Tommaso Pincio “Ritratto di Edgar Allan Poe con le spalle rivolte al sublime”, 2011, olio su tavola, cm. 65 x 60
«Siete bravo quasi quanto il Dupin di Edgar Allan Poe. Non pensavo che nella vita reale esistessero persone simili» commenta ammirato il dottor Watson nelle prime pagine del romanzo che inaugurò la fortunatissima serie di Sherlock Holmes. Così, con questo piccolo omaggio, Arthur Conan Doyle riconosceva il proprio debito verso il saturnino inventore del genere poliziesco, dando al contempo conto di quanto fosse noto il nome di Poe. Non che ve ne fosse bisogno. Il suo genio, perlomeno in Europa, non era certo passato inosservato. Baudelaire lo aveva magnificato e tradotto, Manet lo aveva illustrato, un gran numero di artisti, poeti e scrittori erano rimasti fatalmente colpiti dalla sua opera. Dì a un paio di decenni qualcuno sarebbe arrivato al punto di chiamarsi come lui. Un giapponese iniziò a pubblicare racconti del mistero con lo pseudonimo di Edogawa Rampo, che letteralmente significa «quattro passi lungo il fiume Edo» ma è anche la trascrizione fonetica di Edgar Allan Poe. Ancora oggi nel paese del Sol Levante vengono realizzati film e manga ispirati alla sua opera e in taluni casi anche alla sua persona. Proprio come lo stesso Poe, comparso a più riprese in romanzi che lo dipingono come un tormentato genio con l’hobby dell’investigazione. Ben due di questi sono centrati sui giorni precedenti la morte, da sempre oggetto di fantasiose speculazioni. Quel che per certo si sa è che Poe fu trovato in una taverna in compagnia della peggior feccia di Baltimora in uno stato di delirio pressoché irrecuperabile.
Ma il vero mistero non è come sia giunto in quella fatale taverna, bensì come la sua memoria sia sopravvissuta a chi tentò in tutti i modi di offuscarla. Il 9 ottobre 1849, nell’edizione serale del New York Tribune, comparve infatti un discutibile necrologio che fece il giro dei giornali americani: «Edgar Allan Poe è morto. È morto a Baltimora ieri l’altro. Questa notizia sbigottirà molti ma addolorerà pochi. Il poeta era noto in tutto il paese, di persona o per reputazione. Aveva lettori in Inghilterra e in parecchie nazioni dell’Europa continentale, ma aveva pochissimi amici, per non dire nessuno». Era firmato semplicemente Ludwig. Dietro questo nomignolo si nascondeva Rufus Wilmost Grinswold, segreto nemico di Poe. Non soddisfatto di averlo denigrato nel giorno del funerale, Grinswold si spacciò per esecutore testamentario, falsificò alcune lettere e pubblicò un breve memoriale nel quale diede di Poe un’immagine spregevole, definendolo alcolizzato, oppiomane, perverso, iracondo e lunatico. Per quasi trenta anni è rimasta di fatto l’unica biografia disponibile, se biografia vogliamo chiamarla. Gli effetti furono devastanti. Nel 1909, in occasione del centenario dalla nascita, ancora ci si rammaricava di quanto fosse macchiata la reputazione del «solo poeta» l’America avesse mai avuto. «No, nessuno ha negato il suo genio» si leggeva sul New York Times. «Gli hanno dato di tutto, però: dal bugiardo al ladro, all’ubriacone». E c’era chi persisteva nel denigrare. Henry James, per esempio, deprecava l’ammirazione di Baudelaire per Poe, sostenendo che un simile entusiasmo era segno di un «livello di discernimento decisamente primitivo». Sentendosi inoltre obbligato a stabilire una graduatoria tra i due poeti, concludeva che «Poe era di gran lunga il più ciarlatano così come quello più dotato d’ingegno». Di anni dalla nascita ne sono passati più di duecento ormai e le cose sono molto cambiate. Poe è una gloria nazionale. I bambini lo leggono alle elementari. Lisa Simpson declama Il corvo la notte di Halloween. È persino nata una disputa sulla città cui spetta il primato di onorare Poe e la sua errabonda esistenza. Qualcuno ha proposto di riesumare i resti per trasferirli a Filadelfia, salvo poi dover precisare che si trattava soltanto di una proposta metaforica tesa a rimarcare che nella Città dell’Amore Fraterno Poe scrisse i racconti più celebri. Tutti pazzi per l’eredità di Poe, dunque. E non più per infangarla alla maniera di quel sordido individuo che si firmava Ludwig.
Ma chi oggi potrebbe fregiarsi del titolo di esecutore testamentario? Tra i tanti, il più degno è forse Bret Easton Ellis. Il folle omicida di American Psycho è un personaggio che a Poe non sarebbe dispiaciuto affatto. Altrettanto potrebbe dirsi del più recente Lunar Park, disturbante ghost story dove a indossare i panni del protagonista è lo stesso Ellis. La verità è però un’altra, ovvero quella intuita a suo tempo da T. S. Eliot: «Nessuno scrittore può essere sicuro di non avere subito l’influenza di Poe». La lista dei grandi che per certo gli devono molto è infatti sterminata: Lovecraft, Dostoevsky, D. H. Lawrence, Nabokov, Ginsberg, Borges. Senza contare che Poe è stato tante cose, oltre che poeta e narratore. Un indigente, un tenebroso, un costruttore di labirinti, un grafologo, un appassionato di mesmerismo, un crittografo. William Friedman, l’uomo che decrittò il codice usato dai giapponesi nella seconda guerra mondiale, fu ispirato proprio da un suo racconto, Lo scarabeo d’oro. E che dire delle balle mediatiche di cui Poe è stato l’iniziatore? Nel 1844 pubblicò su un quotidiano la sensazionale quanto falsa notizia che una mongolfiera aveva appena attraverso l’Atlantico suscitando una grande emozione tra la gente, accorse poi in massa alla redazione. Lo scrittore tentò di spiegare che era solo un’invenzione; nessuno gli credé. Non è forse un’anticipazione del panico che avrebbe in seguito scatenato la trasmissione radiofonica di Orson Wells sull’arrivo dei marziani? Orfano di una coppia di attori, adottato da un ricco mercante che poco lo sopportava, cresciuto da sudista benché nativo di Boston, ossessionato dall’incubo della perdita e dall’ansia di far colpo a tutti costi, attratto dalla luce della scienza ma anche dal regno indistinto e oscuro del sovrannaturale, un po’ genio e un po’ ciarlatano, Edgar Allan Poe ha sparso germi ovunque. In verità, il suo vero erede è l’uomo moderno, giacché nessuno meglio di lui ha precorso lo speciale inferno che ci siamo costruiti con le nostre mani in questi ultimi due secoli.