Lo scrittore e la moda della realtà
– Ho scritto un romanzo.
– Ah, benissimo. È una storia vera?
– No.
– Ok, non è un libro confessione. Sarà una autofiction, è una storia romanzata ma il lettore capirà che si parla di lei?
– No.
– È un romanzo storico, che tratta di vicende realmente accadute con personaggi reali e riconoscibili?
– No.
– Guardi, mi sta facendo perdere la pazienza. Almeno è un’indagine su un fatto di cronaca? Presente lo schemetto?
– Quale schemetto?
– I carnefici sono le vittime e le vittime sono i carnefici.
– Ah, no no.
– Forse ho capito! Vuol dirmi che la sua indagine ha proprio lei per protagonista? Lo scrittore che si perde nel labirinto delle passioni umane mano a mano che l’indagine procede?
– Non direi.
– Truman Capote?
– No.
– Neanche un pizzico di New Journalism?
– Zero.
– Almeno un po’ di Carrère?
– Mi dispiace.
– Neanche una ex moglie incazzata all’orizzonte, o quantomeno la speranza che qualcuno si risenta e ci faccia causa?
– Niente.
– Allora non ho capito cosa avrebbe scritto.
– Ho scritto un romanzo.
– Eh, ma scusi così ricominciamo dall’inizio!
– Ho scritto un romanzo inventato.
– Totalmente inventato?
– Totalmente, ho usato l’immaginazione.
– Non c’è niente di vero?
– No, nella rielaborazione creativa è tutto fittizio, ma non per questo meno solido.
– Possiamo almeno dire che è “tratto” da una storia vera?
– No, come le ho detto è totalmente inventato.
– Oh, andiamo! Non esiste qualcosa di totalmente inventato.
– Ah no? E che mi dice di Elettra o Ulisse, Amleto o Don Chisciotte, Frankenstein o James Bond?
– Che cosa vuole che le dica?
– Che prima non c’erano e adesso ci sono. Che sono stati inventati.
– Come il suo romanzo?
– Esattamente! Prima non c’era e adesso c’è.
– Lei è un cretino, lo sa?
Luca Ricci