Non ho mai sopportato limiti o confini, non sono disposta a sottomettermi a regole che non sono le mie, nessuno può imprigionare la mia voglia di libertà, il mio bisogno viscerale di essere me stessa fino al midollo.
Potrebbero suonare come parole mie, in realtà appartengono a Manuela Mantegazza, sciamana amorosa, scrittrice, in passato direttrice della scuola Hare Krishna e amata amante per l’eternità di Franco Bolelli, pensatore cosmico, Don Chisciotte dell’amore e del pensiero epico, eroico, erotico, eretico. Amava tanto il basket.
Non voglio sentimenti misurati, voglio sentirmi straziata dal desiderio e dalla passione. Mi rendo conto di camminare sul filo di una lama sottile, ma su quel filo c’è tutta la differenza tra vivere davvero o lasciarsi vivere. Così sfidando ogni dubbio, ho accettato il mio destino.
Chi mi segue, e legge, sa bene che i compagni dei miei costanti vagabondaggi sono i libri, oltre agli amanti che scovo e scopo nei luoghi che mi accolgono e raccolgono. Tale la magia della mia errabonda ed errante esistenza che spesse volte sono i libri a comparire nel momento più propizio.
Scrivo da una terrazza affacciata sull’immenso Mare Mediterraneo. Davanti a me vedo la Sicilia con la cima dell’Etna. Sulla mia sinistra in lontananza intravedo il pennacchio dello Stromboli, la mia isola per 24 anni, ora un po’ accantonata, e le altre isole Eolie.
La casa in cui mi trovo si raggiunge solo a piedi scalando 780 gradoni. Inizia a piacermi fare fatica per conquistare le vette. Isolate e aspre, un po’ come me. Qui prorompe la mia fiera e guerriera natura, che si alterna a un graduale rallentamento, pur sempre un rallentamento di una bombetta atomica, che ha goduto nel leggere queste parole di Manuela immersa in un fuori sentiero a picco sul mare rumoreggiato solo dai suoni della natura e dal belare dei capretti.
Era il 2 luglio, mio compleanno.
Che scelsi di festeggiare in solitudine assoluta in natura, su un’altra isola.
Sono Selvaggia, sarà l’anima del lupo che mi guida, ma so che tu potrai accogliermi tutta intera, perché la mia passione, la mia voglia di vita, hanno bisogno della stessa inconcepibile intensità per essere accolte.
Sento il desiderio di salire, non di scendere.
Di osservare dall’alto.
Non di mischiarmi nel basso.
Voglio la montagna.
Ed è qui sul My Own Private Monte Olimpo che ho finalmente letto il magnifico, immaginifico e stupefacente libro Per Tutti I Per Sempre scritto a quattro mani e due cuori da Franco e Manuela.
Conobbi le loro parole e il loro epico eroico eretico erotico amore nel novembre 2018 durante Book City quando Gian Paolo, il mio direttore molto master con la sua dominatrix scriteriatattrice – scriteriata + scrittrice, new word – organizzò eroicamente – We can be heroes just for one day – tra gli emarginati, brutalmente definiti “tossici”, dello zoo di Berlino di Milano, una serie di letture nel boschetto di Rogoredo, vero girone infernale, costellato di baracche di spacciatori e popolato da spacciati, insieme a Cecco Bellosi fondatore della comunità Il Gabbiano Onlus.
Manuela lesse un pezzo dal loro libro. Nell’ascoltare il racconto autobiografico dello stupro che subì da bambina in un bosco – pag. 21 del libro, non riesco a rileggerlo senza scoppiare in lacrime – i miei solchi mai cicatrizzati riaprirono ferite sanguinanti e il mio volto fu invaso dalle lacrime che sgorgavano immense. Singhiozzai. C’è una foto di Antonio Saia che mi ritrae affranta accanto a Walter Siti; lui mi osserva con attenta sensibilità. Finite le letture, Franco e Manuela mi si avvicinarono. L’avrei comunque fatto io. Attratti dalla nostra energia, sospinti dal cosmo a entrare in fisico contatto. Perché spiritualmente già lo eravamo e lo siamo per tutti i per sempre. Colsero in un cosmico attimo la nostra sincronia distante, le maledette/benedette, a seconda del caso, sliding doors, che in quel momento si schiusero sulla magia. I nostri vasi comunicanti me li fecero incontrare di nuovo qui sullo scoglio, leggendo finalmente, con contrazione, stupore e meraviglia il racconto del loro amore, ma ancor più dell’amore assoluto. Un libro che mi sta svelando animi e aspetti di me stessa profondamente potenti e divini.
Io sento qui accanto a me Franco, volato nell’universo qualche mese fa, e Manuela. Lo vedo nei corvi imperiali, nel fruscio della natura, nelle folate di vento.
Franco: Ed è stato così anche in quella notte buia e senza luna: i nostri corpi, nudi e accesi, illuminavano il cielo con la luce di mille stelle infuocate e io vagavo sull’orlo di un vulcano che mandava scintille fiammeggianti, mentre la lava scendeva potente e fluida tra le mie gambe. Poi l’esplosione, improvvisa, sorprendente, selvaggia, incontrollata e incontrollabile: cristalli impazziti, schegge di luce, scintille di fuoco, mille pezzi di me vagavano nel vuoto assoluto della perfezione cosmica per poi ricomporsi in una stella danzante, ora ero io quella stella che anni prima mi aveva fatto innamorare di Nietzsche, era vero solo dal caos, da quel folle turbinio di emozioni, paure e fremiti ero nata, pura meravigliosa stella danzante, creatura viva e potente, finalmente regina del giorno luminoso e della notte oscura.
