Ho cominciato a esplorare le piscine comunali quando, questa estate, è venuta Bimba di Kiev per un mese. Non sapeva nuotare, Bimba, così siamo andate spesso in piscina, dove, con lei, sono stata avvolta da una speciale forma di felicità.
Ho trovato una parte dell’essenziale che era sfuggita da troppo tempo. Quella parte che non puoi cercare, non puoi pretendere che torni, arriva quando non l’aspetti e lasci essere le cose.
Mi mancava.
Facevo tutto quello che non si deve fare per ritrovarla e ne provavo una grande nostalgia. Non so dove fosse andata, certamente, con Bimba in piscina, era tornata senza dire niente. Silenziosa, in punta di piedi, era entrata in acqua con noi, l’avevo sentita e basta, non avevo provato ad afferrarla ed era rimasta.
Mi ricordo di avere sorriso molto.
Era come sentire Debussy e appoggiare il fardello delle cose tristi, per spiegare meglio la sensazione.
Era come sentirsi già fra pagine e parole, e invece c’era solo acqua e il sorriso di Bimba e lo scivolo giallo e l’idromassaggio.
Da quando lei è partita, ho continuato ad andare in piscina, in quella dove andavo con lei, di cui parleremo un’altra volta, e in quelle di Bologna, che sono tante.
Tantissime. E ne conoscevo una sola, dove imparai a nuotare da piccola.
Poi sono partita ancora e sono andata in piscina anche in Svizzera.
Ho cominciato a esplorare piscine comunali in ogni città dove mi capita di transitare e a trovare, nelle piscine comunali, quello che serve
“!t’s all already here” Dice spesso il maestro buddista americano Rodney Smitth
Io non gli do retta per niente, di solito, anzi, vivo pensando che il necessario sia sempre altrove rispetto a dove sono io, lo aspetto, lo voglio, lo pretendo, mi riempie di ansia, attesa, malessere.
So che dovrei assaporare la frase di Rodney Smith. So che è molto difficile perché se qualcosa è già qui non la vedo, o non le do tutto il valore che deve avere, o aspetto l’euforia inaudita che – quella sì- è sempre altrove.
In piscina no, ci so stare con quello che c’è.
Lo Spiraglio è in via del Carpentiere e per arrivarci si passano due rotonde molto larghe, nuove e belle e una strada dedicata a Henghel Gualdi. L’edificio è basso, bellissimo, ha intorno un parcheggio, uno studentato, altri edifici tutti belli, che compongono come un puzzle una periferia curata e amata. Non ce ne sono molte.
Quindi, si entra contenti allo Spiraglio. Già contenti.
Gli opuscoli informativi sono di carta fotocopiata e c’è scritto PROMOZIONE in maiuscolo con tre punti esclamativi.
Le piscine “belle”, quelle dove il decoro della prima impressione ha, secondo i gestori, una sua importanza, di solito propongono tanti opuscoli , uno per ogni cosa, non solo per il nuoto libero, piccoli libretti in carta patinata con immagini, magari con foto adatte, gente con cuffia, occhialini, scatti di bracciate.
Niente di tutto questo accade in via del Carpentiere. Si paga e si entra. Dentro, è luminosissima, ariosa, con vasche larghe e personale gentile. Dentro, è una meraviglia assoluta perché la luce avvolge e, di nuovo lo sai che è tutto lì, quello che serve.
Qualsiasi tempo sia fuori, rimbalza sulle onde, sulle gradinate, sulle scalette.
Dentro lo Spiraglio mi sento sempre Piscine Molitor Patel, il ragazzo indiano protagonista del romanzo dello scrittore canadese Yann Martel, Life of Pi, Vita di Pi, che ha vinto il Booker Prize nel 2002 ( e dal quale hanno tratto un film)
Ho avuto bisogno di rileggerlo.
Se si esplorano le piscine, capitano situazioni molto belle.
Si resta nel presente, si riscoprono libri importanti, che, riletti, cambiano tutti e tutto
Nel romanzo viene spiegato che i genitori del protagonista avevano scelto quel nome perché il ragazzo, da piccolo, amava nuotare con lo zio e amava in particolare la piscina pubblica di Parigi ( sarà una tappa di queste note anche quella)
Io mi sento lui, allo Spiraglio. Sono Pi. Ma sono anch’io e tante rifrazioni del mio io mi accompagnano una vasca dopo l’altra suggerendomi di non affezionarmi troppo a nessuna, ma di lasciarla andare.
Lì, allo Spiraglio ogni pensiero che non sia insieme al mio corpo che nuota, al cloro, all’acqua, alle docce e alla tribuna, si scioglie, si slabbra, va via e lascia una felicità non euforica, semplice, che nutre.
Come il volantino, all’entrata.