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Lino Berton. Qualcosa che non muore

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«Quanto poteva pesare la nostra volontà di vincere?»

Non molto tempo fa, in questa stessa rubrica, ho raccontato la lettura di un altro libro edito da Amos Edizioni, una piccola casa editrice di Mestre (VE). Lo stesso giorno in cui informai l’editore, al suo spazio promozionale a Pordenonelegge 2019, che avrei parlato di quel romanzo, lui mi mise tra le mani il libro di cui racconto oggi: Qualcosa che non muore scritto da Lino Berton, al suo esordio come romanziere.

Questo romanzo è un tuffo da altezze vertiginose, con tutte le conseguenze che ci si può immaginare, con tutte le incertezze di che cosa si potrà trovare in fondo alla caduta, con le possibilità di un esito tragico o spettacolare. Considerando tutto questo, il romanzo di cui racconto oggi è forse il più adatto, o uno dei più adeguati al titolo della rubrica: “Recensioni coraggiose”.

Coraggioso è parlare e invitare a leggere un esordiente, pubblicato da una piccola casa editrice, coraggioso è farlo da ipocondriaco dichiarato per anni e anni, coraggioso è farlo da marito leggendo la storia di un “collega” che racconta in questo testo l’esperienza vissuta accanto alla moglie malata di cancro.

La storia entra immediatamente nel vivo, concedendo al lettore solo un paio di dettagli sull’infanzia e la vita giovanile del marito prima di incontrare quella che sarà con lui la protagonista: Sandra, sua moglie. A Sandra, poco prima della partenza per una vacanza di coppia, viene diagnosticato un tumore tra i polmoni, un tumore che ha una crescita spaventosa in termini di dimensioni e di tempi.

Sandra viene presa subito in cura da equipe specializzate, vengono fatti gli esami del caso, vengono addirittura formulate in tempi relativamente brevi, ipotesi di probabilità di salvezza: 50%. Scrivo questo dato in cifre volutamente. Perché forse a partire da questo dato, e da quelli che seguiranno, il romanzo prende una via molto particolare nel suo svolgersi.

Due sono le dimensioni di questa storia che sostengono in modo più o meno stabile la vicenda principale, la malattia di Sandra: una è la dimensione affettiva del legame tra marito e moglie, sposi peraltro da nemmeno un anno, l’altra è la dimensione sanitaria, il rapporto con le strutture di cura, con i medici, con il sistema sanitario.

Questo libro capita fra l’altro in un periodo davvero “adatto”, ma chi ama i libri sa che sono loro spesso a chiamarci da scaffali affollati dove si spingono uno con l’altro per riuscire a cadere dalla mensola ed essere notati.

Tornando alla storia, il rapporto umano tra un uomo e una donna che l’autore ci svela, si scopre profondamente sincero, cresce e si rafforza mentre il male si fa sempre più spazio, occupa il loro territorio, si fa sentire drammaticamente. Questa crescita dell’amore tra due coniugi, insidiata dalla fatica, dal dolore, dalla paura, dalla depressione anche, spinge il marito a lottare con tutte le sue forze e le sue capacità per trovare una via d’uscita, una soluzione, una struttura d’eccellenza che possieda la cura giusta per far guarire sua moglie, che nel frattempo, dopo l’ennesimo esame ha ignara, ridotte speranze di farcela. Siamo già a solo il 30%.

I numeri si fanno pesantissimi, ma lui lotta sempre di più, è animato da certezze incrollabili, e ben presto si rende conto che non c’è da lottare solo contro il male fisico, ma anche contro la burocrazia, soprattutto contro i burocrati, e sperimenta altrettanto tristemente che, accanto a tantissimi angeli di cui in questi mesi sentiamo continuamente parlare, ci sono gli indifferenti, coloro che operano secondo protocolli standard, secondo automatismi, che sono assuefatti al dolore, ai parenti rompiscatole, anche alla morte.

La storia si fa sempre più densa, la speranza si alterna alla rabbia, alla incapacità di comprendere il perché di scelte evidentemente assurde, il perché di atteggiamenti palesemente fuori luogo.

«L’Amore è il più antico tra gli dèi».

E così facendo, portando la storia alla tensione massima finale, l’autore modifica anche la sua scrittura. Partito con una vena poetica, che esprime con delicatezza assoluta l’amore tra i due protagonisti, costruita la parte iniziale disseminando qua e la i pensieri e i sogni che girano in testa al marito di Sandra, in un graduale crescendo accanto alla evoluzione del male fisico, anche il linguaggio si fa più combattivo, mai sfociando in alcuna volgarità, ma chiarissimo e estremamente evocativo di analoghe situazioni, che ciascuno di noi ritroverà come proprie, sia positive che negative.

La scrittura di Lino Berton mi ha subito richiamato alcune attività diciamo ludiche, sportive: il lancio delle freccette, il tiro al piattello, il lancio dei coltelli negli spettacoli circensi. Non lo dico in tono dissacrante rispetto al tema serissimo della storia, ma la scrittura di Lino sembra proprio fatta di piccoli segmenti, come una freccetta, un piccolo coltello che vengono lanciati verso un obiettivo, l’una infilzandolo, l’altro con lo scopo di evitarlo. Sembra anche un piattello che tutto spera fuorché di essere colpito dal tiratore. Le frasi sono nitide, definite, i capitoli brevi, le situazioni raccontate essenziali, niente fronzoli inutili.

A mio parere questo lavoro merita molta attenzione, questo libro e il suo autore hanno molto da dirci. Complimenti a Amos Edizioni per aver puntato su di lui.

Claudio Della Pietà

«Se può essere facile riuscire a dare un senso a un dolore violento, è più difficile farlo con il dolore sottile come quello della consapevolezza di essere venuto al mondo, ma di dover morire. Ma quando il dolore dipende dal fatto che comprendi che per tre mesi nessuno ti ha capito, il dolore diventa disperazione».

Lino Berton

Recensione al libro Qualcosa che non muore di Lino Berton, Amos Edizioni, 2014, pagg. 216, euro 15.

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