Lui, l’altro da Franco, mi parla di vasi comunicanti.
Mi concede il riposo.
Mi educa all’ascolto.
Mi migliora.
Mi accudisce.
Mi carezza.
Mi prende duro e puro amandomi e violentandomi come la belva che sono.
Mi guinzaglia fintanto l’anima per essere da lui portata al cappio.
Stringimi, stringimelo al collo, legami, àtame.
A quattro zampe ti seguo, ti sbavo, ti lecco, ti succhio, ti amo.
Nessuno può comprendere questo tormento, a meno che non abbia accettato, come noi, di nutrire la belva, stringerla fino a imprigionarla nella mente, nella carne, lasciarla scorrere nei nervi, lasciarle percorrere la pelle, le articolazioni, i muscoli, aggrappata ai tendini, alle ossa, rossa di sangue vivo. Sì perché questa ossessione, questa voglia di non accettare i limiti, di alzare il tiro quando già va ben oltre i confini conosciuti, questa smania di eternità, questa pena vorace che non si rassegna e urla, chiede pretende batte i pugni, graffia le porte del paradiso, e spinge, spinge ben oltre la forza, per ottenere tutto l’infinito spazio dell’essere, questo amore che grida possesso senza condizioni, impudico per natura, perché si mostra senza veli in tutta la sua irruente passione, questo amore appartiene al cielo e ai folli. Noi non siamo folli: noi siamo cielo.
Nulla accade per caso. E’ fatalismo/fatalità. E’ proiezione, non progetto, divino. E’ schermaglia giocosa e bizzosa degli dei. L’intima e profonda metamorfosi che mi ha posseduto su questo scoglio era già scritta, già sentierata, già tracciata.
Ho “solo” dovuto perdermi e imbattermi nel Sentiero Spavento per approdare là dove da sempre anelavo di mettere àncora.
Scrivo seminuda, abbarbicata sullo scoglio, sola, sedata, serena.
La serenità … uno stato ancor più fugace della felicità.
Happiness is a butterfly, canta l’eterea luciferina Lana del Rey. Come tutte le bianche e colorate farfalle che accompagnano i miei passi in questa errabonda e salvifica ricerca di vita.
Qui trovai il titolo del mio libro. LA SPOSA GUERRIERA.
Qui incontrai l’amore cosmico. LSD.
Qui rallentai la mia furia esistenziale. BOOM.
Il mio corpo marchiato segnato, la mia pelle arsa sparsa, la mia anima marina muntagnina.
Sono sicura che il vuoto incolmabile di te mi perforerebbe l’anima, scrive Manuela.
Così le risponde Franco: Non ero mai stato refrattario alle passioni, mai portato per le mezze misure. Ma da quando ci siamo slanciati l’uno nell’altra, da quando abbiamo provato spaventosi vuoti d’aria al solo pensiero di stare lontani per due ore, ecco, la felicità è improvvisamente apparsa come una strettoia, soltanto un prezioso frammento, perché noi vogliamo impadronirci di tutta quanta la vita, di tutte quante le vita.
Finalmente belva in tana, riscopro la mia immensa voglia di tenerezza, il mio intimo bisogno di carezze e abbracci, di sonnecchiare sul suo corpo, di ristorarmi a nuova vita, a nuova me. Innalzandomi in amore, non falling in love, cadere innamorata, ma climbing in love, salendo innamorata.
Di gradini.
Di natura.
Di maturità.
E vedo lui innalzarsi con me, riscoprire la sostenibile leggerezza dell’esistenza, sorridere a piena anima, godere e spargere seme nella mia bocca.
Quanto sei bello, amore mio, così rinato a vita.
Dentro di me si agitava un uragano rovente, incontenibile, che scoppiava fuori incontrollato e indomabile a ogni movimento, a ogni più piccolo gesto. Quell’intensità era la mia croce, mi odiavo, avrei voluto anch’io essere nulla, avrei voluto arrendermi, ma quell’uragano decideva per me, mi possedeva, mi controllava. Inadeguata, mi sono sempre sentita così.
Leggo le parole di Manuela e leggo me stessa.
La dirompente furia, la lancinante cicatrice, l’assordante dolore, l’implacabile furore, l’abissale tormento.
Chi ha subito un danno è pericoloso perché sa di poter sopravvivere, scriveva Catherine Dunne ne Il Danno.
Io e Manuela siamo sopravvissute all’orco che ci prese e divorò le carni da bambine.
Abbiamo sofferto tutta la vita infliggendoci pena, nel mio caso anche pene, per annichilire il tormento del ricordo, lo schifo della violenza, il rigetto del sentimento.
Mi incisi le carni, mi scarnificai la pelle, mi imbrattai di lordume.
Poi tutto si silenziò. In un immaginifico e magnifico istante.
Io e te soli.
Non è semplicemente amore, ma indiscutibile e totale appartenenza, è un bisogno divorante di stringersi fino a farsi male; è fame di noi, voglia rabbiosa di contatto che non si appaga nel consumarsi le labbra di baci, che vorrebbe di più di quelle prime tiepide carezze, ma che, nella sua totale innocenza, lascia che l’attesa sopraffaccia il desiderio.
Non so dove sto andando.
Ma, cazzo, io continuo ad andarci.
Spossata e sposata.
Amante e amata.
Libera e imbrigliata.
Tua, mia, nostra.