Lezioni di ballo per anziani e progrediti, Bohumil Hrabal, Einaudi, a cura di Giuseppe Dierna, 2018 & La signora nel furgone – e le sue conseguenze, Alan Bennett, Adelphi, traduzione di Giulio Arborio Mella e Mariagrazia Gini, 2018.
Il lungo monologo di Hrabal, pubblicato nel 1964 per la prima volta, è di un calzolaio anziano che racconta la propria vita, la vita militare durante la Seconda Guerra Mondiale, lui soldato, lui cantante e ballerino, poi maltatore, cortese e gentile con le sventole, vagabondo e flâneur. Il racconto prende avvio proprio dall’esigenza del racconto in sé e di sé: così come faccio con lei adesso, signorina, allo stesso modo la cosa che più mi piaceva fare […] così io a quello splendore di ragazze raccontavo del bel sogno che avevo fatto […] – in effetti la conclusione è anche essa circolare, per cui signorina io me ne stavo seduto […] e sei signorine prendevano il sole e ascoltavano quello che io gli raccontavo – e storie di personaggi noti all’epoca come quel tale, Leopold Hilsner, accusato di omicidio, che con una mano reggeva la bicicletta e con l’altra urinava, gossip, si direbbe oggi, diffamante, con incursioni nella psicoanalisi del sogno, galeotto il fantomatico Libro dei sogni di Anna Nováková, e Autoprotezione e igiene sessuale del signor Batista, racconti anche gli costarono denunce e minacce e la censura ceca, un ritmo incalzante, dotato di una saggezza propria, la prostituzione è l’occupazione di persone che altrimenti sarebbero disoccupate”, infondo la voce narrante appartiene a un calzolaio che si era fatto una cultura con lo «Světozor» e con Havlíček e col libriccino del signor Batista sull’igiene sessuale, un costrutto che procede per analogie, memorie e buchi di memorie, senza mai un punto, solo virgole e sospensioni…, solo virgole a ritmare un lungo soliloquio rivolto a una signorina di cui non si sa nulla, partecipi, noi i lettori, solo del flusso, del godimento della parola che tanto ricorda i personaggi di Beckett. Il libro andrebbe letto perché è desiderante la sua scrittura, di un desiderio che colloca il pianto del bambino, e il soddisfacimento dello stesso da parte della madre o di chi ne fa le veci, in due punti spazio-temporali opposti del ponte, e l’inconscio non distingue generi e ruoli, ponte tra inizio e fine, desiderio per cui Hrabal è solo un suo “trascrittore”, un “ripetitore”. Un romanzo-flusso, egregiamente inquadrato storicamente dal saggio introduttivo di Giuseppe Dierna, abitato da personaggi-tipo, ladri, assassini, soldati, la bella sventolona, il virile maschio vincitore, che alterna casi clinici, racconti da bettola, omicidi, suicidi, volgarità: con suo marito aveva relazioni intime sul pavimento e i figli, loro stavano a guardare, con un linguaggio che è egli stesso il protagonista, la sua forza che plasma e assembla banalità e filosofia, montaggio e stralunato collage paratattico sapientemente costruito – richiama gli astratti collages dadaisti – in modo da sembrare alogico, incomprensibile. Così come lo è una vita nel suo dispiegarsi cieco attraverso le insondabili danze del desiderio.
Di tutt’altro impianto è La signora nel furgone e le sue conseguenze memoir di Alan Bennett, che andò a vivere in Gloucester Crescent, a Camden Town, al n°23, dal quale egli trarrà la sceneggiatura del film per la regia di Nicholas Hytner: è la storia di Miss Mary Shepherd, la vecchia eccentrica che nel 1974 venne ad abitare nel mio giardino e ci rimase per quindici anni, fino alla morte. La vita della signora tradotta in un memoir che poi diventerà una sceneggiatura e quindi un film sulla vita di Miss Shepherd (viveva in un mondo diverso da quello dell’umanità comune, un mondo dove si poteva incontrare la Madonna davanti all’ufficio postale della Parkway e poco dopo Chruščëv; dove i leader internazionali seguivano i suoi consigli e il Collegio cardinalizio teneva in gran conto la sua opinione) qualche mese dopo la sua morte. Trasposizione cinematografica, film. Bennett riflette anche sul ruolo dello scrittore, sul suo rapporto con la verità: il più grosso handicap per uno scrittore è l’aver ricevuto un’educazione come si deve. Educato a non mentire e a non esibirmi, e con la simbolizzazione dei grandi classici: nel film Alan ammette di aver rubato una delle sue battute più belle a Proust ma forse la cosa va anche oltre: come Marcel guarda fuori dal suo appartamento dell’Hôtel de Guermantes e trasforma in arte quell’elegante andirivieni, così Alan guarda il furgone: con queste parole il regista Hytner che sottolinea anche il rapporto che lo scrittore intrattiene con il Bennett che scrive e il Bennett che vive: l’immagine di Alan Bennett alla scrivania che guarda Alan Bennett alle prese con l’immondizia traboccante dal furgone. Rifrazioni e costruzioni simboliche intorno al reale. Storia di una storia e riflessione. La prefazione del regista Nicholas Hytner è corredata da disegni del set cinematografico, una sorta di diario di riprese di quel che accadde al n.23 di Gloucester Crescent, abitazione di Alan, il rapporto degli attori con il vicinato, ma soprattutto il dialogo costante con la realtà e la possibilità di trasfigurarla del reale drammaturgico, nel possibile diegetico: il film parla anche di cosa deve fare uno scrittore per trasformare ciò che gli accade sotto il naso in una storia degna di essere raccontata. Il libro di Bennett si compone di una Prefazione (Andai per la prima volta a casa di Alan Bennett, dove questa storia ha avuto luogo ed è stata girata, nell’autunno 1989”) del regista Hytner, l’introduzione di Alan Bennett, (i brani che seguono sono tratti dal mio diario del 2014, da gennaio fino a ottobre, quando è stato girato il film La signora del furgone), il testo originale in forma di memoir e la sceneggiatura del film de La signora del furgone.
In entrambi questi libri, memoir che accerchiano il reale del passato e lo simbolizzano in un possibile presente, v’è il gioco della memoria e la probabilità che possa prendere forme differenti, sia come diario, sia come flusso di coscienza, sia oltrepassando i generi cartacei verso la realizzazione filmica e teatrale, e pure Hrabal opera un montaggio di ricordi a partire anche dai racconti dello zio-performer, anche è presente il rapporto che lo scrittore intrattiene con l’immaginazione e con il reale del passato: lo scrittore deve manipolare il reale per assecondare la buona riuscita della drammaturgia? La verità del desiderio deve sottostare alla falsificabilità del godimento? E quando la drammaturgia decide di imporsi come linguaggio pubblicitario da gossip spettacolare: fake news: è la dissocietà dello spettacolo è parte del linguaggio desiderante. Mentire. È l’antropologia postdigitale che semplicemente, credo, sposta il limite della falsificabilità del ricordo e della notizia del presente.
Forse sì, forse forse, da un certo punto in poi, si dovrà intendere per falso il corpo di carne destinato alla deperibilità e per vero il digitale sempre reperibile e al momento stesso effimero. Si dovrà fare in conti con un inconscio nuovo, elettrico, appunto.
I due testi pongono anche un’interessante luce nuova su come intendere la scrittura della memoria che brilla negli occhi di una persona anziana.
Siamo ancora l’epoca e la generazione che potrà raccontare di sé, magari per conto terzi, esperienze che varrà la pena riscrivere?
Abbiamo avuto una giovinezza degna di una vecchiaia saggia?
Buona lettura!