Scorgere nella folla “l’innocenza che muove la testa”, aprire in stanze chiuse “finestre sul mare”: questo il compito, antico e resistente, della parola poetica. Contro ogni tendenza riduttivistica o relativistica, o addirittura deriva prosastica, i versi di Maria Borio, tra i migliori esponenti della “nidiata” di autori italiani nati negli anni Ottanta, ribadiscono la peculiarità della forma e dell’esperienza poetica. Guardando al nucleo “puro” della vita – la coesistenza e la commistione degli esseri, la compartecipazione a un’essenza e a un cammino – e squarciando le “impurità” che tra gli esseri creano ostacoli, contrapposizione e morte, la poesia restituisce con la forza dell’intuizione emotiva o l’ordito incessante del pensiero ciò che traspare dal profondo. “Trasparenza” è, non a caso, il titolo della seconda raccolta di Maria Borio, pubblicata da Interlinea Edizioni nella collana Lyra curata da Franco Buffoni. Un viaggio tra le schermaglie del tu e dell’io, nelle distanze dell’alienazione, nel dolore della precarietà, della solitudine, di una faticosa comunicazione, nella presunta sintesi del mondo digitale (che distanze e partizioni annulla dentro un’insidiosa realtà virtuale), per riemergere alla luce di una parola “concreta”, “gravida”, che risveglia e salva.
Osservate, chiedete non alla forma
ma fuori a tutto il resto cosa sia,
questa scrittura o le unghie esili,
le biografie anonime o le parole anonime.
[…]
… lettere, vi dico, pensatele, in ogni lettera
guardate una parola come un piede di bambino
appoggiato alla mano della madre, quella mano
alla pancia e la pancia a un pensiero.
(“Osservate…”, pag. 5)
Non si tratta di un viaggio isolato e cieco: anche quando prevede un ripiegamento nell’intimo, il percorso avviene sempre ad occhi aperti; e sempre trova, infine, uno sbocco, una connessione con l’altro e col mondo. Ha, insomma, una vocazione intrinsecamente “espansiva”, di un’esperienza che tende a raccogliere, assimilare, mettere in rapporto, erigere. Compie un tragitto di vertigine, assecondato da una forma raffinata e originale, una sapiente struttura metrica e sintattica (che modella la parola in verso senza forzature liriche), un’architettura di senso che predilige orizzonti vasti, che non esplode ma si dispiega perlopiù in un flusso largo, negli esiti più felici sontuoso e avvolgente.
Stesa sul letto a volte vedi forme,
curve che entrano e spirali che evadono.
Gli organi trasparenti in alto si aprono
e diventano una linea morbida che insegue se stessa,
pulisce il respiro dai colori scuri – il colore del sangue,
o quello denso della carne dove nascono le api.
Nulla si rigenera, ma è prolungato, infinito
nella linea che pulisce gli oggetti e fa cose
per pensare, per abitare: un grande uovo, ad esempio,
si spacca senza perdere liquido e bianchissimo invade
gli angoli del soffitto, apre un arco, una porta
tra i continenti.
Tra il cielo e l’acqua questo edificio
splende in una luce illimitata:
puoi aprirlo, aprirti
a una lingua di toni aspri,
tornare nel suono rotondo di un’altra
riprendendo quei toni come finestre sul mare
o il ponte sospeso per il parco
dove le persone stese sull’erba sono api
e il calore al sole sembra impedire la morte
anche se tra anni, milioni, un giorno
esplodendo.
Segui poi altre linee, quelle della specie,
forse come sapere che nascere
non sarà più violenza, ma fenomeno di sguardo,
e dal letto lasci il sesso arrampicarsi
attorno ai contorni di questo edificio
nel suo bianco sotto raggi tempesta,
la stella nell’attimo prima
di esplodere.
La vita è ovunque, in una linea curva
ognuno abita come pensare.
Le api ora lasciano la mia bocca perché le penso.
(“Aquatic Centre”, pagg. 30-31)
Si coglie, nei versi di “Trasparenza”, la nettezza e la perentorietà di una cifra letteraria: uno spunto ogni volta diverso, come un sasso lanciato nello stagno della realtà, cerchi che si sprigionano e man mano si allargano in una dimensione più rarefatta ma non vana, una visione più elevata e comprensiva, in qualche modo “assoluta”.
Seguiamo la corrente, sentiamo altre forme:
sotto le case fondamenta, sotto la riva radici.
Il cono dell’atmosfera vuoto su tutti, azzurro.
(“Atmosfera”, pag.72)
La parola di Maria Borio ridesta e plasma, scende nei meandri delle cose, ispeziona le nervature, i condotti della linfa, riempie il concreto di una luce che i corpi – “impuri” nei loro confini – non riescono a trattenere. Che pure posseggono, sotto un grigiore più o meno superficiale o stratificato; che, una volta liberata, liberamente fluisce e si proietta verso l’esterno, dal mondo più contiguo a scenari apparentemente remoti, un’onda sul mare della coesistenza, della coscienza comune di tutte le “cose”. In questo modo, attraverso un aprire stanze segrete e un saldare mondi per viscere, per intime – invisibili ed essenziali – connessioni, “Trasparenza” emana un afflato di poesia “civile”.
Una voce ci raccoglie nella mente. Il suo spazio
è un equilibrio tra due mediane: la voce che sembra
conficcata su uno spillo e due mediane che l’attraversano.
La terra esiste senza equilibrio come una voce.
Pensiamo le sue parti: il nord e il sud divisi che irradiano
persone, flussi di persone, congiunzioni o schianto.
[…]
Una terra è flussi e scarti, come quelli della voce.
Stringi le mani sulla gola, ascolta le parti interne
alto e basso, il palato e lo stomaco che spingono.
La mano stretta tra sud e nord, come sopra a un mare,
scava nella gola. Anche dentro a una persona sola
lo spazio di una terra a volte è così verosimile…
Dicevi questa storia per trovare l’immagine
di una moltitudine, riporla dentro di te, liberarla.
(“Voce”, pagg. 122-124)
C’è in questi versi un messaggio di “relazione metafisica”, un moto espansivo volto ad abbracciare la realtà e in qualche modo a sublimarla, una tensione in certi punti estatica, che li rende preziosi. In un’epoca di narrazioni artificiose, semplicistiche, ciniche – o, al contrario, affabulatorie e spettacolari, votate deliberatamente all’intrattenimento – essi riaffermano il valore specifico e insostituibile della poesia: quella portata di intuizione, di rivelazione immediata e profonda che, da Vico ad Heidegger, ne ha fatto il canale d’accesso più misterioso e stupefacente alla verità, o almeno alla polpa, della vita.