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Luca Fassina anteprima. La vasca dei pesci

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È all’insegna del noir l’esordio letterario di Luca Fassina, giornalista e profondo conoscitore della tradizione e della cultura milanese, in uscita ora per Unicopli con il suo La vasca dei pesci. Il libro, a partire dalla copertina, è prima di tutto un grande atto d’amore nei confronti della città di Milano, grazie a un testo altamente evocativo e in grado di restituire in maniera sorprendente atmosfere, ambienti, modi di parlare e personaggi di una città che dista ormai nel tempo ben ventiquattro anni. La vasca dei pesci, con l’eccezione di un prologo che riporta al 1976 e in cui compare il nome del famigerato Francis Turatello – prende infatti le mosse a partire dal 20 gennaio 2000, sul doppio binario delle vicende che attengono strettamente alla complessa trama e, allo stesso tempo, a ciò che può definirsi “narrazione di città”. Il giornalista Nando porta avanti una sua indagine che lo vede aggirarsi tra bische clandestine sapientemente nascoste dietro la facciata di palazzi “rispettabili” e giri d’affari criminali, finendo per imbattersi in due omicidi e in un caso ancora più intricato. E così, le vicende e gli avvenimenti che scandiscono il ritmo serrato del noir si iscrivono sullo sfondo di una miriade di ambienti urbani – come San Gottardo, Porta Genova e i Navigli,via Savona, tanto per indicarne qualcuno – e si animano grazie a continui rimandi a personaggi, eventi e tradizioni che hanno fatto in un modo o nell’altro la storia della cultura e del costume di Milano: il Tredesin de Marz e Andrea G. Pinketts, Diego Abatantuono e il crimine degli anni ’70. Su tutto, spicca l’abilità di Luca Fassina nell’utilizzare le descrizioni di personaggi e ambienti – estremamente vivide e sensorialmente rilevanti – come prezioso supporto di una narrazione resa “maledettamente” efficace.

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Milano, giovedì 20 gennaio 2000

Armando Baldi, detto Nando, è un quasi cinquantenne dal fisico possente, discretamente celato da vestiti comodi. Il suo punto forte sono due occhi attenti, grandi, scuri, buoni, parzialmente nascosti da occhiali dalla montatura tonda. Mentre raggiunge il portone del palazzo storico in pieno quadrilatero della moda, si stringe il nodo alla cravatta. Gaetano-nessun-cognome lo sta aspettando e fuma nervoso. Non sembra che sia a causa del freddo. Gli è stato presentato dall’amico di un amico, è il suo biglietto di ingresso in una casa privata dove si gioca a carte, frequentata dalla Milano che conta. È un giornalista del quotidiano Incoeu, ed è lì perché sta scrivendo un articolo sul gioco d’azzardo. Alza un braccio per attirare l’attenzione dell’uomo che, quando lo vede, getta a terra il mozzicone e lo schiaccia con la punta della scarpa di vernice.

«Ce li hai?», chiede con un leggero tic all’occhio destro.

Nando annuisce, domandandosi se ha fatto bene a fidarsi. Scosta la giacca, mostrando un pacchetto di banconote appena ritirate. Gaetano allunga una mano, ma Nando gli dà un buffetto di rimprovero.

«Ten giò i man da la verdura», gli dice con un sorriso.

Gaetano, calabrese, non capisce il dialetto, lo guarda storto, poi suona un citofono e dà la parola d’ordine.

«Sono venuto per il signor Campanelli».

Uno scatto e sono dentro. L’atrio ha il pavimento in palladiana, lucidi pezzi di marmo dai tagli irregolari, tipico delle case d’epoca della Milano bene. Superato un cancello in ferro battuto dalle volute liberty, si accede a un cortile circondato da un colonnato. Statue di miti e allegorie fanno capolino tra le fronde dell’edera rampicante, mentre una valva di tridacna trasformata in fontana accoglie un rivolo d’acqua gorgogliante. Gaetano si dirige deciso verso un largo scalone in marmo che sale sino al piano nobile, dietro il quale una porticina nasconde le scale destinate alla servitù, che un tempo alloggiava nel sottotetto, in piccole stanze illuminate da abbaini, fredde d’inverno e un forno d’estate.

