“Magari si potesse affrontare il dolore umano con numeri chiari e non con parole incerte. Magari ci fosse un modo di sapere quanto abbiamo sofferto, e il dolore fosse materiale e misurabile. Un giorno o l’altro un uomo finisce per affrontare l’inconsistenza del suo passaggio nel mondo, io non lo sopporterò mai”. Inizia così il romanzo del poeta e scrittore spagnolo Manuel Vilas: un libro che è tra i migliori, se non il migliore tradotto quest’anno in Italia. Un piccolo grande capolavoro che come ha scritto Fernando Aramburu (autore del pluripremiato romanzo “Patria”) è “potente, sincero, a tratti crudo sulla perdita dei genitori, sul dolore delle parole non dette e sulla necessità di amare ed essere amati”.
Una narrazione capace di arrivare al cuore della verità, senza per questo cadere mai nel nichilismo perché il solo scrivere (e per noi leggere) accende il fuoco sacro della vita, di un’esistenza che spesso ci trasciniamo dietro senza troppi “perché”, perché troppe domande sul mistero di vivere – dicono- fanno male. E su questo anche lo scrittore spagnolo è chiaro sin dalle prime pagine: “Siamo tutti povera gente, infilati nel tunnel dell’esistenza. L’esistenza è una categoria morale e allora esistere ci costringe a fare, a fare cose, di ogni tipo…”.
Vilas non ha paura di affrontare il dolore che può scarnificare raccontando la morte dei genitori, dedicando pagine di intensa e pura e incorrotta emozione soprattutto al padre. “ In questo istante mi accorgo anche che la nella mia vita non sono successe grandi cose, e tuttavia porto dentro di me una profonda sofferenza. Il dolore non è assolutamente un impedimento alla gioia, così come intendo io il dolore, perché per me è legato all’intensificazione della coscienza. La sofferenza è una coscienza espansa che raggiunge tutte le cose che sono e che saranno. E’ una specie di amabilità segreta verso tutte le cose. Cortesia verso tutto ciò che è stato. La sofferenza è una mano tesa. E’ amabilità verso gli altri. Mentre sorridiamo, dentro di noi veniamo meno. Se scegliamo di sorridere invece di cadere morti in mezzo alla strada è per eleganza, per tenerezza, per cortesia, per amore degli altri, per rispetto degli altri”.
Ogni pagina è un insegnamento, senza perdere il gusto della lettura, di una narrativa che riesce a far breccia in una filosofia di vita, che spesso diventa sociologica, ma lontana dal “culmine della disperazione” di filosofi contemporanei come Emil Cioran o altri profeti moderni dell’autoannientamento. Sarebbe troppo facile sintetizzare che è un libro che fa pensare a ogni pagina, ma è così: è un romanzo indispensabile, una lettura essenziale per chi non vuole rimanere un turista della vita. Uno di quei romanzi rari, che capitano poche volte nella vita perché Vilas è a livello di un Albert Camus nel farci comprendere che, dopo tutto, alla fine di tutto, comunque sia andata e comunque andrà “In tutto c’è stata bellezza”.
Gian Paolo Serino