Il Quattro marzo 1943 (4/3/43) è una data che molti portano ancora impressa nei cuori. Segna l’atto di nascita di un genio onnivoro, anche bulimico, comunque irrefrenabile e continuo sperimentatore, generoso ma possessivo qual è stato Lucio Dalla.
Il musicista bolognese se ne è andato il Primo marzo 2012, in un anno bisestile, a un tiro dal compiere settantotto anni, lasciandosi dietro una sfilza di canzoni che si continuano a sentire in radio, si continuano a fischiettare senza saper più collegarle al loro creatore tanto sono diventate popolari nel senso più pieno del termine. Fra queste la Gesubambino – poi ribattezzata con la data di nascita di Dalla – uscita esattamente cinquant’anni fa.
Ripercorrere la vita di Dalla è ripercorrere una strada dove le difficoltà a ingranare nel panorama musicale italiano sono momenti di passaggio necessari per crescere, momenti che abbattono ma non uccidono il Nostro anzi, nel tempo lo fortificano. Di più, nel tempo gli restituiscono, maggiorato, quanto ha dovuto spendere, lo fanno diventare uno degli artisti più importanti del nostro panorama contemporaneo.
È un aspetto che due fra i più importanti giornalisti musicali, Ernesto Assante e Gino Castaldo, sottolineano con voluta noncuranza nella biografia intitolata appunto Lucio Dalla, licenziata per Mondadori appena un mese fa. Biografia che si muove linearmente percorrendo la vita e le canzoni di Dalla, raccontandone sobriamente il pubblico quanto il privato.
Gino Castaldo si è prestato a parlarne dal luogo che ha fatto conoscere al pubblico italiano questo bolognese rotondo e peloso, con una voce duttile e la passione per il jazz: il festival di Sanremo.
Sergio Rotino
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Cosa ha rappresentato per te, come critico musicale, lavorare sulla biografia di Lucio Dalla?
Ha rappresentato innanzitutto un atto di grande passione, ma anche una fatica emotiva perché sentivo in maniera molto forte la responsabilità per questo lavoro. Primo perché Lucio è l’artista che conoscevo meglio, a livello umano. Fai conto che con lui abbiamo varie esperienze in comune, e abbiamo fatto anche dei viaggi insieme. In secondo luogo per l’enormità della sua storia. Quindi ho sentito molto forte la responsabilità nello scrivere questa, che poi è una biografia sui generis perché è soprattutto una biografia musicale, scandita essenzialmente dai testi delle sue canzoni. È stato un grande momento di passione e di responsabilità, ecco. Poi soprattutto, cosa incredibile, è che credevo di conoscerlo bene. Invece lavorando alla stesura di questo libro insieme a Ernesto Assante, abbiamo scoperto di non sapere un sacco di cose.
A proposito di Assante. Visto che è un libro scritto a quattro mani, come vi siete divisi il lavoro?
In genere interagiamo scambiandoci i testi e poi rimandandoceli. Un modo abbastanza complicato di lavorare, ma è il nostro. Lo facciamo da tanti anni e ci siamo abituati. In questo caso specifico Ernesto si è sobbarcato un po’ più il lavoro di ricerca. È stato bravissimo, ha raccolto una montagna di materiale. Io nel frattempo cercavo di assemblarlo, poi ci si scambiava i file… È stato proprio un lavoro a quattro mani, nel senso letterale del termine.
Un po’ come accade per le coppie di autori in una band…
Assolutamente sì. È stato come aver scritto una canzone insieme. Una canzone un po’ lunga, vista la mole di pagine, ma bella.
La vostra biografia tira fuori un Dalla che come musicista pare essersi speso la vita intera senza risparmio, nel lavoro come nel privato. Se prendiamo Cara, la canzone che appare nel 1981 dentro i pezzi che compongono Dalla, possiamo leggerla come una sorta di manifesto programmatico di questo vivere la vita al mille per cento.
Guarda, sì. È una cosa che ha sempre differenziato Lucio, rispetto ai suoi colleghi cantautori e agli artisti italiani in genere. Lui ha vissuto la sua vita in modo follemente pieno. Anche per questo la sua biografia risulta così ricca e variegata. Il successo spinge molti a un certo grado di isolamento più o meno forte, dovuto alla pressione come ad altri motivi abbastanza ovvi. Lucio no, Lucio rifiutava questo, voleva continuare a vivere imperterrito la sua vita di ogni giorno. Incontrava tutti, parlava con tutti, viaggiava, non si limitava in niente. Questo anche nel suo lavoro. Lui l’ha vissuta pienamente, la sua vita. È stato un uomo pieno di idee, un po’ travolgente nella sua continua creatività, ma col bisogno di dare soddisfazione a questa urgenza creativa. Era un po’ la costante della tua vita.
