In questa fredda primavera scopro che la cosa che più desidero fare, la cosa che mi rende felice, è giocare a pallone. Se fosse possibile non farei altro.
Mentre corro rido, come mai mi è capitato scrivendo il che dovrebbe dirmi alcune cose che non voglio ascoltare. Sabato scorso mi sono pure preso un calcio perché un avversario si credeva irriso, quando invece solo esprimevo la folle gioia canina di rincorrere e difendere la palla.
Forse sono rimbambito di polline o forse, innamorato cronicamente della stessa persona ormai da quindici anni, la primavera non mi spinge verso gli umani di cui diffido, ma verso il gioco che capisco appieno.
Del resto ognuno trova un modo di ringiovanire, di perdersi, di dimenticarsi e di rincoglionirsi.
Nell’ultima tappa della sua tetralogia dedicata alle stagioni, Luca Ricci ci consegna uno scrittore (nelle storie di Luca Ricci sono tutti scrittori e anche nelle mie e in Bolano poeti e Bernhard pazzi, in Roth depravati, in Bukowski alcoolizzati…) che incontra una donna più matura di cui si innamora e che lo costringe ad un regime di castrazione del desiderio sessuale.
Ragionando per contrasto, nella stagione che risveglia ogni istinto, nel trionfo di una Roma lussureggiante, carica di profumi, di luce e di desiderio, Simonetta impone al protagonista una storia d’amore casta e intellettuale, irreggimentata in uno steccato di dogmatica astinenza sessuale.
Il protagonista accetta per amore, curiosità e ossessione, e oscilla tra la soddisfazione ascetica di chi si compiace di riuscire a trascendere il desiderio e la furia che deriva da ogni frustrazione.
È questa una riflessione sull’amore e il desiderio, Simonetta è un concetto assai più che un personaggio, un insieme di concetti a dire il vero. Per inquadrarla dovremmo conoscere meglio tante cose, dalla jouissance Lacaniana alla semiotica di Roland Barthes e, del resto, Luca Ricci solo si finge uno scrittore semplice, si compiace del suo saper essere anche intrattenitore, ma è un uomo colto, di lunghe letture e questo si nota come in controluce, come se mettendo queste pagine vicino alla finestra, una alla volta, trafitte dal sole della primavera ci mostrassero moltissime altre pagine che per scrivere quella, sono state lette.
Ma Simonetta è anche la letteratura stessa, quando Ricci fa dire al suo ex marito che a questa donna …piace distruggere i convincimenti degli altri, oppure ribaltare degli aspetti ovvi della vita che ai suoi occhi diventano insopportabili…
E come l’utopia – Simonetta – di scrivere una pagina perfetta, pienamente esaustiva, che rimane desiderio beffardo, ed esiste solo se non raggiunta, perché se posseduta smette di volare come un lepidottero.
Il romanzo è una sorta di diario che procede per giorni, comincia il 21 marzo e finisce il 21 giugno. A un certo punto, il lettore, si scoprirà a contare il calendario perché ogni giorno è un paragrafo. Se Joyce aveva fatto di una sola completa rotazione terrestre un mattone, Ricci fa dei suoi novantadue tanti petali leggeri. Altri personaggi sono la sedia o dovremmo dire le sedie. Lo scrittore ha un problema da risolvere: trovare una sedia da ufficio. Ne compra tantissime, finendo schiavo di un venditore scaltro che approfitta della sua debolezza. Nessuna sedia funziona: una è stretta; l’altra ha una cucitura fastidiosa; un’altra non lo contiene e su nessuna riesce a scrivere il romanzo che tutti si aspettano da lui.
La poltrona, l’incapacità di trovare quella giusta, diventa il feticcio di una irraggiungibile comoda posizione lavorativa. Lo scrittore deve stare scomodo, fa parte della fatica e quando più cerca la sua comodità, la condizione di conforto, tanto più si blocca. I primaverili, edito da La Nave di Teseo, è anche una riflessione sul mestiere dello scrittore contemporaneo, costretto a reinventarsi giornalista culturale, sceneggiatore di serie, di film e di podcast. È una critica divertita sul mondo della cultura, sui cialtroni che l’attraversano, sulle segretarie di redazione mugugnanti e i produttori che ragionano per algoritmo.
Per tanti versi sono tutti morti, uccisi dalla necessità di sopravvivere, di trovare uno spazio, di vendersi l’anima a prezzo modico. L’unico vivo è Alberto Gittani, un vecchio scrittore che non ha niente da chiedere, che ha smesso di scrivere senza un motivo. Personaggio, questo, che paga dazio a Sorrentino, nel suo esprimersi per definizioni, nel perdersi nell’aneddotica e nella sua immaterialità. È un Virgilio intermittente a cui il protagonista si rivolge quando si sente perduto.
Sarei curioso di chiedere a Luca Ricci cosa gli resta alla fine delle quattro stagioni, se è felice che ce ne siano solo quattro o ha nostalgia, desiderio, delle mezze e ricominciare. All’ultima pagina, dentro una nota, questo raffinato indagatore rivendica la sua libertà di inventare in un panorama letterario in cui il racconto autobiografico sta scivolando pericolosamente nella letteratura C’è posta per te, ovvero nella bancarella del caso umano. Una traduzione più che meta-letteraria, social-letteraria, arida e pietosa. Ricci rifiuta qualunque storia non sia inventata, uno scrittore non può pensarla diversamente.
Pierangelo Consoli
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Luca Ricci, I primaverili, La Nave di Teseo, 2023, Pp. 256, euro 19