Sono sordo e stupido. Sono nudo adesso, perché non importa. Sono un piccolo pezzo di spazzatura, un mozzicone di sigaretta gettato in strada. Conosco questo mondo malato, vincolato alle sue spiegazioni. Dalle due alle quattro la mia mente può permettersi tante vite segrete. Tante identità che muoiono tutte al mattino presto quando fuori ancora non c’è nessuno al volante e i semafori sono ancora intermittenti.
Una svastica sul viso di Luca Buoncristiano è un “accostamento”, volendo utilizzare un termine borgesiano, a Charles Manson. All’uomo che legò il suo destino – attraverso le azioni della “Manson Family” – al cosiddetto “Eccidio di Cielo Drive”, in cui morirono l’attrice Sharon Tate, moglie di Roman Polanski, e quattro suoi amici, e all’omicidio dell’imprenditore Leno LaBianca e di sua moglie Rosemary, nel 1969. Quegli eventi, che rappresentano solo una parte della terribile “carriera” di Manson, contribuirono a renderlo un’icona del male, oltre che il criminale americano più conosciuto del mondo, morto nel 2017, all’età di 83 anni.
Il libro di Buoncristiano rappresenta, dunque, un tentativo di accostamento, declinato attraverso la creazione di un formidabile flusso di coscienza attribuito allo stesso Manson, che diventa una “confessione impossibile” e una riscrittura del personaggio dall’interno. Ciò equivale, allo stesso tempo, a cercare di separare la maschera del personaggio pubblico dall’uomo su cui la maschera si è adattata diventandone il secondo volto. “Leader di culto hippie!”, scrive Manson-Buoncristiano, “Buah! Queste sono le tue parole. La verità è ciò che è. Sono un disertore della società. Un muto ragazzo di campagna mai cresciuto. Sono andato in prigione a otto anni e sono uscito a trentadue anni. Un bambino precoce di trentadue anni. Affatto. Sono ancora quello stupido ragazzino di campagna”. Una pagina dopo l’altra, in maniera inesorabile e rendendo sempre più indispensabile la lettura, l’accostamento al mostro Charles Manson diventa una forma di condivisione, di partecipazione, da cui si assenta ogni tentazione di giudizio o di morale, probabilmente perché per vedere è necessario restringere il campo visivo, concentrarlo sull’uomo, e ancor di più – se è possibile – sull’abisso della sua “Interiorità”.
Sono un mostro
Non posso avere commesso nessun crimine
che non ho commesso
Perché quando non hai una storia allora
è meglio inventarsene una
Siamo tutti condannati a storie modeste
In appendice al libro, è pubblicata una lettera dell’attore Steve McQueen, indirizzata al suo avvocato, che conclude in maniera eccellente il percorso intrapreso dall’autore:
Caro Eddie,
come sai, sono stato inserito nella lista dei seguaci di Manson come persona da mandare a morte, insieme con Elizabeth Taylor, Frank Sinatra e Tomm Jones. In un certo senso, lo trovo divertente e per altri versi spaventosamente tragico. Potrebbe non essere nulla, ma devo considerare che possa essere vero e devo proteggere me stesso e la mia famiglia. Non appena possibile, ti chiederei se potessi controllare e scoprire ufficiosamente da uno dei pezzi grossi della polizia se, anche questo ufficiosamente, quelli del gruppo di Manson siano stati messi sotto controllo e/o se loro pensino che noi possiamo essere in qualche modo in pericolo. (…)1.
- La lettera era stata pubblicata tra gli inediti di Satisfiction.