Non è impresa facile scrivere di un tema complesso e doloroso come la malattia di Alzheimer, specie nel periodo attuale fatto di paura e restrizioni, rendendolo addirittura salvifico. Mariapia Veladiano c’è riuscita con il suo ultimo romanzo Adesso che sei qui editato nel gennaio 2021 da Guanda (pagg. 265 euro 18,00).
Eppure l’autrice non ci risparmia la descrizione dell’evolversi del decorso della patologia degenerativa attraverso la regola delle quattro A: dall’amnesia iniziale fino all’aprassia, incapacità di compiere gesti anche semplici affidandosi alla voce narrante di Andreina, nipote di Zia Camilla, l’ammalata. Una narrazione chiara, fluida, come deve essere per arrivare al maggior numero di lettori al fine di informarli, anche quelli allarmati, dell’approccio più corretto nei confronti della gestione del tedesco, così viene chiamata la malattia che già dal nome teutonico incute apprensione. Quello che la Veladiano ci propone è arrivare alla consapevolezza di non cercare una via di fuga, ma di cura. Vivere accanto a un ammalato porta a interrogarci circa l’atteggiamento d’assumere, cresce il timore del giudizio degli altri e si creano mascheramenti come alibi, come se l’invecchiamento degenerativo, con i problemi che comporta, fosse una colpa.
«Se non si vede non c’è.»
Tutte le paure e le incertezze vengono qui analizzate scartando i rimedi spesso contradditori dei vari medici specialisti a favore di quello che deriva da apprendimenti sul campo, attraverso la cognizione degli errori fatti e delle soluzioni da adottare, come gli orologi con ore addomesticate a ritmi più salutari. Così le medicine, palliativo per chi accudisce l’ammalato, più che per quest’ultimo, vengono poco a poco eliminate per puntare non su ciò che si è perso nella mente, ma sulla vita che rimane.
«I sentimenti verso gli altri non cambiano, si liberavano delle convenienze.»
Oltre la malattia, c’è molto di più in questo romanzo. C’è il mondo contadino, l’amore per i fiori, la natura, gli animali, la propria casa e le persone. Uno spazio dove si muovono Andreina, nipote cresciuta e vissuta come figlia dalla Zia Camilla, con una madre per troppo tempo anaffettiva e un padre trasparente, lo zio Guidangelo ‘un principe con gli scarponi’, Teo, il marito ‘aggiustatutto’, le due donne fuggite dall’Africa e dalle loro storie di dolore, veri angeli custodi della Zia, i bambini di una di loro, con la leggerezza e allegria tipica di quella età, il Trentino attraverso il suo dialetto e le tre assistenti del Progetto Alzheimer. C’è la contrapposizione di due mondi così distanti, l’uno costruito sull’essenziale, l’altro sul superfluo.
Da una autrice che ha vissuto decenni come docente e, successivamente, come dirigente scolastico, non potevano mancare frequenti accostamenti al mondo della scuola. Alla fragilità e al disordine di molti studenti, che poi sono gli stessi della nostra vita, alla ricerca di una diagnosi che circoscriva il tutto e ci rassicuri, agli errori commessi dagli insegnanti nell’usare parole negative perché c’è il pericolo che diventino premonitrici. Spesso in aula, come nell’Alzheimer, la cura consiste nel non fare, nel non sostituirsi per non mortificare le abilità presenti. Insegnamenti basati sull’esperienza. I migliori.
Dobbiamo essere grati all’autrice perché leggere questo romanzo è apprendere l’arte del vivere.
Ne è consapevole Andreina che affermerà:
«Zia Camilla ci ha permesso di diventare tutti migliori.»
Carla Magnani