Al posto della mano destra, Mario Bellatin, ha un’allegoria d’acciaio. Mutilato in una battaglia che si è consumata prima che nascesse, esibisce protesi affilate, uncini, come un pirata o un assassino.
Scrittore indefinibile, ha vissuto tra il Perù (dove è nato) il Messico e Cuba.
Inizialmente vicino agli ambienti accademici messicani, si è poi allontanato. Poeta, scrittore, performer e regista cinematografico, Bellatin appartiene a quella schiera di creativi capace di sfuggire a qualsiasi definizione.
Poeta cieco, portato in Italia dalle edizioni Arcoiris, nella collana Gli eccentrici curata da Loris Tassi e tradotto da Raul Schenardi, è un racconto allucinato.
Qualcuno riporta questa storia. Una persona che non si presenta, ci parla di una bibbia chiamata Il Quadernetto delle cose difficili da spiegare in cui il Poeta cieco ha dettato tutti i suoi precetti.
Uomo dalla leggendaria saggezza, il Poeta cieco ha camminato a lungo, per tutto il paese. In ogni villaggio si è fatto presentare i vecchi e con loro ha dialogato. Tornato alla capitale, all’università ha conosciuto la donna che gli darà la morte. Prima però fonda una religione che un uomo chiamato il Pedagogo Boris contribuirà a diffondere. Esiste un culto dei nei e una donna nota come la Straniera Anna che ne possiede uno molto ricercato, grande e peloso.
Allucinato, questo racconto è un sogno che al risveglio lascia una strana sensazione. Tutti i personaggi sono strade senza uscita. Bellatin ci racconta i fatti senza farsi coinvolgere. Tutti gli omicidi, la violenza, viene privata della componente sentimentale. Bellatin si rifiuta di abbellire i suoi personaggi, di renderli umani, piuttosto ce li consegna come riesumati. Una fossa comune dove le storie sono ridotte a ossa di storie, e ogni corpo ridotto al minimo perché il lettore possa distinguere un personaggio dall’altro.
La letteratura è un orfanotrofio, tutti gli scrittori sono dei rifiutati, senza patria, senza genitori. Al vuoto che sentono alle spalle, si può reagire in diversi modi.
Oggi, a me sembra che negli Stati Uniti, in Europa, gli scrittori sempre più spesso cercano di essere compresi, sono gatti addomesticati in casa, si piegano verso il pubblico, offrono le loro pagine accorate sperando di essere accettati, amati, conservando un atteggiamento da bambini deprivati.
I latini, invece, hanno conservato una certa riottosità. Come quei ragazzi menomati o troppo cresciuti che hanno perso la speranza di essere adottati, questi scrittori si esprimono in maniera violenta e scorbutica. La casa editrice Arcoiris e i suoi collaboratori, stanno cercando di portare a casa questi ragazzi perduti, eccentrici e disperati. Li raccolgono tra le letterature del mondo che il mondo ignora. Bellatin è uno di loro, tra i migliori di loro, tra i più pazzi e indomabili, nel suo Poeta cieco non c’è nessuna voglia di coinvolgere il lettore. Il suo è uno sperimentalismo crudele, autolesionista, come quello di Alberto Laiseca, di Macedonio. Qualcuno ha voluto vedere in questo racconto efferato, la parabola di Sendero luminoso, il partito peruviano di ispirazione Maoista che si oppose al governo militare uccidendo più di 18000 persone in vent’anni. Bellatin non ha mai smentito questa ipotesi. La terra in cui vive è talmente piena di sangue che ogni racconto di morte trova agio nel composto realtà/fantasia/delirio/dolore.
Non assomiglia a nessuno, questo Poeta cieco e di tutti i racconti dell’orrore questo – dentro la vostra anima – lascerà un neo.
Pierangelo Consoli
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Mario Bellatin, Poeta Cieco, Edizioni Arcoiris, 2022, Pp.80, Euro 12.