Fermatosi davanti a una porta lucida di legno scuro, bussa, anche se c’è un campanello. Un’ombra passa nell’occhio magico, poi la porta si apre e appare un uomo massiccio. Sui trenta, capelli cortissimi, indossa un completo scuro che fatica a contenere i muscoli. Guarda Gaetano, poi Nando, poi torna a guardare Gaetano, che annuisce. Solo allora si fa da parte e li lascia entrare in un atrio spazioso, dove una ragazza molto carina e poco vestita si fa consegnare i cappotti, che ripone in un armadio a muro. Gaetano si muove sicuro lungo il corridoio ed entra nella seconda porta a destra. Nando lo segue gettando un’occhiata all’ingresso, dove il palestrato si è seduto su una poltroncina che controlla il corridoio.

Entrano in una stanza molto grande. Pesanti tendaggi di broccato ricoprono alte finestre dai vetri piombati, decorati con fiori e piante. Sul folto tappeto persiano trovano posto quattro tavoli rotondi dove si gioca a poker e uno grande ovale per il baccarà. Alla destra della porta, un tizio con la faccia da faina siede a un tavolino. Gaetano lo raggiunge, poi tende una mano a Nando, che gli porge il pacchetto di biglietti da cinquantamila. Dopo averli controllati, la Faina consegna loro le fiches che Gaetano divide sommariamente, prima di tuffarsi verso un posto libero al tavolo della Teresina. Nando cammina lentamente giocherellando con i dischetti di plastica colorata, attirando sguardi infastiditi da parte dei giocatori. Si siede al baccarà. Lo ha scelto perché, facendo attenzione alle puntate, può prolungare molto il tempo al tavolo.

Osservando la clientela, nota come gli abiti delle signore sembrino usciti da una sfilata di moda. Una cappa d’organza Fausto Sarli lavorata a nido d’ape, un Paco Rabanne con decorazioni di insetti, uno zebrato dell’atelier Renzo di Toro, persino un Givenchy disegnato da Alexander McQueen. Nando li riconosce grazie a un articolo che ha pubblicato su Incoeu e che ha fatto molto scalpore, perché la sfilata dell’ultima primavera-estate era terminata con l’esibizione dell’atleta paralimpica statunitense Aimee Mullins – con protesi in legno d’olmo per le gambe – e con la top model canadese Shalom Harlow, trasformata in tela umana, con un abito bianco dipinto da due braccia meccaniche della Fiat, appositamente programmate. Gli uomini sono tutti cravattati e fasciati da prevedibili completi grigioblu. Spiccano solo i calzini gialli di un elegante sessantenne brizzolato.

Dopo una mezz’ora, si alza, si sgranchisce e va in bagno. Al ritorno si ferma al fornitissimo mobile bar e ordina da bere a un cameriere in giacca bianca. Mentre aspetta, si appoggia al muro e guarda gli ospiti che giocano, registrando ogni particolare.

«Il suo cocktail, signore».

Prende il bicchiere dal contenuto di un verde tenue, lo sorseggia e l’esplosione di gusto lo lascia estasiato.

«Cosa mi hai fatto?»

«Si chiama Last Word, signore. Un cocktail nato nel 1916 a Detroit, composto da gin, Chartreuse, maraschino e succo di lime».

«Spettacolare», aggiunge passando una fiches al barista come mancia. Quando quello lo ringrazia, dà un altro sorso al bicchiere e lo richiama alzando un dito prima che si allontani.

«È sempre così, qua?»

«Così come?», chiede cauto il cameriere.

«Uhm… affollato».

L’uomo si guarda intorno nervoso. «Non possiamo parlare con i clienti».

Nando lo osserva, è molto agitato. Il suo sguardo saetta veloce verso un uomo che si tiene defilato vicino a una porta chiusa. Sembra il gemello del tizio all’ingresso. Nando sorride al cameriere, mettendosi tra i due.

