Uno dei romanzi più belli che abbia letto nell’arco degli ultimi dodici mesi è Cauterio, edito dalla interessante Alter ego edizioni di Viterbo.
Detto questo, con l’invito ai lettori di procurarsi il titolo in oggetto, la recensione potrebbe fermarsi qui.
Aggiungendo ovviamente sia le scuse alla casa editrice per essere arrivato così tardi a scrivere del libro, sia i complimenti alla prosa dell’autrice, Lucia Lijtmaer, che è efficace e coinvolgente. Altrettanto si può dire della traduzione dallo spagnolo, opera di Sara Paini.
Quella che mi sono trovato davanti è una lingua narrativa che riesce a sdoppiarsi, così da rendere vividi gli universi delle due storie proposte in maniera alternata, capitolo per capitolo, all’interno del libro.
Da una parte troviamo una giovane donna, che si trasferisce da Barcellona a Madrid dopo essere stata lasciata dal suo compagno (tipo altamente sgradevole).
Dall’altra parte ecco Deborah Moody, puritana del XVII secolo, che lascia Londra per le colonie del Nord America dopo la morte del marito e sfida l’impostazione patriarcale della chiesa.
Le azioni di entrambe, raccontate in prima persona, si pongono a distanze temporali differenti.
La prima donna racconta da una epoca relativamente prossima al nostro qui e ora; la seconda invece prende la parola da una situazione successiva alla sua dipartita, praticamente ci parla dall’interno della bara in cui è stata sepolta post mortem, interrata in verticale.
Alle loro voci si affida chi legge, seguendole attraverso capitoli numerati alternativamente con numeri arabi e numeri romani, quasi si volesse meglio differenziare non solo il racconto complessivo, ma quanto entrambe affermano. Tenendo sempre a mente che è il loro vissuto a essere al centro della storia.
Due tempi cronologici differenti, dicevamo, che però appaiono essere quasi indistinguibili nella sofferenza dichiarata dalle protagoniste.
Le vite dell’una e dell’altra sembrano colpite da una sorta di maleficio. La prima delle due protagoniste identifica la fonte del suo dolore nella figura di una rusalka, divinità slava dei fiumi.
In mano alla Lijtmaer, il maleficio che infesta le due donne prende le forme di una metafora riguardante l’avvenuta “scentratura” delle loro vite. È qualcosa che prima le irretisce potentemente, poi le lascia alla deriva di se stesse in maniera repentina.
Entrambe vengono corrose dalla coscienza di aver vissuto qualcosa di completo, di avvolgente, e di non poterla più ottenere.
Potremmo dire che sono sull’orlo di un abisso e ci stanno guardando dritto negli occhi senza possibilità di fuga.
Sia per l’una che per l’altra delle protagoniste, il tranello è stato teso da qualcuno in cui riponevano più che fiducia: riponevano tutto.
Per la giovane donna senza nome si tratta dell’ex compagno, per Deborah Moody di Dio in persona.
A queste “icone” si riferiscono costantemente le protagoniste del romanzo. Sono inoltre quello che le marchia indelebilmente, quello che le sterilizza/anestetizza rispetto al mondo.
Da un simile “a-sentimento” verso l’esterno, credo prenda spunto il titolo.
Il cauterio nell’antichità era lo strumento in metallo che, reso incandescente, veniva usato per cicatrizzare i tessuti infetti così come le ferite. Nel romanzo viene citato solo tre volte, quasi una astrusa interpretazione cabalistica, un messaggio criptico.
Comunque sia, Cauterio appare come un viaggio iniziatico, necessario perché quanto accaduto venga usato per passare a un livello di consapevolezza superiore.
L’orlo di un abisso, dicevamo. Se solo riuscissero ad accogliere immediatamente la sua devastante capacità di annullamento, questo permetterebbe alle due donne un facile superamento. Ma così non può essere.
La scrittura della Lijtmaer, esperta in gender studies e in pop culture come scopro navigando in Rete, appare matematica, chirurgicamente affilata nel raccontare gli stati d’animo delle protagoniste, la frustrazione che provano nel guardare al loro passato e nel sentirsene tradite.
Nello scorrere delle pagine, Lijtmaer lascia al lettore la possibilità di percepire cosa accade nella mente delle protagoniste, oltre i singoli eventi in cui sono coinvolte.
Costruisce così uno strano romanzo di formazione “posticipata”, duro, drammatico anche se non nell’accezione tradizionale.
Nelle sue pagine le regole dell’attrazione narrativa vengono a essere proposte attraverso una sintassi e una costruzione che prendono dal classico, per poi essere restituite come fossero state sottoposte a un procedimento di cut and paste.
Esempio ne è la postura ellisiana nel tono della protagonista senza nome, l’annoiata crudezza tutta contemporanea che vi si riflette, dove invece avremmo pensato trovare riferimenti a certo romanzo francese.
O la falsa frantumazione delle linee narrative. O una immaginificità di fondo molto rarefatta e controllata, che rimanda alla narrativa ispanoamericana novecentesca, oramai difficile da trovare qui da noi.
Infine, è un romanzo che si può definire anarchico in questo mescolare varie tradizioni narrative con la struttura elicoidale del racconto.
Anarchico nel suo essere massimalista almeno per quanto riguarda le intenzioni (le due storie che si alternano, il saltare da un presente appena trascorso a un passato lontano due secoli, l’andare dalla Spagna alle colonie americane ecc.), politico nei fatti (i racconti delle due donne sono una abile smascheramento dell’universo maschile), Cauterio è il primo lavoro della Litmaijer a essere tradotto in Italia, mostrandocene il valore di narratrice e la sua sapienza argomentativa.
Sergio Rotino
Recensione al libro Cauterio, di Lucia Lijtmaer, Alter Ego 2023, trad. Sara Paini, pagg. 240, € 18.00