“Guardatemi, guardatemi, guardatemi” ripete al lettore la protagonista del primo racconto.
È una straniera senza nome, una delle tante, cammina con lo zaino in spalla verso uno sconosciuto che ha promesso di raccontarle la sua storia di riscatto. È un’illusa, disperata, una delle tante clandestine anonime che ogni giorno sgobbano e sperano in attesa di una svolta.
“Guardatemi”, è una preghiera che ritorna, esplicita nelle prime pagine, invisibile ma presente in tutto il testo come un mantra che scandisce il ritmo di una condanna inclemente.
“Guardatemi”, è il desiderio profondo di ognuno di questi personaggi smarriti nel proprio girone infernale. E di inferni ce ne sono parecchi, ben dodici, in questa raccolta di María Fernanda Ampuero edita da Gran vía edizioni, magistralmente tradotta da Francesca Lazzarato.
Dodici anime smarrite nelle proprie esistenze di confine, sepolte in quartieri fatiscenti, schiavizzate, violentate, imprigionate in gabbie reali e metaforiche.
“Guardateci”, “Ascoltateci”, “Raccontate di noi”. Un bisogno che traspare da ogni parola, da ogni frase, mentre scorrono sulla carta fotogrammi espressionisti di ragazze maltrattate, vittime, sorelle costrette a vivere accanto a pedofili mascherati da “credenti”. Giovani incapaci di porre domande che le condannerebbero a una vita di vergogna. Donne condannate al proprio palcoscenico di rivalsa, anche a costo di lasciarsi divorare, abusare, cedere l’anima al demone peggiore. Sono racconti che fanno male, quelli della Ampuero, sono le urla che si alzano dai quartieri abusivi di una provincia in cui bisogna lottare ogni giorno contro il tanfo e il fetore dei pesticidi. Sono case che trasudano umori, con le pareti gonfie di muffe tossiche, fango e insetti che si riproducono per le stanze come tumori, sono padri ostinati a difenderle dagli invasori, anche a costo di trasformarle nella propria tomba. Luoghi che diventano personaggi, labirintici parcheggi che mutano la propria forma traendo energia dall’odio di un litigio. Ci sono ragazzini considerati freak perché camminano con il polso alzato come quello delle dive, altri con la testa troppo grande e deformata per comprendere la vertigine di un salto nel vuoto e in tutto questo, la claustrofobia generata dall’impressione di scendere all’interno di un abisso, con le pareti che si fanno sempre più spesse e più buie mano a mano che si procede nella lettura.
È una trappola implacabile, quella imbastita dall’autrice, una spirale il cui fascino voyeuristico si alimenta dal terrore e dall’indignazione per una realtà che inquieta perché fin troppo vicina, possibile, tangibile.
Che si tratti di odio, disuguaglianza, abuso, sopraffazione, queste dodici condanne feriscono per la loro lucida implacabilità, lame che abbagliano di un realismo cinico e macabro. La penna è un testimone che non risparmia dettagli: ciò che accade è lì, sulla pagina, trascritto nella schiettezza di una prosa feroce che morde e azzanna perché non conosce altro modo di raccontare l’oscurità umana.
Le ferite descritte in questi dodici sacrifici umani appartengono a corpi incapaci di dimenticare, corpi che lottano ogni giorno per sopravvivere, corpi selvaggi, testardi, consapevoli di una sola cosa: c’è più coraggio nella sofferenza, che nella semplice resa.
Stefano Bonazzi
#
Sacrifici umani
María Fernanda Ampuero
Gran vía edizioni
14,00 euro — 148 pagine