“Molte navi affondano e non raggiungono mai i Sargassi, ma nessun sogno scompare mai del tutto. Da qualche parte turba uno sfortunato e un giorno, quando la persona in questione sarà stata sufficientemente travagliata, ecco che il sogno sarà riprodotto nello studio”.
N. West, il giorno della locusta
C’è un Ranch a Gatehouse di Wickenburg, Arizona, ci sono dei cactus all’entrata e tutta la polvere che un uomo o una donna possano respirare prima di asciugarsi il sudore, prima di calciare qualche sasso e guardare in faccia alla vita o ai giorni peggiori.
C’è un modo di affrontare le cose che è proprio di quella terra: è duro e arido, è vero come lo sono le cose che ci colpiscono allo stomaco ogni volta che tentiamo di essere qualcun altro, ogni volta che cerchiamo di celare la nostra vera natura e non indossiamo i nostri abiti. Lo sporco rimane addosso. Ma anche la forza rimane attaccata alla pelle, deve solamente trovare il modo di esplodere.
La vita non ha un regista e non ha degli attori, prende le persone e le illude nelle loro esistenze. Il tempo è l’unico che dà la caccia a tutti noi. Non sempre sistema le cose. Asciuga le lacrime e sparge la sua insostenibile polvere e ci pesa.
È Il tempo che da la caccia ai “giovani provenienti dal mondo dello spettacolo. Cresciuti all’ombra della fama dei loro genitori miliardari”, ragazzi schiavi di qualsiasi tipo di dipendenza: cocaina, anfetamine, psicofarmaci, interventi estetici e sesso compulsivo.
Livia Sambrotta in Non salvarmi, thriller edito da SEM in uscita oggi nelle librerie, ci porta il quel ranch, in quella comunità dove i ragazzi cercano di guarire attraverso il metodo degli Alcolisti Anonimi e l’ippoterapia. Occupati tutto il giorno “travolti dalla stanchezza, i ragazzi crollano a letto” e quella sottrazione di tempo, come scrive l’autrice “gli impedisce di uccidersi”. Almeno così promette.
Non Salvarmi ci porta nella fragile esistenza di Deva e ci porta in quella zona di esclusione che è l’amore, dove tutto si mescola e irreparabilmente torna nel gioco.
Abbiamo bisogno di certe letture non per essere confortati, ma perché sentiamo dentro di noi la loro grazia e la forza della loro umanità.
“Sette i morsi che mi hanno divorata. Contali con me. Il primo per il tuo amore”.
Edoardo M. Rizzoli
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Di seguito un estratto in anteprima dal libro.
Karl getta un’occhiata al di là della finestra. Sono le sei di mattina e il gruppo si trova già all’esterno del ranch. Aspettano Jim, l’ex marine. I ragazzi non possono entrare senza di lui nella scuderia: i cavalli si innervosiscono con loro, mentre il passo militare e cadenzato del veterano li rassicura.
Durante la sua ultima missione in Afghanistan, l’Operazione Red Wings, è rimasto coinvolto in un’imboscata ed è stato colpito di striscio al polpaccio destro da un proiettile partito da una mitragliatrice RPK. Ora ha una cicatrice che sembra un ghigno. Quando la mostra ai ragazzi, però, racconta di essere stato morso da un serpente a sonagli nel deserto. Gli piace metterli in guardia, devono dimenticare che arrivano da Los Angeles. Devono dimenticare chi sono.
Karl sorride guardando i ragazzi. Si muovono restando vicini come una nuvola di moscerini, scherzano nel tentativo di conoscersi meglio e sentirsi a loro agio. Anche se sembrano spavaldi, alcuni hanno appena compiuto diciotto anni e il più grande ne ha solo ventiquattro. Non hanno il coraggio di rivelare chi erano fino a una settimana prima.
La luce a quest’ora ha quel tono ocra un po’ imbizzarrito che ogni volta lo stupisce. I ragazzi non fanno neanche caso alla macchia dorata che si sta stendendo intorno a loro, sono troppo impegnati a combattere il freddo dell’alba. Battono i denti, sprofondano il viso nelle giacche.
Karl si scosta dalla finestra e attraversa la stanza. I passi riecheggiano sulle scale in legno che conducono alle zone comuni. Gli piace essere consapevole dei propri movimenti, si sente dotato di anima e corpo. Dal giorno in cui tutto è cambiato non riesce più a pensarli separatamente. In cucina si prepara un caffè e lo sorseggia piano. Poi afferra il cappello ed esce.
Sono quaranta giorni, li ha contati, che il cielo non è attraversato neanche da una nuvola. Rivolgendo lo sguardo verso l’alto spera che almeno oggi una sfumatura bianca buchi quell’azzurro incontaminato.
Respira profondamente. Gli sembra che da quando abita in Arizona, un anno ormai, i suoi polmoni si siano fatti più capienti. Forse l’aria secca del deserto li ha resi più forti. Si è trasferito lì per avviare la Gatehouse di Wickenburg, un ranch di riabilitazione per giovani provenienti dal mondo dello spettacolo. Cresciuti all’ombra della fama dei loro genitori miliardari, questi ragazzi a diciotto anni hanno già sperimentato qualsiasi tipo di dipendenza: cocaina, anfetamine, psicofarmaci, interventi estetici e sesso compulsivo. Arrivano alla Gatehouse come se avessero già vissuto cento vite, ossessionati dalla notorietà di chi li ha messi al mondo.