Hai parlato di isolamento creato dal successo. La vostra biografia mi pare racconti, soprattutto nell’ultima parte della sua vita, di un Dalla solitario. Cioè, un uomo che vive in solitudine. A un altro piano di lettura, forse in maniera romantica, ma mi è parso fosse il prezzo da pagare per essere un artista così poliedrico. Voglio dire, la solitudine gli permetteva di produrre artisticamente…
Sposterei l’asse della domanda. In realtà Dalla era solo e non lo era mai. Era sempre circondato da gente che collaborava con lui. La sua era, come dire, più una condizione dell’anima, qualcosa per cui non si è mai fermato in una relazione affettiva lunga, duratura, almeno fino agli ultimi anni. Ha sempre vissuto chiedendo questo tipo di libertà di movimento, di genere, di relazioni. Per cui alla fine nessuno sapeva veramente niente di lui perché era riservatissimo, mentre per il resto faceva tutto alla luce del sole. Ha scoperto giovani cantautori come Ron, come Luca Carboni, come Samuele Bersani perché era aperto, disponibilissimo. Quando gli chiedevano consigli, lui ci parlava, li ascoltava e qualche volta decideva di produrli.
Insisto. La biografia fa uscire fuori la figura del solitario, di quello che sì, è sempre in mezzo alla folla, ma che poi si isola. Penso ai suoi rifugi in Puglia come in Campania. Che sono poi isolamenti necessari per poter creare nuove canzoni.
Sì, questa potrebbe essere la ragione. Noi nella biografia, da questo punto di vista, abbiamo solo messo insieme i fatti. Anche sulla sua presunta omosessualità non abbiamo voluto dare una versione, abbiamo preferito mettere semplicemente insieme i fatti. Su questo misterioso rapporto con la solitudine, così come sulla sua vera? falsa? omosessualità, abbiamo lasciato che il lettore decidesse da solo. Com’era poi nella sua vita.Nessuno avrebbe potuto dire una cosa precisa su di lui toccando questi argomenti. Quindi abbiamo pensato che il modo migliore per descriverlo era di lasciarlo in questa atmosfera sospesa, dando però più elementi possibile al pubblico dei lettori perché se ne potesse fare una idea personale.
Chiuso sulla sua sessualità e invece apertissimo sulla sua religiosità…
Su quello anzi, si batteva molto perché non accettava l’assioma manicheo che vedeva l’essere uomo di Sinistra impossibilitato a essere un fervente religioso. Lui rivendicava questo diritto a unire le due cose con forza. In alcune interviste che ha rilasciato nel corso degli anni lo spiegava abbastanza bene. Lui era anche un devoto di Padre Pio, quindi altro che.
Lo ha conosciuto…
Sì, da ragazzo. Ci sono anche leggende su questo. Pare che Padre Pio non gli abbia mai dato la benedizione tranne l’ultima volta, poco prima di morire. Comunque, dicevo, lui si batteva molto per poter mostrare la sua religiosità. Chiaro poi che sia la religiosità di Lucio, ovvero un cattolicesimo rivisto e corretto, coerente con il suo essere di Sinistra. Era la religione dei poveri. Lui pensava agli umili, ai diseredati. Era quella la sua religiosità. Quella del Gesù che parla ai poveri e che si preoccupa di tutti.
La generosità appare come un suo tratto specifico. La si trova anche per quanto riguarda il lavoro. Dalla era sempre pronto a promuovere altri artisti, a collaborare con loro, non curandosi se fossero famosi o meno. Arriva anche a produrre due album di un bravissimo quanto misconosciuto cantautore quale è Renzo Zenobi.
Quella di Zenobi è stata una idea bizzarra. Tralasciando un attimo Lucio, quelli erano tempi in cui la discografia aveva tanti soldi, quindi si investiva sui cantanti in modo più forte. La RCA di allora aveva già lanciato vari cantautori e il direttore artistico era convinto che anche Zenobi fosse uno dei grandi, tipo De Gregori. Lucio, coinvolto dal direttore artistico Melis, scoprì Zenobi e lo produsse. Fece anche un duetto su una canzone di Renzo. Però, ecco, lì non gliel’ha fatta. Nel senso che la fama di Renzo è rimasta legata a una nicchia. Invece poi ha fatto altre scoperte molto più popolari.
E comunque, va bene generoso, ma guai a metterlo da parte. Da quanto raccontate, era qualcosa che proprio non accettava.
È stato così in una certa fase della sua vita, quando aveva paura di perdere un po’ quello che aveva contribuito a far crescere. Era geloso, sì. Forse perché voleva continuare a essere il padre putativo di certe esperienze. Se sospettava gli potessero sfuggire di mano, allora… Ci sono stati dei casi, per esempio con gli Stadio. Lo racconta proprio Curreri, che ha sempre affermato l’importanza fondamentale di Lucio sul suo modo di lavorare. Ma oltre a riconoscergli questo afferma come, se uno delle sue scoperte provava a fare per conto proprio, beh: lui si arrabbiava. Perché era possessivo, indubbiamente.
Era un po’ esageratamente “padre-padrino”, diciamo. Anche nel decidere cosa fare dei brani propri e altrui, a chi darli e se darli. Lavorava come avesse una factory.
