Non erano state le sue donne a renderlo cornuto, bensì il suo modo di immaginare l’amore.
Per Adolfo, spagnolo di nascita ma di origine polacca, non esistevano confini dell’amore più tangibili di un pene e di una vagina: sesso e lussuria erano l’unico modo in cui aveva amato, e il piacere dell’orgasmo (prevalentemente il suo) lo faceva sentire persino altruista e rispettabile.
Nonostante la gradevole sensazione di essere al centro della più luminescente galassia, Adolfo sospettava continuamente, con spontanea gelosia, che ci potesse essere una qualche supernova inattesa nel suo universo: un altro uomo, un amante di cui percepiva la forza dirompente, l’onda d’urto e un flusso di radiazioni invisibile e contaminante.
Si poneva delle domande. All’inizio erano solo dubbi, successivamente diventavano ossessioni e convinzioni. Infatti, le risposte a quelle ipotesi si risolvevano sempre nell’assolutezza di una tesi: una supernova si era infilata nel suo letto e aveva attratto la sua stella preferita.
La stella di quei giorni si chiamava Amalia Mulder: una ragazza dei Paesi Baschi con i genitori dei Paesi Bassi, studente di ricamo e merletto, nella Barcellona del 1955.
Amalia conobbe Adolfo alla Monumental Plaza de Toros, avendo ricamato con oro e argento la sua caquetilla: la giacchetta corta con spalle rigide e giromanica aperti.
Fu proprio Adolfo Manuel Pepe Luis Kowalski (detto “El Manolete”, perché cominciò a masturbarsi a soli nove anni) a pretendere che la giovane artigiana partecipasse alla sua vestizione prima della corrida, permettendo addirittura alla adolescente Amalia di infilargli le calze in seta rosate sino all’inguine, vicino alla propria innata virilità. Adolfo stava in piedi, davanti alla sartina inginocchiata e preoccupata di tendere bene i calzettoni di raso, evitando di strapparli… Gambe appena divaricate e fronte alta, Adolfo restava fermo, immobile e carismatico come il più audace dei toreador, lasciando che il suo pene si ergesse sotto i mutandoni molto attillati: una spada acuminata pronta a trafiggere in profondità, sino al cuore di Amalia che già si era innamorata di quel coso lì sotto.
I giorni seguenti Amalia non fece che pensare a quell’ammasso pulsante sagomato dalle stoffe. Lo immaginava tra le sue labbra e anche tra le cosce, e lo descrisse alle amiche simile a un dolce tipico del mercato che non si era mai potuta permettere, ma che la faceva salivare al solo pensiero.
Dopo due mesi di corte e passione didascalica, Amalia infine cedette alle lusinghe del torero e si trasferì nell’abitazione di Adolfo, per divenire la sua concubina e la sua unica amante.
Scalarono il palazzo di nove piani, verso l’attico, con un ascensore: la prima volta per lei che sussultò. Che fremito! Non riuscì a resistere, percepiva battere il cuore similmente a un tamburo potente, e trovò il coraggio e la gioia di lanciargli le braccia al collo e baciarlo. Dentro quella cabina che saliva quanto il suo desiderio, Amalia leccò la lingua di Adolfo come fosse un animale, rigirando più volte la propria dentro la bocca di lui che sì sentì succhiare via lo sperma dalle tonsille… E in quella ascesa a lei parve di udire una musica gitana, mentre Adolfo si accorse di essere venuto nelle mutande lungo il tempo della tromba delle scale.
Anche se la galassia di Adolfo brillava, lo faceva per un tempo troppo breve, quindi, trascorso un mese, Amalia era stufa del sapore di quel dolce e ne avrebbe voluto scoprire il piacere tra le gambe, se i coiti di Adolfo non fossero stati del tutto identici a quei biscotti della nonna che dovevi mangiare al volo dopo averli inzuppati nel tè, per non disperderli nella tazza.
La risposta ai desideri di Amalia arrivò un giorno insieme a un operaio in tuta blu della TCN: l’azienda di “Telefonía Comercial Nacional”.
