Il nuovo libro di Marco Simonelli, edito da Valigie rosse nella collana Caratteri curata da Paolo Maccari e Valerio Nardoni nel 2021, interroga il lato oscuro del desiderio. L’impianto poetico è tradizionale in apparenza. L’andamento del verso endecasillabo, che costruisce doppie quartine e sonetti le cui rime alternate sembrano voler incatenare l’esistenza stessa in alti e bassi, entrate e uscite da un dolore che però genera magnifica creazione, è una trivella, come direbbe Simonelli, che rompe il guscio delle cose e ne mostra la Cosa, l’essenza che resta sulla pelle. Non c’è, credo, separazione tra desiderio e simbolo, tra legge ritmica e capriccio esistenziale. Litania Nervosa è la consapevolezza che la tenebra interiore non si sconfigge ma la si traduce, la creatività è lo snodo che riprende il sentiero interrotto del disagio di stare al mondo e lo prosegue nell’arte. Ripetendo, ripetendo vita. È dunque una superficie di profondità, la musica di Simonelli, essendo egli anche uno slammer, un performer, un poeta che mette in corpo e in scena la dizione scritta della metrica tradizionale e ne ricava un tesoro personale, mai personalistico. Individuato e mai individualistico. La poesia di Litania Nervosa traccia il profilo di una storia del tutto privata, ma privata soprattutto del rischio di caduta nell’ego autoriferito e il mantra nervoso, infine, non può che riguardare noi, il mondo, il resto fuori dalla pagina scritta e distante dalla propria esperienza personale. Litania Nervosa è una preghiera laica, il ritmo pulsante dell’esistenza. La carne bruciante della ricerca del desiderio.
«È solo colpa tua se sei depresso.
Dovresti stare attento ai tranquillanti.
Dovresti uscire fuori un po’ più spesso.
Dovresti superarlo. Andare avanti.
Lo fai apposta, è tutta una finzione.
Ti senti male? Cosa vuoi che sia.
Stai ripetendo il solito copione.
Un brutto caso di malinconia.
Concediti una gita, una vacanza.
Il mondo non è tutto o bianco o nero.
Non startene rinchiuso in questa stanza.
Tu pensa a chi sta male per davvero.
Amici cari. Affetti. Conoscenti.
Fratelli. Genitori. Altri parenti.»
Litania Nervosa mi fa pensare a certe strutture metriche di Gabriele Frasca, ma anche a quella sorta di oggettivismo tipico di Valerio Magrelli, mentre il tema certamente ricorda Giuseppe Berto del Male Oscuro, per quanto nella tua poesia ci sia una luce che illumina e si prende cura della malattia. È un passo, un passaggio, un oltraggio, oltrepassare la morte: come hai deciso di oltraggiare il demone oscuro, non di combatterlo, che a combatterlo lo si rafforza, ma ricollocarlo nella poesia? – con il lato oscuro del desiderio è sempre così: ricollocare in altri luoghi quello che nel nostro luogo interiore sta stretto – insomma, come nasce Litania?
Dici bene quando parli di “ricollocare”. La Litania nasce in un caso esistenziale particolare: nel gennaio del 2018 sono stato ricoverato in psichiatria per un banale cambio di farmaci. In genere si ha l’abitudine a soffrire in solitudine, lo star male è decisamente poco sociale, tanto meno social. In quel frangente mi sono ritrovato insieme ad altre persone che avevano più o meno il mio stesso disturbo. Questa immedesimazione, questa vicinanza, questa sofferenza comune mi ha spinto a chiedermi se non fosse possibile esprimere il malessere in poesia, cercando di essere il più preciso possibile.
« Tacito orror di solitaria selva
Vittorio Alfieri»
La prima sezione è composta da doppi gruppi di quartine che portano in esergo versi tratti da vari poeti. In qualche modo l’esperienza personale e poetica sembra riconnettersi alla tradizione, all’universale, un connubio tra biografia e memoria collettiva. In questo scorgo una ricerca e anche un modo di rinnovare la tradizione in senso però mai accademico: secondo quale criterio è stato scelto ogni esergo e che legame ha con la doppia quartina di riferimento?
Il criterio è meramente antologico e in un certo senso casuale. Da anni frequento un laboratorio di scrittura creativa e in questi ultimi anni abbiamo lavorato scegliendo versi dei grandi autori del passato. Un esergo in questo caso ha la funzione di titolo o, per essere più precisi, di traghettatore di senso verso il testo poetico.
«Con un certo disgusto di se stesso.
Con la voce incrinata. Con disagio.
Valutando la cosa nel complesso.
Parlando finalmente del naufragio.»
Questa quartina fa parte della seconda delle quattro sezioni. In tutto la ritmica è ossessiva e musicale, ritualizza l’ingresso e l’uscita dallo stadio del tremendo tepore depressivo. Mi fa pensare alla danza che un corpo può mettere in metro solo dopo che ha provato lo sprofondarsi nell’immobile. Ci racconti come sono strutturate le quattro sezioni di Litania Nervosa e se hai mai pensato di rompere con la metrica tradizionale e scrivere senza rima e ritmo? È mai possibile fare a meno del ritmo in poesia?