Sì, lui aveva messo su la sua etichetta con un suo piccolo mondo bolognese dove faceva cose sue e di altri. Era un po’ la sua ambizione. Comunque solo qualche volta è stato veramente possessivo.
Avete scelto di non inserire immagini, di lasciare alle canzoni, agli aneddoti il compito di illustrare l’uomo e l’artista. È stata una scelta voluta o dettata dalla enorme mole di materiale iconografico disponibile a farvi decidere per questa soluzione?
È stata una scelta condivisa da subito con l’editor, quella di fare un libro senza fotografie. Una scelta presa a monte, prima ancora che il libro fosse scritto. Poi per quanto riguarda i materiali che si potevano inserire in questa biografia, posso dire che anche noi, a livello di testo, abbiamo tagliato e molto. È stato doloroso, ma abbiamo tolto un sacco di notizie. Nulla di fondamentale, sia chiaro. Diciamo che era qualcosa di necessario. Pensa che nei suoi ultimi anni, era stato preso da una forma di bulimia produttiva incredibile. Faceva centinaia di cose all’anno, di tutti i tipi. Alla fine, avessimo dato notizia di tutto, la sua biografia sarebbe diventata una specie di lungo elenco anonimo. È stato soprattutto in quella parte di biografia che abbiamo un po’ lavorato di forbice, per alleggerirlo un pochino.
Anche se l’attacco è più narrativo, la biografia mantiene un taglio giornalistico…
Più che giornalistico, direi che abbiamo cercato di raccontare la biografia di Lucio attraverso le canzoni. Abbiamo voluto fondere la biografia con l’analisi e la spiegazione delle canzoni. Ecco, questo era un po’ il nostro specifico rispetto a una biografia tradizionale. Cioè l’abbiamo fatta scandire letteralmente dalle canzoni. Dalle canzoni e dal racconto di come sono nate.
Altra caratteristica di Dalla che vien fuori dalla biografia è quella di essere un “mentitore”. Io preferirei definirlo più un “dissimulatore”…
Guarda, era proprio bugiardo, nel senso più trito del termino. Sì, sostanzialmente era quello, un contaballe, uno che trasformava la realtà. Si divertiva a farlo. Lo attuava con la sua stessa biografia, come con tutto quello che vedeva… Quindi, di fatto, era un gran bugiardo. A volte era persino difficile capire se stava dicendo una cosa vera o una cosa che aveva immaginato. Poi, bugiardo lo era anche a livello comico. Rispondeva al telefono trasformando la voce, facendo finta di essere un altro. Era molto giocoso e irriverente nei confronti di tutto.
Forse perché voleva ricombinare costantemente quello che di se stesso veniva dato per assodato?
Come atteggiamento era sostanzialmente anarchico. Si annoiava del prevedibile, dello scontato. Infatti ha cambiato sempre, nella sua vita ha cercato sempre cose nuove da fare. Nei decenni a cavallo fra vecchio e nuovo secolo, quando c’era un po’ un tramonto delle sue canzoni, come anche della canzone in generale, lui si è messo a fare altre cose. Ha diretto o creato opere classiche, musical… Non voleva mai stare fermo.
Nella canzone italiana ci sono due Lucio. Uno è Dalla l’altro è Battisti. Come modo di lavorare, Battisti potremmo definirlo “ragionieristico”, mentre Dalla è stato un “eclettico”. Entrambi non stavano mai fermi, continuavano a sperimentare…
Sì, ma con tempistiche totalmente diverse. Battisti era uno che stava molto in casa. non viveva realmente. I tempi fra un disco e l’altro erano molto dilatati… Battisti non ha mai fatto altro che canzoni. Invece Dalla ha fatto veramente di tutto. No, direi che sono molto diversi. Lucio era LA canzone, null’altro che LA canzone. Un lavoro di elaborazione che faceva con tempi molto lunghi… e ha fatto, in fondo, non tanti dischi, se ci pensi. Non aveva quella bulimia che invece possedeva Dalla. Erano estremamente diversi.
I due non si sono mai incontrati.
Si sono sfiorati, ma non in modo significativo.
Quindi non si sa nemmeno se si sono stimati…
No. La RCA dei tempi era un po’ un porto di mare, quindi si saranno certo incontrati però, ripeto, non è rimasta alcuno traccia significativa di questi incontri. Conosciuti verosimilmente sì, ma non lasciando alcuna traccia.
Quale periodo di Dalla preferisci, quale fra le sue varie svolte artistiche? Scindendo il Castaldo giornalista dal Castaldo privato, ovviamente.
Non c’è bisogno di scindere perché le due parti di me risponderebbero allo stesso modo. A parte le singole canzoni – ecco, lì magari la cosa sarebbe più complicata – come periodo che preferisco nella sua produzione, dico la trilogia composta da Come è profondo il mare, Lucio Dalla e Dalla. Quello è il momento che amo di più a livello personale, che ho vissuto di più umanamente e che trovo sia una delle fasi più straordinarie non solo dell’artista Lucio Dalla, ma dell’intera canzone italiana.