Conoscevo un tizio che incontravo di rado e sempre di notte. Era un tipo da bar o da osteria. Beveva molto, ma era pacato. Parlavamo spesso di calcio, meno volentieri di letteratura. Una volta portò un libro di Juan Gutierrez, La trilogia sporca dell’Avana. Mi disse che lo vendevano come un Bukowski cubano, ma che era un modo grossolano di giudicare la cosa.
Questa storia mi è tornata in mente dopo aver letto una piacevolissima raccolta di poesie, ottimamente presentata da Il ramo e la foglia edizioni, a cura di Roberto Maggiani, dal titolo Poco allegretto, del poeta portoghese Manuel de Freitas.
Della biografia di de Freitas si conosce poco. Pare abbia una cinquantina d’anni, che sia nato a Vale de Santarém e che viva a Lisbona dal 1990. Ha lavorato come traduttore e ha fondato una casa editrice. Solo questo. Molto di lui, però, si trova nelle sue poesie.
De Freitas ha certamente qualcosa del mio amico notturno e bevitore. E chiunque abbia bazzicato i bar dopo una certa ora, chiunque abbia avuto una gioventù interessante, ne avrà uno uguale da ricordare.
Perché de Freitas è uno di quei soggetti che s’incontra riflesso nei laghi deformanti degli specchi dei bar, che setacciano la notte in cerca di disperati, che allungano il vino con le chiacchiere, che si confessano all’altare del barista e si guadagnano un pezzo di cammino al fianco di una donna ignota come uno spettro.
Come per Juan Gutierrez, anche per questo cantore della strada, si potrebbe citare Bukowski, Tom Waits, eppure gli faremmo un certo torto.
De Freitas è certamente un poeta diretto, che ama la forma semplice, il verso breve, il racconto lirico, però non ha la monotonia dell’autore di Donne e Panino al prosciutto. Inoltre, de Freitas, non conosce la stessa esigenza di stupire.
Bestia notturna, si porta appresso l’enorme fardello della sua tradizione letteraria e poetica. La lingua che si ritrova a maneggiare, il portoghese, è sonora come poche, ma insidiosa a tradurre in versi proprio per questo motivo. Quanta musica, quanta tristezza e malinconia melodica si nasconde nel Fado, nella Modinha, nella Bossa nova. De Freitas scappa veloce e rende invece aguzzi i suoi versi, taglienti. C’è sempre fame di vita, nelle sue storie, nei suoi derelitti, anche quelli che si abbandonano al pianto sulla spalla di sconosciuti.
La morte segue il poeta come una cagna cieca e paziente.
Scrivere della morte non è esattamente una professione, scrive il poeta in una poesia dal titolo Becherovka, e forse scriverne no, anche se per molti lo è stato e sempre lo è, quando si scrive. Il poeta Parra diceva che tutte le poesie parlano di tombe e non parlano d’altro. Se scrivere della morte non è una professione, scansarla ogni giorno è un’occupazione a tempo indeterminato.
Il Ramo e la foglia ci consegna una raccolta lunga come un’antologia. Esaustiva dell’opera di questo poeta tanto interessante. Una casa editrice, che stiamo imparando a conoscere, e che mi appare come un puledro che, nato da poco, già cammina. Elegante, riconoscibile.
Pierangelo Consoli
Manuel de Freitas. Poco allegretto, Il ramo e la foglia, 2021, pp. 224, euro 16.