«E dove può trovare delle informazioni, un cliente?»

«Di certo non qui», si affretta a rispondere l’altro, congedandosi con un breve inchino.

Nando riprende il suo posto al baccarà. Sta giocando in maniera distratta da una quarantina di minuti quando un urlo attira l’attenzione della sala. Si gira e vede Gaetano in piedi, è rosso in volto e le vene del collo sono gonfie. Batte ripetutamente i pugni sul tavolo, sottolineando ogni colpo con voce stridula.

«No, no, no, merda, no!»

Viene velocemente raggiunto dal palestrato e affiancato dal “gemello” accorso dal corridoio.

«Signore, la prego», accenna il primo, prendendolo discretamente ma con decisione per un braccio.

«Signore un cazzo», sbotta Gaetano, che stringe ancora in mano cinque carte dello stesso seme.

Nando si avvicina al gruppo. Una rapida occhiata al tavolo, dove gli altri giocatori non si sono mossi, gli rivela che sul piatto ci sono svariati milioni in fiches. Gaetano sta ancora urlando quando uno dei palestrati gli assesta una potente sventola. Nando reagisce d’istinto e, caricando il destro dalla spalla, lo colpisce in piena mascella. Il palestrato va giù come un sacco vuoto, mentre il suo socio infila una mano sotto la giacca, ma viene fermato da un uomo con un vestito grigio perla dal taglio molto costoso, mentre due camerieri immobilizzano Nando. Dal taschino del suo gilet esce un grosso orologio a cipolla che rimane a penzolare dalla catena agganciata al penultimo bottone.

«Signori, calmiamoci», dice l’uomo in perla, aiutando Gaetano a raddrizzarsi e osservando stupito l’oscillare dell’orologio a forma di testa di leone.

«Un bell’oggetto, molto particolare», commenta.

«Un ricordo di famiglia», risponde secco Nando.

«I nostri ospiti se ne stavano giusto andando».

A un suo cenno, la faina raccoglie velocemente le fiches di Nando, le fa cambiare e gli rende i soldi. I due vengono scortati all’entrata, dove la ragazza sorridente li attende con i cappotti. Gaetano esce barcollando sul pianerottolo illuminato. Nando viene trattenuto all’ultimo istante da una mano. Si gira e incontra gli occhi chiari dell’uomo in perla.

«Non ci piacciono quelli che portano scompiglio».

Il suo tono è quasi un sussurro. Nando si libera del contatto fastidioso e restituisce uno sguardo altrettanto deciso.

«A me non piacciono quelli che se la prendono con i più deboli».

«Abbiamo qui un Don Chisciotte, signor…?»

«Meglio un Don Chisciotte che un Don Corleone», risponde senza cogliere l’invito. «Ora, se permette…».

Nando spinge Gaetano per un braccio, invitandolo a scendere. L’uomo in perla si gira e fa un cenno a un ragazzo, che si affaccia sulle scale e li segue.

Una volta arrivati in strada, Nando osserva l’occhio che si sta gonfiando.

«Cosa ti è preso?»

«Avevo una scala colore di picche al fante. Servita, capisci? Era il mio momento per rifarmi! Vedevo già i milioni che…»

«L’altro cosa aveva?»

«Una scala colore di quadri alla donna».

«Servita?»

«Beh, sì…».

«Non era Don Corleone», dice tra sé e sé Nando, mentre aiuta Gaetano ancora intontito a raggiungere il posteggio dei taxi di via Manzoni. «Quello era Don Rodrigo e tu ti sei fatto fregare come la Monaca di Monza».

Arrivati al taxi, Nando lo carica di peso sul sedile posteriore e infila una mano nella tasca della giacca per prendere un cinquanta che porge al tassista.

«Lo porti dove vuole».

Mentre la macchina si allontana, conta i soldi rimasti e trova con le banconote un foglietto piegato. Lo apre: Sabato, mezzanotte, San Giovanni in Conca.

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