Lidie Salvayre è una scrittrice molto famosa in Francia. Ha ricevuto premi estremamente prestigiosi come l’Hermes e il Goncourt.
Ha pubblicato quindici romanzi e le sue opere sono tradotte in almeno venti lingue. Prehistorica Editore la riporta in Italia, con un romanzo molto singolare dal titolo La conferenza, tradotto da Lorenza Di Lella e Francesca Scala.
A Cintegabelle, piccolissimo comune dell’Alta Garonna, un uomo tiene una conferenza sull’arte della conversazione. Davanti ai concittadini riuniti, il protagonista di questa arringa accorata si dice preoccupato per la perdita di questa raffinata consuetudine su cui si è basata la grandezza stessa della Francia. Se muore la conversazione, muore il genere umano nella sua interezza. Alla base di questo delirio esiste un fondo di oscura verità. Interessante che questo libro sia stato pubblicato, per la prima volta, nel 1999.
L’analisi della Salvayre, nella sua cinica ironia, si dimostra terribilmente azzeccata. Il conferenziere elenca i diversi tipi di conversazione: amorosa; politica; letteraria; patriottica e spiritica.
Fino agli anni settanta era normale, per un gruppo di giovani, parlare di politica, oggi no. Nessuno è più interessato all’argomento.
Allo stesso modo, se analizziamo le nostre conversazioni, e quelle dei nostri figli soprattutto, tutte queste sfumature, questi argomenti, sono scomparsi, essiccati da una forma di nichilismo argomentativo. Razionalizziamo ogni aspetto della vita o, semplicemente, abbiamo smesso di analizzarlo come ogni forma di conversazione impone. La mancanza di coscienza analitica rimane il grande dramma dell’uomo nuovo capace di passare agilmente da un’occupazione all’altra, da un pensiero all’altro, senza processarne davvero nemmeno uno, scivolando sulle questioni senza affrontarle e questo, forse per davvero, può portare l’essere umano nella forma in cui lo abbiamo sempre immaginato, all’estinzione. Nemmeno con i morti parliamo più.
Così, questa ciceroniana delirante, divertente e ingenua, assume di colpo il volto di un’indomita resa.
Lydie Salvayre usa questo goffo personaggio, la sua storia amara, come un cavallo donato.
Di lui scopriamo particolari, come piccoli pezzi di pane elargiti sul cammino narrativo perché il lettore ricostruisca un cammino.
Nascosta in farneticanti teorie qui c’è una storia. Nella forma più imprevedibile, Lydie Salvayre scrive un romanzo dove apprendiamo che il conferenziere ha perso sua moglie da soli sessanta giorni, una moglie enorme, materna, una moglie caverna in cui rifugiarsi, sempre sdraiata, che rideva a sproposito, capace di riportarlo a terra con un rutto o una cialtroneria, quando il protagonista teorico troppo si allontanava con i suoi pensieri, e che lo manteneva, materialmente, poiché il protagonista non lavora, pensa, scrive, arringa, pone questioni.
In questa sua analisi accurata, ci racconta di quando ha tentato di farsi largo, vanamente, negli ambianti letterari parigini e poi nella politica, scoprendosi fuori posto ovunque. Come venuto da un altro secolo, solo a Cintegabelle si muove a suo agio, tra quei concittadini che gli concedono un pulpito da cui sproloquiare.
Dopo Julia Deck; Eric Chevillard; Venet e Vialatte, con Lydie Salvayre l’editore Prehistorica ci consegna una nuova perla della nuova letteratura Francese.
Lydie Salvayre, La conferenza, Prehistorica Editore, 2023, Pp. 140, Euro 14