Karl ha fondato il ranch con lo scopo di aiutarli a guarire attraverso il metodo degli Alcolisti Anonimi e la ippoterapia, che prevede la cura dei cavalli. Il sistema si basa su in- contri di gruppo e su un costante accudimento degli animali dall’alba al tramonto, quando, travolti dalla stanchezza, i ragazzi crollano a letto. Questa sottrazione di tempo gli impedisce di uccidersi.
Entra nel recinto esterno dei cavalli. Un mese fa ha passato l’ultima mano di vernice bianca sulla staccionata. Il colore chiaro rassicura gli animali quando corrono in cerchio e si orientano seguendo con la coda dell’occhio quell’orbita immacolata. I ragazzi tra poco li condurranno fuori dalla stalla. Ora il sole è alto nel cielo, che è così compatto da sembrare quasi sul punto di esplodere.
Abita in Arizona da un anno e, finalmente, lei è arrivata.
20 agosto 2018
Gatehouse di Wickenburg, Arizona
Deva non si è presentata al raduno del mattino. Jim è salito in camera delle ragazze, ma lei non c’era. Si sentiva spossato, come se non avesse dormito. Una nebbia gli ottenebrava gli occhi. Ha osservato il suo letto con le lenzuola leggermente scostate. L’anta dell’armadio era aperta e a colpo d’occhio ha notato che mancavano sia la giacca che la borsa di Deva. Forse anche qualche indumento.
Paula ha iniziato a rosicchiarsi nervosamente le pellicine delle dita, tirandole via con le labbra serrate e facendo avanti e indietro nel salotto. Si è scatenato il caos: chi diceva che Deva fosse scappata a Los Angeles, chi era convinto di aver sentito dei rumori strani durante la notte. Di sicuro era an- data a dormire con le altre ragazze, e nessuna di loro l’ha sentita alzarsi. Prima dell’alba però si è dissolta.
L’hanno cercata nei dintorni, i ragazzi si sono messi a urlare il suo nome mentre Jim scrutava la valle con il suo cannocchiale militare. Ma di lei nessuna traccia.
L’ex marine si è diretto verso la scuderia, è entrato e ha attraversato con passo deciso il corridoio per metà illuminato dalla luce del sole. Quando ha aperto il box, Marlow ha fatto un passo indietro. È un Mustang dal manto scuro e dagli zoccoli durissimi salvato da un rodeo. Lo ha slegato, ha stretto bene le redini ed è montato in sella. Ora si dirigono quasi al galoppo verso il fiume Hassayampa, scendendo lungo la gola di un canyon. Lì c’è un sentiero che conosce che conduce dritto al fiume.
Mentre gli sfilano accanto cespugli aridi e alture secche ripensa alla sera prima. Dopo cena Deva aveva detto che non si sentiva bene ed era salita al piano di sopra in anticipo rispetto agli altri. Come sempre aveva asciugato pazientemente i piatti, riponendoli nella credenza. È l’unica che lo fa, gli altri li lasciano sul lavabo ancora umidi. Jim l’ha notata più volte fare le cose con estrema attenzione. È un buon segno. Ma ieri sera c’era qualcosa che non andava. Era particolarmente silenziosa. Sembrava quasi aver utilizzato la scusa dei piatti per starsene per conto suo. Dopo essersi asciugata le mani si era fermata a guardare oltre le finestre nel buio della sera. Lì per lì Jim non gli aveva dato peso, ma ora gli viene in mente che poteva esserci qualcuno lì fuori.
Fa pressione con i piedi sulle staffe, Marlow recepisce il comando e aumenta l’andatura. Il pulviscolo bollente che si alza dal terreno si infila insidioso negli occhi di Jim, che scosta con un gesto deciso la piccola nuvola impalpabile e si lancia a tutta velocità.
Quando raggiunge le sponde del fiume, Marlow diventa più elettrico, Jim lo capisce dal ritmo degli zoccoli. Il cavallo adora l’acqua. A volte per rilassarsi scappa dal ranch e gli concede un bagno. Ma oggi non è il giorno giusto. Lentamente si addentrano nel letto liquido. A mano a mano che avanzano i pantaloni dell’ex marine si bagnano, mentre Marlow prova a piegarsi su un lato per immergersi completamente. Jim tira le redini con forza nel verso opposto, iniziando a sudare. Il cavallo non demorde e prova a immergersi, Jim irrigidisce gli avambracci e i polpacci aderiscono come pneumatici al mantello bagnato dell’animale. Ormai prossimo ad arrendersi, quando sfiora il pelo dell’acqua ordina a Marlow con un calcetto di guadare il fiume fino all’altra sponda.
Gocciolanti, risalgono la riva con una nuova energia e si lanciano al galoppo costeggiando il torrente. I fusti degli alberi si riflettono sulla distesa verde e azzurra del fiume. Sembra tutto tranquillo, ma all’improvviso gli sale un sospetto terribile.
L’unica cosa che possono fare è chiamare la polizia. Ma prima Karl dovrà avvisare Greg, il padre della ragazza.
© SEM
20/01/2021