Quei fili d’erba storti andrebbero tagliati: a lei non piace che la rugiada cada sulle pietre che escono dal convento, dice che è sprecata. Alle pietre non serve: possiedono una forza che non si deve vivificare, è perfetta così. La rugiada aiuta gli unguenti, le essenze, i decotti: all’inizio non riuscivo a raccoglierla e mi limitavo a seguire lei, fingevo di volere imparare ma ero rapita dalle sue mani e dai movimenti veloci e nervosi che sembravano musica. Mi rimprovera perché sono pigra e mi appassiono a troppe cose: dovrei usare la voce di Dio che ho dentro, secondo lei ho le mani delicate che portano la cura. Mi chiede di tenere il palmo sul suo braccio quando riposiamo o la accompagno a vedere l’orto. Pensa che veda tutto: forse è vero, ma non si accorge che ho sempre guardato solo lei.
Se colgo l’erba ride: il suono dello stelo è croc perché non sono ancora capace di accarezzarlo prima di tirarlo via. Si lamenta perché non riesco a riempire la sacchetta e faccio cadere troppa vita. Usa l’erba per gli impacchi, se la raccoglie prima dell’alba chiede alla rugiada di lavare anche le sue dita con la forza vitale: una volta ha passato i polpastrelli sul mio viso e sorrideva mentre sussurrava di non dirlo a nessuno.
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Stai prendendo colore, vedi che l’acqua della notte riesce a renderti meno pallida?
Ho chiuso gli occhi, nessuna mi ha mai accarezzato come lei.
Le pietre davanti al convento hanno un colore strano: non assomigliano a quelle dove sedevamo per respirare. Ho la sua musica nelle orecchie, quella che mi ha dedicato. La dimenticherò là dove sto andando?
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Madre…
L’uomo alla mia destra ha fretta, indica il carro coperto: tre passi e lo sentirò cigolare sotto il mio peso, tre passi e la strada inizierà a scorrere sotto i piedi, le gambe, la veste, i pensieri, le lacrime che non riesco ad assaggiare. Tre passi e lei sarà indietro, oltre il portone scuro con i battenti grossi arrugginiti che ha fatto un rumore di minaccia quando si è chiuso.
Morirai se ti allontani, morirai se la lasci.
Potrei voltarmi, adesso. Potrei ritornare al legno del portone, al metallo dei battenti, all’aria che circola nel chiostro e alle mani di lei, che sta facendo qualcosa per non pensare.
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Questa è la tua scelta.
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Sì.
Non so da dove sia uscito il sì: una parte del respiro ha sputato un suono, e sembrava un sì. No, sì, no, sì: sono le parole che hanno incrostato i sogni assenti e i giorni delle discussioni, delle preghiere, delle sue lettere disperate a chiunque fosse in grado di ascoltarla. Abbiamo litigato e ha pianto, le ho detto che non sono un suo possesso ma ho mentito: questi tre passi che non voglio fare dimostrano il contrario.
Non fatela andare, non fatemi partire. Poi mia madre ha scrutato i miei occhi:
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Lo hai sempre voluto, sarai felice.
Non credo sappia cosa significhi felice, non gliel’ho chiesto. Penso di saperlo io, invece, ma non le importa, e in fondo non deve riguardare neanche me: non lo sarò mai più. Ero felice quando guardavo H., quando con lei curavo la gente, quando ascoltavo le sue parole e imitavo il suo tocco. Ero felice quando noi eravamo una sola anima.
L’uomo a sinistra si spazientisce, ma non può dirlo: mi accorgo dall’odore del sudore, che è cambiato, e il fiato si è fatto rapido. Non può toccarmi, non dovrebbe nemmeno parlarmi: sono certa che voglia afferrarmi per le spalle e mettermi sul carro, ma se lo facesse sarebbe punito. Sarò, sono la nuova Badessa di un convento importante a Bassum. Sono ciò che secondo mia madre ho sempre voluto. Sono la Badessa con il cuore spezzato.
Un passo. Potrei ancora scappare, aggrapparmi ai battenti e urlare di aprire, correre nella sua cella e chiederle di tenermi lì, di nascondermi, di non lasciarmi partire. Ma le ha provate tutte, e non è possibile: la mia vita non è mia, nemmeno lei può farci niente. Alla fine, tra l’altro, ho deciso io: ho detto sì. Con il mio rango e la mia capacità non dovrò più scrivere le sue voci che parlano dal cielo: dirigerò un convento. Sarò, sono la Badessa. La Badessa fortunata e ricca con il cuore spezzato.
Mi chiamo Richardis Von Stade, e vorrei ritornare indietro. Alzo il piede e salgo sul carro. Guardo il portone: è chiuso ma la vedo, piange di rabbia e di dolore. Piange per la mia morte.
Mi chiamo Richardis Von Stade e sono la nuova Badessa di Bassum. Muoio poco dopo il mio arrivo al convento e la mia anima si perde: da innumerevoli dei vostri secoli mi reincarno per ritrovare H., che è in un cielo altissimo e tende la mano per accogliermi.