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Le cento mezzanotte di Colette

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Nel giornalismo letterario del Novecento, Sidonie-Gabrielle Colette (Saint-Sauveur-en-Puisaye, 28 gennaio 1873 – Parigi, 3 agosto 1954) occupa un ruolo di primo piano. Commentatrice, critica dei costumi, viaggiatrice trasognata ma sempre precisa e attenta, giornalista sul fronte  delle Argonne Colette fece tesoro della propria esperienza italiana, redigendo una serie di cronache romane e Impressions d’Italie che riescono a guardare con poesia e dolce disincanto anche ad un mondo travolto dalla guerra. Il testo che qui presentiamo, pubblicato da La Vie Parisienne il 31 dicembre 1917, inedito ad oggi in Italia, è un ottimo esempio di questo mai disimpegnato disincanto.
Marco Dotti
LE CENTO MEZZANOTTE DI COLETTE.

Le undici e mezzo. La cena, l’ultima cena dell’anno fu talmente calda, così animata di speranza, tanto amichevole, che abbiamo finito col dimenticare Roma. La notte, di un azzurro chiaro, quasi grigio, fremente di stelle ci riporta all’Italia. Tardiamo a rientrare, trattenuti fuori da questa dolce notte, pallida di luna, bianca d’elettricità. Le undici e mezzo…
L’anno sta per finire. Qualche luce nel palazzo della regina madre. Cinquanta passi sotto, l’orto dei frati, che prolunga i giardini reali, ci inonda col suo odore rustico di finocchi e cavoli verdi. Sul marciapiede di via Veneto, una fiorista in pieno vento annoda, per un giovanissimo soldato sognatore, la sua ultima dozzina di garofani rossi. I mendicanti che strimpellavano i mandolini sotto le finestre se ne sono andati. L’abete natalizio, nella hall dell’albergo, porta ancora, al posto delle sue cere consumate e dei suoi fili argentati, una stella di carta dorata, una palla di vetro soffiato… Non ci resta che riguadagnare una camera ieri sconosciuta e già dimenticata domani, e ascoltare suonare, dall’alto del balcone, le cento mezzanotte degli orologi di Roma.
Risuona una prima campana, una campana lontana, un bronzo antico e immaginario: un colpo di cannone gli risponde. Poi è tutto un rimpallo d’artiglieria che esplode. Petardi, carabine, bombe. Una mitragliatrice della quale invano cerchiamo la luce in scintille di fuoco e fiamme di bengala – niente, nessun bagliore. Festa nera, fuoco d’artificio di guerra, dove non si ammette che il rumore della guerra… Ma campane e fucili fanno comunque un gran bel rumore di vittoria, almeno per un momento, e gonfiano il cuore…. Avendo suonato e rintonato mezzanotte, Roma si zittisce, lascia parlare le sue fontane, lascia respirare le sue palme immobili, sotto il suo cielo pallido come un cielo d’Africa.
Affacciarsi su questa città senza pari, aspettare la mezzanotte, il 31 dicembre, al bordo di un balcone, le spalle a mala pena coperte, ripetiamolo che è una sorpresa, una gioia unica come il regalo di fine anno… Ripetiamolo, dentro e fuori di noi, ridiciamolo affinché tra due sospiri di benessere non se ne insinui un terzo di rimpianto per un angolino di Francia – là dove si accende la lampada a olio, la sera, a una sola finestra, tra lecci e castagni argentati. Un angolo di Francia torturato dall’inverno, sì, angosciato dalla guerra, certo, pieno di fango e paura, abbandonato dai suoi contadini che combattono, ma proprio per questo incomparabile e, sopra ogni altro luogo, luogo amato e caro.
Colette, da “La Vie Parisienne”, 31 dicembre 1917
Trad. di Marco Dotti

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