Vive e lavora a Bologna, ama il caffè e soffre di colite cronica. Il poliziotto Sarti Antonio è evidentemente un antieroe, ma allo stesso tempo un difensore della legge onesto fino al midollo e mai pronto a mollare l’osso della sua indagine. Ora la creatura di Loriano Macchiavelli torna in libreria con 8 indagini per Sarti Antonio, pubblicato da SEM. I racconti che compongono questa raccolta hanno il merito, per prima cosa, di aggiungere elementi preziosi riguardo alla vita di Sarti, gettando luce sul passato di sergente bolognese. Allo stesso tempo, i racconti contribuiscono a ricostruire – come nella migliore tradizione delle vicende dell’ironico questurino – lo stato dell’arte del nostro presente, e di quell’universo che non è solo l’ambito in cui vive il personaggio finzionale a cui ci siano inesorabilmente affezionati. Quella che rivive nelle pagine è anche la nostra storia, e il “panorama” che prende corpo tra un racconto e l’altro è anche quello in cui tutti noi ci muoviamo ogni giorno.
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Prendono per Broccaindosso, a piedi, ma Felice Cantoni non è tranquillo e guarda continuamente indietro. «Meglio non allontanarci troppo dalla 28, Anto’. Sono capaci di fregarcela» dice quando il buio gli ha tolto l’auto dagli occhi. «Per te esiste solo l’auto 28! E poi, dove credi di essere? Al tuo paese, marocchino?» «Al mio paese, al mio paese… Anto’, qua tutti i paesi sono uguali ormai» borbotta Felice Cantoni.
I portici di Broccaindosso sono bassi e in penombra; i negozi, per lo più botteghe di antiquari di terza categoria, sono buchi neri nei fabbricati. Sono antichi locali lunghi e stretti che penetrano nelle costruzioni come gallerie con l’ingresso sotto il portico. Di giorno e di notte illuminati solo dal riflesso che viene dalla via stretta e dove il sole è una rarità. Per non parlare della luna. C’è anche qualche vecchia osteria, ma a quest’ora è chiusa. La vita notturna non abita qui. Per chi non conosce passo passo il portico, c’è il rischio di inciampare nei gradini, nelle rampette di raccordo o nei buchi del pavimento antico come la via. Qualcuno che lo conosce, il portico, scende tranquillamente verso San Vitale. E canticchia una nenia del lontano paese in terra d’Africa.
Sarti Antonio, sergente, fa segno al collega di tacere, lo trascina dietro una colonna e quando “lostraniero” gli passa accanto: «Dove stai andando a quest’ora di notte, Pasquale?». Hanno la pelle scura e sembrano tutti uguali. Per chi non ci abbia fatto l’abitudine. Ma Pasquale è qui da troppo per essere confuso con un suo compaesano. Da queste parti lo chiamano Pasquale perché si è presentato al bar il giorno di Pasqua di un paio d’anni fa e aveva un nome troppo complicato da pronunciare: Kaffain! Meglio Pasquale. È arrivato con una famiglia numerosa. Gli avevano raccontato che a Bologna non ci sono problemi di sopravvivenza. «Dove stai andando a quest’ora di notte, Pasquale?» Pasquale, che non si aspettava né la domanda né la presenza nascosta, sussulta, si gira spaventato, ma si rimette subito: «Ah, sei tu, polizia». Sarti Antonio, sergente, è ormai noto nell’ambiente. «Mi hai spaventato. Stavo cercando te.» Usa il “tu”, come i suoi compatrioti, e ha inflessioni del sud d’Italia. Deve averci vissuto per anni. Oppure ha imparato qui, nel quartiere. «Come sapevi che ero nei paraggi?» «Non cercavo te in particolare. Stavo andando al bar per telefonare in polizia. C’è un uomo seduto sul pavimento e appoggiato a una colonna. Forse ubriaco, ma io avvertivo in polizia per sicurezza.» «E bravo il nostro Pasquale: è il tuo dovere di buon cittadino» dice Sarti Antonio, sergente. «Andiamo a svegliare il bell’addormentato.»
Con un Felice Cantoni sempre più preoccupato per la sua 28, i tre risalgono Broccaindosso. «Eccolo. Sono uscito di casa e l’ho visto. Io abito all’inizio della via.» Il signore è comodamente seduto sul pavimento del portico e sta con la schiena appoggiata alla colonna, il capo reclinato sulla spalla destra e sul petto, le braccia abbandonate lungo il corpo, le gambe distese e leggermente divaricate… Sarti Antonio si china e «Fammi luce» dice. Non si capisce bene a chi. Pasquale porge una scatola di fiammiferi di legno a Felice Cantoni che ne accende uno, si china accanto al collega e illumina il viso dell’uomo. Il tipo non dorme e neppure sta lì a pensare ai fatti suoi: ha gli occhi spalancati che fissano il vuoto, non batte ciglio alla fiammella del cerino e dalla bocca aperta esce un filo di sangue che è sceso sul mento e ha macchiato la camicia, sul petto.