Libri da leggere: quelli che vivono di vita propria, nello spazio e nel tempo. Libri da rileggere: quelli che rivivono in noi per sempre, a ogni costo. Quello di cui sto per parlarvi è un libro che appartiene alla seconda categoria. Fidatevi: sono alla terza rilettura e non posso più fare a meno di queste potentissime pagine in prosa. Perché esistono tante ragioni per credere nel potere dei libri che leggiamo, in particolare per ascoltare (con mente e cuore, appunto alla giusta frequenza) una magnifica storia scritta a partire dal propri vissuto, una narrazione che prende il nome di memoir. Eppure alcuni libri vanno oltre, si tratta di quei libri che hanno il potere di prendere per mano il lettore e di accompagnarlo verso vite altre, che meritano di essere scoperte, col fine ultimo (forse escatologico) di ristabilire le regole del “gioco” dell’esistenza umana. Tutto questo, talvolta, accade attraverso una testimonianza sincera che si fa narrazione viva di carne e parole. L’abilissima scrittrice Lidia Yuknavitch, in questo suo libro che in copertina reca la definizione di romanzo, ma che di fatto è un memoir scritto in modo magistrale, accompagna il lettore pagina dopo pagina, per raccontargli la sua sconvolgente esistenza. Una non-vita che nelle prime pagine odora di morte, e che si conclude come vita allo stato puro, nel finale del libro che emana il profumo di quel vento di rinascita interiore a cui molti esseri umani aspirano, ma che richiede un grande sforzo di volizione individuale unito a un po’ di fortuna necessaria. Una frase-sinossi ideale, dedicata al libro, potrebbe essere: materia inanimata e biologica che muore per sempre, materia esistenziale rianimata che torna alla vita. Tutto questo trova forza in queste righe della Yuknavitch, mentre il flusso narrativo offre al lettore una o più ragioni per proporre un percorso possibile, quello utile a uscire dal dolore del vivere. Una strada di luce necessaria, da percorrere per sfuggire al male subito (o a quello auto-inflitto), tenendo ben chiara una lucida consapevolezza cara all’autrice: mai dimenticare il senso dello stare al mondo facendo arte, nella fattispecie scrivendo. Si tratta di un memoir scritto per sottrazione strutturale (perché non ha, nell’intenzione e nell’intuizione dell’autrice, una struttura drammaturgica che riconduce a un romanzo contemporaneo) e per aggiunta di frammenti di vita vissuta in prima persona, una vita che ha portato la Yuknavitch a camminare sempre sul ciglio di un burrone che provava a ingoiare lei e tutti quelli che ruotavano attorno alla sua vita. La protagonista del libro, e in questo caso narratrice in prima persona, ha vissuto molti anni della sua vita in piena (e pericolosa) velocità per diverse ragioni, tutte legittime: per un desiderio di sfida interiore alle convenzioni sociali, per una ricerca necessaria di un modo familiare non violento, per ribellarsi al dolore con cui è cresciuta a causa di un padre violento e una madre indifferente (o del tutto assente) rispetto al suo ruolo genitoriale. In quel caos di vita, in quell’esistenza lacerata, la protagonista del libro – per alcuni anni della sua adolescenza – trova la forza di convivere con il dolore, cercando di condensarlo attraverso un elemento a lei caro: l’acqua. Quello stesso elemento liquido vitale che la coccola fin da piccola, perché per lei (nuotatrice di alto livello premiata alle competizioni nazionali) solo l’acqua può accoglierla ogni volta che torna a nuotare per sentirsi, nella sua solitudine, riconosciuta e amata. Eppure, col tempo, neanche il nuoto agonistico può essere una valida ragione di vita: la protagonista, tra mille peripezie e accadimenti a dir poco picareschi, mollati gli allenamenti in piscina, riesce comunque a trovare la sua strada: scopre che l’arte, in particolare la scrittura, può essere lo strumento a cui affidarsi, per rinascere ancora una volta e fare i conti (anche) con le possibilità di un’esistenza dignitosa e serena. Ci crede davvero nel suo fare e pensare: si rimette a studiare, per diventare una docente di scrittura creativa. E mentre insegna continua a scrivere i suoi racconti, per restituire uno stile (e una forma) a quel vissuto tangibile di cui è portatrice. Basta questo a definire letteratura questo libro, meglio non aggiungere altre sul contenuto. Bisogna però ribadire una notizia importante: Nottetempo Edizioni, guidata da professionisti appassionati e capaci, con sincera caparbietà, ha creduto in questo libro uscito ormai tanti anni fa negli Stati Uniti, con due gesti di professionalità editoriale fondamentali: dandogli una veste editoriale accattivante e affidando la traduzione, precisa ed elegante, all’operato di Alessandra Castellazzi.
Da lettore appassionato di narrazioni biografiche da leggere tutte d’un fiato dico: viva le storie scritte, proprio quelle che da verbo orale diventano corpo di carta e inchiostro; lode eterna a chi riesce a scriverle stupendoci ancora con un elegante (e antico) gesto dello Scrivere per produrre una speranza concreata e reale nell’agire umano e grazie di cuore a chi le sceglie ( e pubblica) per il mercato italiano.
Mario Schiavone
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Lidia Yuknavitch
La cronologia dell’acqua
Nottetempo Edizioni
17 euro
334 pagine