“Forse è questo che s’impara vivendo, a tornare senza dolore” scrive Mariangela Tarì nel suo romanzo “Terra madre” (Mondadori, 2023 pp. 204 € 18.00). L’autrice narra una storia radicata di frammenti di acuta intensità, ricompone un percorso di conoscenza nella costruzione emotiva dell’esistenza, percorre un itinerario sensibile verso il traguardo dell’identità e delle proprie radici. La sua scrittura incisiva ed efficace misura il limite inafferrabile della forza educativa, riflette sulla capacità di resistere alle evoluzioni umane, governa l’empatia, manifesta la direzione delicata della potenzialità originaria degli affetti, esplora la frequenza sentimentale della radice natia. Abbraccia il vincolo premuroso e protettivo, difende il significato profondo della consanguineità, alimenta l’affinità delle relazioni familiari, sostiene incondizionatamente la parentela emblematica del cuore. “Terra madre” esplora l’inesauribile essenza generatrice della vita, custodisce tra le pagine la complessa rivelazione sull’energia magica del fondamento vitale e sui vincoli originari associati all’attaccamento spirituale dei luoghi, alla solidarietà dell’amore. La protagonista del romanzo, Emma, sceglie di andarsene dalla sua città natale Taranto, ed emigrare al nord per tentare di costruire un più vantaggioso avvenire. A Verona incontra Martino, con il quale si sposa e ha un figlio. Emma non si sente però realizzata né appagata dalla sua vita e vive la percezione del trascorrere del tempo come un inesorabile dolore, avverte il senso del malessere esistenziale, soffre lo scoraggiamento della tristezza, lotta contro la congiuntura del rimpianto. Si accorge di essere sempre più separata dalla sua città natale, e sente di non trasmettere a suo figlio la testimonianza della familiarità, l’eredità amorevole dei nonni e la devozione dei suoi luoghi d’infanzia. Emma, con la sua ostinata determinazione, stabilisce il suo rientro decisivo a Taranto, per ritrovare i profumi radicati nella sua tradizione, riconfermare gli odori risvegliati della sua vita passata, rievocare la residenza della sua spensierata e felice stagione, nell’esclusiva libertà di dare nobile consistenza all’energia del suo vissuto. Proprio in questi luoghi ritrovati, abitati come il richiamo irresistibile dell’anima, Emma riporta la traccia ipnotica della ritualità fraterna, immerge l’origine tangibile delle relazioni, riconosce la solidarietà nella sua alleata collettività, ripercorre il cammino della continuità che congiunge la consolazione della sua famiglia alla ripresa del proprio bene. “Terra madre” interpreta la sensazione della nostalgia, modula la consapevolezza delle possibilità individuali, diffonde l’intonazione e il sostegno del retaggio spirituale, offre al lettore l’esortazione a scoprire tra le pagine l’insegnamento introspettivo della nostra espressiva matrice congenita, della fermezza della volontà e della influenza evocativa dei rapporti familiari. Incrocia la contingenza inesauribile della felicità con il ristagno inevitabile dell’infelicità, si scontra con la sofferenza e con la rarefazione della gioia di vivere. Intreccia la serenità della memoria con la melmosa ipoteca del presente, denuncia il danno della velenosa verità e la crudeltà di Taranto, ammalata e inquinata. Mariangela Tarì rivede il carteggio del passato, impiega il suo talento narrativo per la fondamentale aspettativa della salvezza, alterna gli accordi e la coscienziosità dei contenuti con l’incostanza morale di una città aggredita dalla tossicità e dalle contraddizioni, ma anche paesaggio incondizionato di ogni consolidamento interiore positivo.
Rita Bompadre