Litania Nervosa è strutturata in quattro sezioni: nella prima ogni testo racconta un sintomo più o meno allarmante del disturbo depressivo. Nella seconda parlo di un ricovero in un reparto psichiatrico, dall’ammissione fino alla socializzazione con gli altri pazienti. Nella terza, con uno stratagemma retorico mutuato da Antonio Porta, faccio parlare a vario titolo coloro che circondano il depresso senza realmente capire né lui né la sua malattia. Nella quarta affronto il tema del recupero, fra timori, ricadute e sostegni analitici. Per quanto riguarda lo scrivere senza rima né ritmo, credo di averlo fatto in passato. Specifico: ho fatto a meno della rima, fare a meno del ritmo è più difficile. Se dovessi rinunciare al ritmo forse scriverei in prosa, mi verrebbe più naturale. Ma un certo ritmo (non necessariamente fisso né martellante) c’è a vario titolo in ogni poesia che aspiri ad essere tale. Può essere un ritmo interno del poeta, può essere addirittura inesprimibile o non coscientemente affiorato, può essere dissonante ma difficilmente è irrintracciabile.
«Ma pensa positivo. Se potessi…
Dovresti praticare un po’ di sport.
I consigli amichevoli. Gli stessi.
Farò certo il possibile. Vedrò.
E smetti di pensarci ogni momento.
Impegnati di più, almeno tenta.
Dovresti aprirti ad ogni mutamento.
Io non capisco cosa ti tormenta.
Le medicine fanno solo male.
Tu pensi troppo, pensa a divertirti.
Come dici? Portato all’ospedale?
Sei in rehab? Sei dentro a ripulirti?
Addosso non c’è traccia di ferita.
Del dolore si lavano le dita.»
È il primo sonetto della terza sezione: fa riflettere su quanto spesso, non avendo provato sulla propria pelle il tatuaggio della depressione, ci si avventi su consigli e altre panacee. Spesso si pensa sia solo tristezza, un lieve malumore. Ma bisogna provare con tutto il corpo certi tipi di malessere per capire l’impossibilità di spiegare il vuoto. Però tu, con la poesia, e anche con leggerezza, riesci a dire, a esprimere, quel che è difficile e oscuro. Che rapporto ha la tua scrittura con il corpo e con l’oralità?
Ogni poesia, prima di potersi dire tale, deve essere fonetizzata. Vale a dire che il testo scritto deve attraversare il corpo per fuoriuscire in forma di voce. Si tratta di un processo che coinvolge tutto il corpo, non solo polmoni, laringe, bocca. D’altronde anche la composizione è un fenomeno che ha molto a che vedere col corpo: Osip Mandel’stam, per descrivere il suo metodo di composizione in versi, parla di impercettibili movimenti delle labbra che cercano di riempire con accenni di parole dei pattern prestabiliti.
Da quasi un anno vedo questo tizio.
Entrambi siamo adulti e consenzienti.
È un professionista. Ma all’inizio
mi dava un po’ fastidio. Accidenti:
pagare per un simile servizio
– stando sempre peraltro molto attenti –
lo fa sembrare simile ad un vizio
da perversi frustrati impenitenti!
Si tratta a dire il vero di contatto
umano, merce rara, ultimamente.
È un tipo discreto per contratto
persino col cliente più impaziente.
Mi sembrava davvero il tipo adatto
per un rapporto allievo-con-docente.
A chi volesse mettere in poesia la propria singolarità, il proprio vissuto desiderante o nefasto, cosa potresti consigliare? La tua scrittura dimostra che si può parlare degli altri e delle altre, a partire da un proprio personalissimo dolore: come ci sei riuscito? Quanto conta per te il contatto, la condivisione, merce rara appunto, di questi tempi?
Direi loro di pensarci due volte. Il problema non è esprimere un’individualità ma farlo in modo originale. Temo non sia affatto facile, serve molto lavoro di documentazione onde evitare di ripetere quanto fatto in passato. Credo sia in parte inevitabile che la propria individualità emerga in un prodotto artistico. Io avevo una forte ambizione, quella di superare l’io lirico, affrancarmi dallo strapotere dell’ego. Ho cercato di ridurre la questione ai minimi termini. Se il problema era l’io, avrei usato un altro pronome. E mi è venuto spontaneo usare il tu. Un tu che è anche un io, certo, ma che sposta il fuoco dell’azione dal soggetto scrivente all’oggetto lettore. Il tu, nel caso di Litania, ha il potere di far sentire il lettore parte integrante di quello che succede. Ecco che allora un contatto diventa possibile. Per me è essenziale condividere un testo appena creato e ringrazio gli amici/colleghi del mio laboratorio di poesia con cui mi confronto settimanalmente per questa opportunità
« Tremante violino a corda elettrizzata
Dino Campana
Poi ti passa l’archetto sopra i nervi
suonando un movimento dell’Adagio.
Dalla finestra aperta allora osservi
avanzare un feroce nubifragio.
Una straziante, cupa melodia
che nota dopo nota ti rattrista.
Interpretata senza anestesia
da quell’esperto, ossuto musicista.»
La musica prima d’ogni cosa, avrebbe detto qualcuno. Che ruolo ha nella tua poesia la musica? Ci sono dei riferimenti extraletterari che influenzano il tuo scrivere?
Più che di musica io parlerei di rumore: quando componi un testo, soprattutto se è un testo a metro fisso, accade che l’idea che lo genera si palesi alla tua mente non come una parola né tantomeno con un ritmo o con un’immagine ma con un ganglio fonetico. Sta a te poi riuscire a trasformare questo agglomerato pre-sillabico in qualcosa di più maneggiabile come una parola di senso compiuto. Per quanto riguarda i riferimenti extraletterari credo che Litania Nervosa sia nemmeno troppo segretamente debitrice dei film di Alfred Hitchcock per quella sua capacità di creare suspense, per l’ironia macabra, per il meccanismo a orologeria.