Ho letto che di questo romanzo si è fatto un gran discutere tra lettori entusiasti e detrattori. E’ questa la prima ragione per leggere “Fedeltà”: un romanzo che divide almeno in Italia non ne leggevamo da anni.
La seconda ragione è perché Missiroli è uno scrittore garbato, disciplinato ed in questi tempi dove anche le parole strillano come per paura di passare inosservate non è poco. La terza ragione è perché è un romanzo che si comprende non divorandolo: in questo è molto francese, con buona pace di chi l’ha paragonato a Philip Roth (non ci ho visto molte somiglianze, diverse invece con “Le figlie degli altri” di Richard Stern).
La quarta ragione è perché se il precedente “Atti osceni in luoghi privati” non mi era piaciuto (con un erotismo che ricordava troppo la carnalità di un certo Faulkner) perché non era un romanzo sfida, “Fedeltà” lo è: sin dal titolo, che sembra uscito dal cilindro di Franzen. Lo è perché ci fa interrogare non su fedeltà tradimenti coppie etc, ma sulla stratificazione umana che questi comportamenti hanno su di noi. Siamo circondati da queste idee e azioni e, anche se non ne siamo protagonisti, viviamo sempre su un precipizio di sospetto e fragilità, di insicurezza che ci rende adulti e bambini allo stesso tempo. Perché queste azioni nascono soprattutto dove c’è sicurezza, abitudine, certezza. Come nell’infanzia. E l’amore spesso è infantile. Ecco Missiroli ci fa capire come l’amore vero, sentito, sussurrato, strappato, appiccicato addosso come la pelle bruciato di un ustionato di Pompei, esista. Esista davvero. Senza favole. Ma nei piccoli gesti. Nel non tradire non tanto l’altro ma non tradire il nostro destino, la via che percorriamo: non tradire la gentilezza. Non tradire se stessi quando siamo soli e tutto ci porterebbe a camminare con lo sguardo all’indietro. “Fedeltà” è il romanzo di un uomo, su tutto. Ed è il romanzo di uno scrittore che – a parte qualche furbizia (come citazioni di poetesse)- non mente. A se stesso e soprattutto al lettore. E’ un romanzo in buona fede, come quelli che si sentiva il bisogno di scrivere come una garza su una ferita o come un patto in un diario da chiudere. E poi ci sono i paesaggi umani: quelli di Milano (in molti giustamente hanno fatto il parallelo con la Milano di Dino Buzzati: è vero, ma è il Buzzati non romanziere ma giornalista di cronaca per il Corriere: tra efferati delitti, lui inviato di nera, ci raccontava la Milano ancora gentile, come fosse una innocente davanti al delitto. Come se non fosse né il luogo né il delitto, ma pietre, strade, chiese, cicatrici. La stessa Milano di Gadda e quella purtroppo sconosciuta di alcuni racconti di Piero Chiara). Poi c’è Rimini, dove Missiroli è nato, stretta tra Fellini e Tondelli e perciò quasi impossibile da raccontare, ma solo da vivere.
Gian Paolo Serino