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Maigret e qualche cicchetto di troppo.

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Nel maggio 1970 a Epalinges, in una dimora protettiva quanto una cassaforte svizzera e circondata da vicini interessanti come i Chaplin, Simenon scrive in pochi giorni “La pazza di Maigret” (Adelphi, traduzione di Valeria Fucci, pp. 155, 10). È il quart’ultimo dei 75 romanzi dedicati al commissario, che adesso beve qualche cicchetto di più ma fa meno uso del tabacco da pipa.
La notizia dell’omicidio d’una vecchietta dagli occhi “dolcissimi” lo raggiunge al Quai des Orfèvres. Subito il libro regala alcune ricostruzioni magistrali dell’ambiente che circonda la vittima, sceneggia la reticenza piccoloborghese. Maigret intanto, borbottando e tentennando, si avvicina alla soluzione del caso reso più misterioso da una nipote dell’uccisa, una cinquantenne più romantica che ninfomane.
(Antonio Debenedetti, Corriere della Sera, pag. 33, 6-1-12)

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