Si entra con passo vellutato nel nuovo romanzo di Mario Fortunato, Vita immaginaria di un alloro edito per Aboca Edizioni nella collana Il bosco degli scrittori. Viene di ispirare a gran petto mentre scorrono i paragrafi, non per esigenze di prosa, semmai per il desiderio di regalarsi il tempo di una riflessione in più. Il piacere -ormai quasi un privilegio- di rallentare il tempo, perdersi nei ricordi, abbracciare un’ipotesi di destino che ci è stata o ci siamo preclusi.
Ognuna delle storie pubblicate nella collana di questo editore sposa l’etica meritoria del rispetto, dell’ecosostenibilità e, come tutti gli altri titoli editi e in uscita, prende spunto da un albero particolare. Nel caso di Fortunato, come si evince anche dal titolo, l’alloro: baricentro strategico per raccontare una storia di anime sparse per il globo, le cui decisioni prese nell’arco delle loro esistenze sembrano rimandare inconsapevolmente all’epopea mitologica di Dafne e Apollo.
Di presente e passato dunque, di balzi nel tempo e viaggi tra terra e mare è impastata la materia di questa vicenda il cui pretesto, un fattaccio di cronaca accaduto anni prima tra le mura di un istituto salernitano, si fa miccia per appiccare fuoco alla domanda primigenia: quanto il narratore è responsabile delle reazioni scaturite dalla sua parola?
«Non avrei più ripensato al professor Marco Ferro, se non avessi appreso la notizia della sua morte. Quando mi fu raccontata, la storia del professore e del suo allievo Yussef mi colpì per motivi che non saprei spiegare neppure oggi. C’era dentro di tutto: l’amore e la solitudine, i conflitti di classe, il razzismo, la mezza età che diventa un tormento e quel tempo crudele e ignobile che è l’adolescenza; c’era dentro il continuo trasformarsi di ogni cosa in qualcos’altro che è dissimile e insieme identico.»
La vicenda è nota a tutti. Il giovane Yussef, tunisino tredicenne, all’apice della sua scoperta identitaria, accusa il suo professore di violenza sessuale. Accadde anni prima, nell’istituto dove insegna Federica Ruffo, amica e compagna di liceo del protagonista. L’evento scuote l’intera comunità, sollevando un caso mediatico che resta impresso nella mente della donna oggi complice inconsapevole, con il suo racconto, di aver dato vita a una nuova ramificazione di situazioni. Saranno infatti le sue parole, durante una rimpatriata tra ex compagni di liceo, a ridestare nella voce narrante un tramestio di ricordi e verità che per troppo tempo il nostro si era ben guardato di lasciar sepolti nella “camera oscura dei pensieri”.
Potrebbe dunque non apparire troppo azzardato considerare questa Vita immaginaria di un alloro, un racconto generato dagli stessi racconti di cui si compone. L’autore calabrese è magistrale nel riuscire a imbastire un intreccio di situazioni e personaggi, le cui scelte e azioni paiono sovrapporsi nell’istante di una percezione. L’evocazione genera una sequenza di reazioni, un domino di esistenze o, ancor meglio, un groviglio di rami di quel maestoso alloro le cui foglie sinuose, ammalianti quanto respingenti, altro non sono che lo specchio di una rinuncia.
Viene da interrogarsi in prima persona, allo stesso modo dell’innominato narratore, sulle sliding doors che non si sono prese, sui moti del cuore sedati in favore dello status sociale, su tutti quei “preferirei di no” di cui si compone una vita. A tirare in ballo l’ipotesi della pedofilia, alto sarebbe stato il rischio di oscurarne i toni generali, abbassando il tutto alla cinica sterilità dello strllone giornalistico ma l’abilità di Fortunato sta proprio nel circoscrivere il peccaminoso cedimento (se mai davvero si è compiuto) nel selciato dell’ipotesi, senza mai appesantire, semmai irrorando la parola di un ossigeno a cui pare impossibile rinunciare, voltata l’ultima pagina.
«Simili agli esseri umani, da cui sono perlopiù popolate, anche le storie hanno poche scelte a disposizione, perciò tendono a ripetersi.»
Rimandare a una riflessione è ciò che ci si dovrebbe aspettare da un testo riuscito, permetterci di viaggiare tra le sue trame e i sottotesti, la naturale evoluzione. Ecco dunque che nel muoverci tra Calabria, Tunisia, Londra, Roma, il viaggio -reale e metaforico- si compie, passando continuamente dall’intimità di una domanda interiore alla volontà di restituire una “nuova vita immaginaria” al giovane Yussef, finalmente astenuta da ogni giudizio, da ogni influenza o stortura che uno status sociale instabile può generare ed è in questa esposizione ipotattica che il testo guadagna in eleganza, senza mai precludersi a una cadenza ariosa e dinamica che rimanda all’epicità della fuga ninfesca.
Eccoci quindi richiamati al cospetto del quesito iniziale e in tal caso la risposta non può che essere affermativa: Lo scrittore è responsabile ed il testo qui presente ne è la riprova tangibile, perché le sue reazioni restano anzi, riverberano, come onde circolari, protratte nel tempo, pronte per essere raccolte e tramandate ad un nuovo giro di vite.
Stefano Bonazzi
#
Vita immaginaria di un alloro
Mario Fortunato
Aboca – Il bosco degli scrittori
16,00 euro — 192 pagine