«C’era una volta, a Verona, un editore».
L’incipit è favolistico, ma la storia che ci si appresta a narrare è più che reale. Protagonista assoluto, Giorgio Bertani, veronese classe 1937, scomparso nel giugno 2019, fra i primi ad aver tracciato per i posteri la strada di quella che oggi va di moda chiamare “editoria indipendente”.
Lui, antifascista di ferro, figlio di operai altrettanto antifascisti, principiò la propria carriera “tra le sudate carte” come responsabile del settore testi scolastici presso la libreria “Dante” di Verona e, nelle pause dal lavoro, imparò un buon latino da autodidatta.
La casa editrice (semplicemente – forse narcisisticamente? – “Bertani”, pur con qualche anno come “E.D.B.”) nacque sul finire dei Sessanta, periodo croce e delizia per gli ideologi/ideologizzati/ideologisti d’ogni risma.
Pensate che il buon Giorgio – a inizio carriera sfoggiava capello lungo e baffoni importanti, successivamente sempre chioma fluente (benché un po’ diradata), ma baffi sviluppatisi in una barba che lo poneva a metà strada tra l’eremita e il garibaldino – nel 1962 ebbe l’occasione di partecipare al rapimento (dimostrativo, non gli fu torto nemmeno un capello) del Viceconsole spagnolo di stanza nel capoluogo lombardo. Lo fece assieme ad alcuni compagni anarchici e socialisti rivoluzionari gravitanti tra Verona, Trento e Milano. Il gesto venne compiuto al fine di sollevare l’opinione pubblica contro la condanna a morte di tre militanti antifranchisti pronunziata da un tribunale iberico.
Benché dimostrativa – cosa che permise, insieme all’atto compiuto “per ragioni di particolare interesse morale e sociale”, di far diventare dimostrativo pure il carcere cui vennero condannati i protagonisti, l’azione ebbe il giusto risalto, tanto da far muovere anche Paolo VI in favore dei tre.
Ordunque, Bertani editore. Non si può omettere il risaputo: fu il primo a pubblicare – ad avere il coraggio di farlo – Dario Fo. Si intende nel senso più completo del termine. Quindi non soltanto le sue pièces teatrali e le sue satire, ma pure – inframezzo i cataloghi di vendita della casa editrice – i proclami del circolo teatrale “La Comune” e gli appelli del Soccorso Rosso militante.
Ma Fo (e Franca Rame; i due davvero erano un corpo e un’anima) fu la punta dell’iceberg. Prima durante e dopo, una miriade di altri autori che non avevano mai goduto di una edizione italiana delle proprie opere o, se italiani, addirittura mai prima pubblicati.
Non ne faremo un elenco – per non annoiare e soprattutto non rubare il piacere della lettura del libro curato da Tibaldi, ma una essenziale panoramica sui temi trattati non è possibile ometterla: storie di evasione (nel senso carcerario e mentale) e di filosofia critica (in primis, della filosofia stessa); antipsichiatria, femminismo e lotta armata di liberazione nazionale, poi saggi e romanzi, mai però di formazione. Al limite, di distruzione.
Quando il curatore passa la parola, a prenderla sono due personaggi entrambi oggi noti per ragioni differenti: Antonio Moresco e Carlo Rovelli. Per motivi e in maniere e situazioni diverse legarono, per un breve, talvolta brevissimo percorso, la propria esistenza a quella di Giorgio Bertani e delle sue edizioni.
Non è una critica quella che ora seguirà. Potrebbe sembrarlo, ma è un semplice commento, il punto di vista di un lettore prima che di un recensore. Assieme al libro viaggia un DVD, Verona city lights, il quale, tramite interviste, ambienta «l’esperienza della casa editrice nel contesto veronese di quegli anni». È molto piacevole ed è giusto che lì gli intervistati parlino di sé, della Verona di allora e della loro città ideale.
Ma nel libro, esplicitamente dedicato a Giorgio Bertani fin dal titolo, pare quasi che l’accenno all’editore venga fatto dai sopracitati Moresco e Rovelli per mettersi in pace con la coscienza e poter procedere a raccontare chi sono stati, chi sono adesso, cosa hanno fatto e cosa non sono riusciti a fare. Eppure i due hanno avuto, hanno e avranno parecchie situazioni per porsi al centro dell’attenzione. Questa non doveva essere una di quelle. Un poco di autoincensazione in meno sarebbe stata gradita. Io l’avrei gradita.
Dunque, Giorgio Bertani editore ribelle. Ribelle anche nei confronti di quella parte politica che lo ha eletto a proprio portabandiera in ambito culturale. Marc Tibaldi lo omette. Mancanza di spazio, non conoscenza, convenienza politica? Ricordiamo infatti che le idee, sia per il libro che per il contributo video, sono venute a partire da una conferenza, più mostra fotografica, che si sarebbe dovuta tenere nei locali del centro sociale veronese “La Chimica”, non più esistente dal 2007.
Giorgio ebbe come amico in uno dei più giustamente quotati poeti d’avanguardia. Si chiamava Ezra Weston Loomis Pound e la parte avversa a quella di Bertani ne aveva fatto già allora un proprio alfiere. Non è mia intenzione aprire qui un dibattito ideologico dal momento che è talmente evidente da che parte pendessero e l’uno e l’altro, ma il fatto è risaputo: Pound, che passò gli ultimi anni della propria vita a Venezia e che nella città lagunare è pure sepolto, diverse volte si spostò a Verona per incontrare e parlare con quell’editore ribelle, ma sul serio.
Si suol dire che un libro mai lo si dovrebbe giudicare dalla copertina. A ogni modo, per una volta facciamo una eccezione e godiamoci la rassegna delle copertine, a colori, di buona parte del catalogo della casa editrice veronese (che ha purtroppo chiuso i battenti definitivamente nel 2001, ma arrancava già da una decina d’anni). Dio abbia in gloria Tibaldi e i suoi collaboratori per il certosino lavoro di ricerca e sistematizzazione!
Non possono infine mancare i riferimenti al Movimento del ’77, di cui la Bertani fu una delle privilegiate casse di risonanza. Del ’77 in generale e di quello personale del solito Rovelli.
Bertani Editore, una storia veronese, una storia di classe (in tutti i sensi)!
Alberto De Marchi
Recensione al libro Giorgio Bertani editore ribelle di Marc Tibaldi, Milieu edizioni 2020, pagg. 145, € 16,90