L’ho letto di notte il memoir collettivo di Lia Migale; quando di solito le anime volgono all’oblio, io ho voluto ricordare, benché l’autrice abbia conseguito il diploma di maturità quattordici anni prima di me, le stesse strade, gli stessi sentimenti. Siamo infatti in una città romana col suo anfiteatro e il suo duomo romanico che sorge dove il corso antico si congiunge con quello nuovo; una ridente cittadina di provincia che dista parimenti 20 km dal mare e dal granitico Gran Sasso. Frequentavamo lo stesso stabilimento balneare Marconi e ballavamo al Sayonara; qualche amicizia in comune in anni diversi ci lega a persone eclettiche e talentuose, un attore di teatro, Silvio, e una nota cabarettista, Grazia; il compianto Marco lo ricordo benissimo. Stessi circoli universitari e culturali erano il teatro di sguardi incrociati e baci rubati; lì inseguivamo il sogno di amori impossibili, sulle note di Bobby Solo e i Beatles e ci struggevamo sui versi di Leopardi con lo stesso spleen romantico. Il testo, di assoluto pregio stilistico e documentario della generazione, nata a ridosso della guerra, dà uno spaccato vivo e commosso dell’Italia al tempo del Movimento anni Settanta, dove l’amore, inteso in senso stretto e lato, come sacrificio di sé per la causa comune, gioca un ruolo fondamentale. Era il tempo degli ideali, delle prime conquiste di liberazione sessuale, mentre le ragazze di provincia, come Lia, Gioia, Rossella Anna…, assistevano con dolore e invidia alla maggiore libertà dei maschi, cui pure occhieggiavano. Le lunghe chiacchierate nei bagni delle scuole, la cosmesi comunitaria, lo studio pomeridiano di gruppo, gli stessi gusti musicali univano una generazione nata sulle ceneri della guerra, sulla povertà, ma anche sulla ricchezza, stante una certa sperequazione sociale, che in provincia si avvertiva in modo sensibile. Tutto parte da una lettera che l’autrice trova dell’amica Gioia e la memoria d’incanto si srotola; se la rivede davanti agli occhi quell’amica, rimasta intatta nella sua bellezza anche da morta ; e rivede tutta la sua vita e gli trova un senso. Rivede se stessa, Annetta, Rossella, Bianca, Wanda, Clara, Silvio, Marco…; il tempo è quello della vita vissuta, ma appare ora come una freccia, senza possibilità di ritorno. Siamo di fronte al solito dilemma: il tempo da giovani ci appare circolare con infinite possibilità davanti e di dietro, con la maturità, una linea dove tanto si è perso e risulta irrecuperabile. Viviamo questa condizione con una profonda cognizione del dolore che la vita ci dà e col rimpianto di essere stati tristi e consumati da una passione non corrisposta quando potevamo essere felici. La vita ci toglie piuttosto che darci; a Lia Migale ha tolto la sua alter ego, Gusmana, di travolgente fascino, così ambiguamente amata da creare una sovrapposizione tra le due amiche. Povera Gusmana, morta giovane di tumore, povera Lia rimasta dimidiata! La vita ci costringe a cambiare sempre e ancora sempre; niente rimane uguale e Parmenide ha perso. Lia, la sua generazione e la mia hanno patito la mutazione della pelle e finanche un simbolico espianto del cuore, quando qualcuno di vitale se ne va, risucchiato da morte precoce: Gusmana, Mario, Michi, Marco, il padre…e ora, passeggiando per la città natale o per i cimiteri di Roma, dove si è trasferita da universitaria e tuttora vive, Lia va a far visita ai suoi defunti, ancora profondamente dolente per ciò che è stato e mai più sarà. Nella foto in bianco e nero in copertina avanti e retro, ragazze col megafono e il pugno chiuso celebrano la prima giornata femminista, l’otto marzo del 1972; foto che mi evoca ricordi lontani, ma tuttora presenti, di quando protestavo in nome della mia e della altrui libertà femminile. Poi l’ingresso di Lia in LC, il sostegno agli operai davanti le fabbriche contro il Capitalismo che avanza, l’amore e la condivisione; a qualcuno sfugge il controllo e si dà alla lotta armata, come Marco, che finisce in carcere e poi si suicida. La strage di Piazza Fontana, l’incriminazione di Valpreda e l’inizio degli anni di piombo. Tutto viene dalla scrittrice rievocato con dolore di fronte alla morte, ma anche entusiasmo per ciò che si è stati, per essersi sentiti i promotori della pace, per aver sentito urgente il sacrificio per la comune causa. La vita intensamente vissuta arreca gioie certo, ma anche dilania; Lia ne porta i segni e cade in malattia, da cui si risolleva grazie alle amiche. Le donne sono le protagoniste più riuscite dell’opera; certo perché la scrittrice è particolarmente sensibile alla causa femminista e oggi è membro del direttivo della Casa Internazionale delle Donne di Roma. “Michi l’avevo conosciuta quando, dopo l’uscita da Lotta Continua, con altre compagne avevamo costituito il Collettivo Centro…Le sue parole erano il vento del sapere del noi che volevamo essere libere: libere dai legami, libere di amare, libere di fare, libere di essere.” Certo, Lia Migale, teramana di nascita e romana di adozione, ha avuto la libertà di essere una donna libera e una grande scrittrice.