La cosa più simile a Tennessee di Luis Gusmán è una canzone, e un bar. La canzone esiste, il bar no.
Il bar sta dentro la carta e l’inchiostro, le porte si aprono ogni volta che affondi il naso dentro uno di quei vecchi libri che nessuno ha più aperto. Il bar è buio e al bancone ci sono Faulkner, c’è Chandler, e poi Onetti e Izzo e Buenos Aires e James Ellroy e, ancora più al buio, con la sua sagoma imponente e il sorriso da grosso gatto del Cheshire, Soriano, che schiaccia noccioline scuotendo la testa.
Dentro questo bar esiste il silenzio di chi ha già detto tutto e lo ha detto altrove e il sassofono dei Morphine che suona la canzone che invece esiste e che si chiama The night, e il fatto che Mark Sandman sia morto sopra un palco, a Roma, mentre suonava, non importa, perché dentro questo bar sono tutti morti, anche Smith e forse persino Walenski, che non sa esistere senza Smith, come una moneta che persa una faccia diventa inutile.
Walenski, protagonista di questa storia, è un duro tutto ammaccato, con l’ernia inguinale, il soffio al cuore e il ginocchio molle.
Walenski viene incaricato di trovare Smith. Il ricco Salerno è morto, mentre guardava Violette per un assassino. Dentro il film Smith e Walenski sono i cattivi, enormi e muscolosi sollevatori di pesi. Smith aveva persino vinto una medaglia ai giochi olimpici del Tennessee e lì era rimasto, con il pensiero, con il sogno, impigliato nel passato come un luccio dentro una rete.
L’avvocato Deganis, che era l’avvocato di Salerno e adesso di sua figlia Telma, arriva al Regatas, il posto in cui Walenski lavora, dove vive e gioca a biliardo. Deganis sostiene che Smith ricattava Salerno e adesso sua figlia e bisogna trovarlo, anche se nessuno sa dove sta.
Quello che Deganis non capisce è che se c’è uno che lo troverà sempre quello è Walenski, perché lui e Smith condividono qualcosa di più di un passato comune, condividono l’assenza di un passato oltre quello che hanno avuto insieme. Sono fratelli di latte, commilitoni dentro una guerra perduta in partenza. Hanno avuto le stesse donne, gli stessi sogni, hanno avuto successo e fortuna e l’hanno buttata via. Walenski troverebbe Smith in quattro mosse, cinque, come uno scacchista esperto contro una sorte incapace.
C’è Carmen tra loro, insieme a loro che li ha amati entrambi e li odia insieme, ora che sono vecchi e non ha più senso nascondere quel segreto che li ha separati e che resta tale, anche dopo averlo svelato, perché il segreto di Carmen è un’arma che lei usa contro questi due lottatori esausti, ma che non può più ferirli perché Smith non sa che farsene della verità, mentre Walenski l’allontana perché l’unico modo, per gli altri, di essere felici è stargli lontano.
Loris Tassi traduce, e come curatore della collana Gli eccentrici, ci regala questo ennesimo capolavoro della letteratura Argentina. Le Edizioni Arcoiris sono come un mare in tempesta che lascia sulla spiaggia quello che trova, che la corrente porta. Sono capolavori detriti, arbusti di una letteratura lontana e sradicata.
Questo di Gusmán è un lavoro più inquadrato rispetto a Il Gemello, in cui lo scrittore rifiutava selvaggiamente ogni definizione, Tennessee è un romanzo noir classico, e Walenski è un pesista come potrebbe essere un vecchio poliziotto alla Fabio Montale, alla Bud White di L.A. Confidential, o un vecchio medico di una piccola città, un medico che sa ascoltare in silenzio come il Díaz Grey di Onetti.
È un uomo per cui il meglio è già venuto, che non capisce la carambola – che invece piace a Smith – perché non vede la necessità di tutte quelle palle e quelle buche. La vita di Walenski è un universo popolato da tre sfere che girano e rimbalzano all’infinito, sempre le stesse, senza rifugio, senza poter scomparire.
Si tratta di un’indagine che farà riemergere vecchie storie mai sepolte. Gusmán progredisce lento, rimbalzando il lettore da un punto di vista all’altro, da un silenzio all’altro perché questa è una storia dove a parlare sono i silenzi, le frasi che non si dicono, i misteri che restano tali. Ci sono volte in cui si ha l’impressione che alcune sottotrame siano state ignorate o tranciate di netto o divorate o risolte in maniera troppo semplice come quando Walenski, Smith, Deganis e Telma sono tutti nella stessa stanza. È una scena cruciale, risolutiva che McCarthy avrebbe risolto con dieci pagine di dialogo; Victor Hugo con 2500 parole solo per descrivere la stanza e le crepe nel soffitto; Proust avrebbe scandagliato ogni singola sfumatura emotiva di ognuno dei presenti, mentre Gusmán cambia improvvisamente prospettiva e la racconta, questa scena, con venti righe di lettera spedita a Carmen.
Al lettore restano vuoti come voragini ma deve accettarlo, deve abituarsi, rassegnarsi al gelo delle fosse vuote che già attendono il cadavere, perché questa è una storia latinoamericana, dove i tanti modi di chiamare e di dire le cose significheranno sempre sconfitta.
Pierangelo Consoli
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Tennessee, Luis Gusmán, Edizioni Arcoiris, Pp. 160, Euro 13.