Pedro era un catalano scuro di carnagione e ingrassato a causa dell’altezza, ossia pesava poco più di ottanta chili, ma era alto poco meno di un metro e sessanta, quindi lo si poteva considerare un falso grasso oppure un magro basso.
Senza audacia e senza gloria, Pedro aveva trovato un lavoro fisso da poco tempo, non per incapacità, ma per indolenza.
All’alba della vita, Pedro era già stanco. Invece di piangere, alla stregua di tutti i neonati, respirò con calma il nuovo mondo e si addormentò sul seno di sua madre, come dopo un orgasmo, con la sigaretta ancora accesa tra le labbra.
“La vita non sempre ti fuma tra le dita…” ammise sconfortato quando firmò il contratto per la mansione di operaio. “Ma le sigarette costano!”
Dal momento in cui Amalia si trovò per le mani il telefono e la cornetta in bachelite nera ebbe un solo scopo: scopare Pedro, appunto!
Quel telefono installato, sia chiaro, non serviva a niente e non squillava mai, era soltanto l’ennesima ambizione di un ricco matador che acquistava ogni oggetto di lusso o valore con la stessa velocità con cui eiaculava.
Quando il telefono squillava, dall’altro capo poteva esserci dunque solo Pedro. Veloce, in assenza di Adolfo, a raggiungere l’attico, ma lentissimo e accurato nel trascorrere i giusti movimenti dentro Amalia. Pedro badava al sodo, alla durata e alla costanza, senza sprecare nessuna occasione: tipica dote di chi fosse abituato alla dura parsimonia e ai rigori della povertà.
Accadde un pomeriggio che Adolfo non si esercitò coi tori castrati, per via di una certa pesantezza alla testa e dei soliti dubbi.
Il suo inatteso rientro a casa fu un incubo a occhi aperti…Si ritrovò imprigionato dentro un sogno, alla mercé di una allucinazione vivida e crudele.
Sua moglie lo aveva tradito?
Le prove parlavano chiaramente: le lenzuola disfatte dai corpi come il mantello che sfida il toro, l’intimo sul pavimento, sangue e arena, il profumo della fiesta nell’aria, la mimica di Amalia: colpevole di tutto.
Ma erano davvero prove?
L’apparecchio telefonico lo distrasse, trillò per la prima volta! Chi stava chiamando? Dov’era il telefono? Da dove proveniva quel suono? Da sotto il letto?
Cercò il telefono come un torero in cerca di fama. La risposta ai suoi sospetti poteva essere in quella telefonata. E infine lo afferrò per la cornetta.
Restò in silenzio.
“Pronto amore, sono Pedro! Scusa se sono scappato via prima del solito. Già mi manchi e manchi anche al mio uccello! Ahahah… Amore mi senti? Pronto Amalia, ci sei? Amalia… Amalia sei Tu?”
Clic.
Quando Adolfo ripose la cornetta, Amalia era già sull’uscio, con il vecchio cappottino di lana addosso e la borsa di sua madre. Non aveva nulla da portare via, non c’era nulla che le appartenesse, ma aveva lasciato tanto in quell’appartamento.
Lo guardò un’ultima volta, senza rimpianti, con gli occhi liquidi di un bue che non si era mai finto un toro, e se ne andò chiudendo piano la porta.
“Vai via! Scappa!” gridò Adolfo. “Scappa pure Vacca. Sei una Vacca della peggior specie!”
Adolfo passò quella notte seduto sul gabinetto, tormentato da dolorosissimi crampi intestinali. Riuscì ad alzarsi solo qualche minuto, tra una scarica di diarrea e l’altra, per cercare fogli e carta in giro per casa: anche un giornale sarebbe andato bene, anche una locandina della Plaza de Toros.
Alle tre di notte tirò l’acqua. Una, due, tre volte…
Per sturare la tazza del cesso usò il telefono. Strappò via la cornetta con cavo annesso e la spinse sino in fondo, con durezza e decisione, dentro quel brodo primordiale.
Spinse la cornetta più volte, con un certo ritmo e con la giusta pressione.
E, guardando i propri escrementi galleggiare vicino al bordo, pensò all’universo, ai pianeti, alla gravità e a quanti discorsi di merda fossero passati da lì.
Angelo Orazio Pregoni