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L’odore dei cortili. Intervista a Giuliano Brenna

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Il 18 ottobre è uscito con Il ramo e la foglia edizioni il romanzo L’odore dei cortili. La casa editrice che dirigi insieme a Roberto Maggiani. Hai sempre avuto la passione per la scrittura o l’hai scoperta da editore?

La mia passione per la scrittura è iniziata ben prima dell’idea di fondare Il ramo e la foglia edizioni con Roberto Maggiani. E la passione per la scrittura è derivata dalla passione per la lettura che in me ha origini antichissime: ho iniziato a leggere all’età di cinque anni e non ho mai smesso, anzi nel mio futuro vedo una vita da lettore e tanti titoli che ancora non ho letto.

Tu, insieme a Roberto Maggiani, sei anche fondatore della pregevole rivista letteraria LaRecherche.it con evidente allusione al tuo Amato Proust. Quanto c’è di lui nel tuo romanzo?

Il mio amore per Proust è iniziato intorno ai miei trent’anni e non è mai smesso e naturalmente avendo letto più volte l’intera Recherche, oltre ad altri scritti di Proust, alla fine nella mente mi rimane una sorta di melodia di sottofondo che per forza di cose si riverbera, in modo indiretto, su quel che scrivo. Poi, ovviamente, non è che provo a scrivere come Proust, perché sarebbe impossibile, ma a volte certe frasi, un certo soffermarmi sui particolari potrebbe essere letto come proustianesimo. Infatti, nelle varie riletture mi è balzato all’occhio che l’incipit di L’odore dei cortili è proprio un omaggio a Proust.

So che hai scritto diversi racconti, anche premiati, come è stato il passaggio dalla forma breve a quella lunga?

Mi è successo che scrivendo un racconto mi sia affezionato ai personaggi che avevo pensato così ho deciso di farli vivere più a lungo, ero curioso di conoscerli, scoprire i loro caratteri e da poche pagine è nato un romanzo. Da quella volta sono passato a scrivere prevalentemente su distanze maggiori del racconto.

Perché proprio il titolo L’odore dei cortili, che ha di per sé molte allusioni letterarie?

Perché il cortile rappresenta qualcosa che attiene alla dimensione domestica ma ha caratteristiche che lo rendono indipendente e capace di vivere una vita propria. In più, spesso tra gli odori, e anche tra i colori, di un cortile ci sono elementi che lo costituiscono e ne compongono la personalità. Questo per dire che in ognuno di noi ci sono elementi che si vorrebbero celare, forse perché potrebbero creare imbarazzo, ma che sono imprescindibili dal nostro essere. Inoltre, come ha acutamente osservato un noto poeta, è “un titolo che detta luce ma anche oscurità”. Per finire, il romanzo spesso ha la coloritura dei profumi a sottolineare determinati momenti delle vite dei protagonisti.

Chi sono i personaggi?

Il primo a vedere la luce è stato il protagonista, Mattia Rosenberg, con la madre Serena e la zia Clara. A esso si è affiancato un misterioso personaggio, noto come capitano Green, che nel corso della stesura del romanzo è diventato il coprotagonista. E insieme a loro varie altre figure: Lisandro, Nuno, Ana e il simpatico popolo portoghese.

A chi si rivolge la tua opera?

In genere scrivo per me stesso, per una necessità, non penso a priori chi sarà il lettore tipo. In questo caso direi che il libro è per chi, tra le righe di un romanzo, oltre all’intrattenimento della lettura e l’empatia verso i personaggi, cerca un messaggio profondo e attuale e ama interrogarsi sui moti dell’animo umano

Cosa ti aspetti da questo romanzo?

È il secondo romanzo che pubblico. Mi aspetto di intrattenere i lettori, farli riflettere e magari anche divertire. Sicuramente non mi aspetto il successo, premi o denaro, mi basta vedere i miei personaggi far compagnia ai lettori.

Giovanna Albi

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da L’odore dei cortili, Giuliano Brenna, Il ramo e la foglia edizioni

Prova a rappresentarsi nella mente la vita delle persone nei riquadri illuminati delle finestre, tenta di ricostruire i dialoghi delle famiglie mentre cenano o si ritrovano dopo una giornata di separazione. Poi lo sguardo gli cade su di una grande casa disabitata, le finestre divelte, come occhi rivolti verso il passato, orbite che non sono più rese vivide dai colori dell’iride, ma oscurate da un passato pesante, impronunciabile e difficile da cancellare. Le erbacce, cresciute disordinate tra le tegole, sembrano voler dire del tentativo, imprevisto e disordinato, di costruire una nuova esistenza sulle rovine di una vita, non si sa se giusta o sbagliata, forse semplicemente fuori posto nel momento in cui si è svolta.

Mattia ricomincia a camminare, a un chioschetto prende un bicchiere, piccolo come un ditale, di Ginja freddissima, la manda giù tutta in un fiato, poi, col primo sorriso della giornata, esclama «un’altra!». Dopo il terzo bicchierino, con l’ennesima sigaretta, riprende il cammino, in salita, lungo Rua da Escola Politécnica, oltrepassa l’incrocio di Rato e il fiato si fa pesante per la forte pendenza. È ormai buio e i piedi cominciano a dolergli, desidera una sosta. Così si affaccia all’imponente arco in pietra bianca del giardino di Amoreiras, tra gli alberi l’oscurità è più fitta, la pace e il silenzio quasi perfetti. Si siede su di una panchina di pietra, riparata da uno dei pilastri delle arcate dell’acquedotto, guarda la fontana, ne segue l’incessante zampillo mentre si accende un’altra sigaretta. Appena gli occhi si sono abituati all’oscurità, nota, proprio dietro alla fontana, l’ombra di una persona che si sta affaccendando a coprire con un telone una piccola giostra per bambini. Poi la figura si ferma, la vede armeggiare, suppone si sia accesa una sigaretta e sia girata verso di lui perché può vedere il puntino rosso della brace farsi a tratti più vivido. Terminato il suo lavoro inizia a camminare finché, scorgendo la figura di Mattia stagliarsi contro il colore chiaro del muro, gli si avvicina cauto: è un ragazzo di una ventina di anni, ha i capelli molto scuri, non è tanto alto, la sua figura è asciutta e ben piantata; Mattia nota lo stupore sul suo viso mentre si avvicina, poi una specie di sorriso sghembo. I due si guardano, Mattia è in preda a una forte agitazione, vorrebbe volare via, ma qualcosa lo trattiene inchiodato alla panca. Il ragazzo lo guarda insistentemente, si sfiora, sembrerebbe per caso, il davanti dei pantaloni, infila una mano in tasca, l’altra con gesto esperto fa volare il mozzicone lontano, poi la mette nell’altra tasca e oscilla sui piedi spostando il peso del corpo dai talloni alle punte con un movimento alternato, il volto è sempre aperto in un vago sorriso. Guarda verso i cespugli alla sua sinistra, poi guarda ancora Mattia e inclina il capo verso quella direzione, resta un po’ sospeso nel suo gesto infine vi si incammina. Mattia capisce l’invito ma tentenna, quando il ragazzo sta per sparire tra le piante, si alza di slancio e con poche veloci falcate lo raggiunge.

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