Gian Paolo Serino
 
 
 

Come ogni volta in cui arrivava in una camera d’hotel, Gould, che era un po’ maniaco, appese accuratamente i suoi abiti nel guardaroba. Dopodiché, vuotate le due grandi valigie, passò al lavabo per rinfrescarsi il viso, e prendendo nel suo cappotto il taccuino e una penna, si adagiò sul letto e cominciò ad annotare le sue impressioni. La giornata non era finita, avrebbe potuto attendere la sera; ma temeva di non avere più le idee così chiare e di perdere il dettaglio di alcune cose, che avrebbe finito per ricostruire anziché trascriverle fedelmente. Bisognava buttare tutto giù sulla carta al più presto, anche in stile telegrafico, senza cura letteraria; scrivere tutto alla rinfusa, così come veniva, perché in seguito non avrebbe più avuto la stessa nitidezza. Seguiva questa disciplina in tutti i suoi spostamenti, credendo che fosse l’essenziale del giornalismo.
Al principio, scribacchiò alcune informazioni semplici, banali, di quelle che si dimenticano facilmente se non vengono annotate subito: i preparativi del mattino, il loro appuntamento nei pressi della stazione, il viaggio in treno, l’andatura dell’autista Richard… Tutto ciò avrebbe formato un blocco di piccoli fatti veri, che gli sarebbero tornati molto utili al momento di stendere il racconto del viaggio, mescolandoli ai passi salienti, agli inserti filosofici, alla teoria.
Riguardo al loro arrivo nella zona neutra e allo sbarramento di polizia di poco prima, cercò di ricordare nei dettagli l’uniforme delle soldatesse, il tipo di fucile che portavano (ma non se ne intendeva per niente di armi da fuoco), quello che gli era passato per la mente mentre lo perquisivano, e quello che, secondo lui, avevano pensato i suoi compagni. Erano tutte cose fresche nella sua memoria, poté riempire una pagina intera. Gli venivano belle espressioni, che trascriveva pensando che forse avrebbero giovato all’articolo:
«Siamo stati palpati su tutto il corpo, senza riguardi. Quelle mani di donna che correvano su di me, è stato come un primo contatto con il Paese – un primo contatto fisico.
Accidenti che carisma quelle brigadiere, guardiane severe della Rivoluzione! Mi hanno fatto proprio un grande effetto.
Siamo stati trasportati con immense automobili, auto da ministri, un lusso da favola. Ma il tragitto dal posto di blocco all’hotel era molto breve, non ne abbiamo approfittato a lungo. La notte qui è profonda. Non si vede nulla – nel vero senso della parola. Il risultato è che non abbiamo veramente visto il Belgio. Si nasconderà per svelarsi meglio domani sotto il sole? A un tratto, nel buio, appare l’albergo, sfavillante, un transatlantico sorto dal nulla, come una sorpresa.»
Quando voleva, Gould era poeta, e aveva normalmente uno stile lirico. Qui, era sobrio, quasi tecnico.
Scrisse poi alcune parole su Kristin, la loro guida. Non sapeva cosa pensare di lei. In auto, non aveva fatto molti sforzi per la conversazione, e così l’aveva trovata sgradevole; ma una volta giunti in albergo, le cose si erano appianate: d’improvviso si era mostrata adorabile, premurosa, delicata. Forse il percorso l’aveva resa ansiosa? Doveva sicuramente temere che venissero attaccati (dal loro arrivo, aveva citato Beatrix e il terrorismo: Gould ne era rimasto impressionato), e si era rasserenata solo una volta arrivati a destinazione. Questa ipotesi seduceva Gould, perché dava importanza ai francesi: temere un attacco ai loro danni, significava che non erano gente qualunque. Così la fece sua e cominciò persino a sognare un autentico attentato – un attentato senza conseguenze, naturalmente, ma spettacolare, che avrebbe conferito pathos al racconto. In mancanza di quello, pensò tuttavia che una semplice minaccia sarebbe andata già molto bene per il profilo romanzesco. Così Kristin gli apparve sotto una luce più propizia, e riconsiderò il suo parere. Non era vero che era stata brusca con lui: era preoccupata, il che era un’altra cosa. Non c’era ancora una barriera tra loro, si disse, ma tra l’Impero da un lato, nel cui campo si trovavano con lei, e i terroristi dall’altro. Annotò tutto questo, spendendo qualche parola sull’aspetto di Kristin:
«Una donna bella, alta, sui quarant’anni, capelli corti, slanciata. Ha qualcosa di rigoroso, di altero. Uno sguardo franco, diretto, che penetra in fondo agli occhi. Deve essere un tipo duro, esperto in politica, capace di prendere decisioni dolorose. Quale ruolo gioca nell’Impero? Ha detto – questo mi ha colpito – che è, cito: “Generale maggiore delle brigate, arcicancelliera al Consiglio della Rivoluzione”. Nessuna idea di quel che significa. Chiedere lumi al riguardo. In ogni caso, ha carattere. Qualcosa, inoltre, mi lascia pensare che è una donna che mente facilmente. Ma con le donne, mi sbaglio sempre.»
Pensando che potesse servire per l’articolo, prese anche appunti sulla sua camera d’albergo, che era sobria, per non dire austera. Kristin sosteneva che era un hotel di lusso: sarà stato vero, secondo gli standard imperiali, ma per i suoi, era appena decente. Tuttavia, per rispetto dell’Impero, volse la sua delusione in ammirazione, e abbozzò un principio di teoria: quella camera banale mostrava che le belghe se ne infischiavano del comfort, perché il comfort per loro non contava. Era la prova evidente della loro superiorità, e del loro senso dell’interesse nazionale. Scrisse anche due righe su ciò che saltava agli occhi non appena si entrava in camera: a sovrastare il letto, l’immenso ritratto di Judith, che avrebbe vegliato severamente sul suo sonno. Rifiutò di formulare su quel quadro dei giudizi estetici, perché li trovava irrilevanti nella fattispecie: preferì annotare a che punto lo colpiva l’evidenza che, grazie al ritratto, il viaggiatore, nell’intimità della sua camera, era perseguitato dalla politica, e la Pastora non lo abbandonava. Di fatto, sotto quell’occhio vigile di Judith, Gould non era completamente rilassato; il quadro emanava una sorta di Super Io discreto e benevolo, che lo riportava sulla retta via, come un crocifisso nella camera da letto di un cristiano.
Bernard Quiriny
Traduzione di Stefania Ricciardi

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