Era storia quella distorsione fantastica della realtà? La trasformazione in mito e in finzione di fatti reali e concreti? Era quella la storia che leggevamo e studiavamo? Gli eroi che ammiravamo?
Si intitola Tempi duri il nuovo romanzo di Mario Vargas Llosa, portato in Italia da Einaudi, come tutta l’opera dello scrittore premio Nobel 2010. Si tratta di un libro parente de La festa del caprone (romanzo del 2000), non solo per una certa continuità di personaggi (Trujillo, Abbes-Garcia), ma anche – soprattutto – per respiro e ambizione.
Sono libri senz’altro belli, Crocevia e L’eroe discreto, però di ampiezza sicuramente più limitata. Non una ampiezza di pagine, ovviamente, piuttosto di intenzioni, di disegno strutturale.
L’apertura del romanzo è affidata a un prologo, appena poche pagine che piantano il seme degli avvenimenti che verranno dopo. Inizia tutto dalla United Fruit, multinazionale americana nel commercio della frutta, soprattutto banane, e da un uomo in particolare: si chiama Edward Bernays, è un esperto di pubbliche relazioni e ha un problema da risolvere.
Il Guatemala, che per molto tempo è stato controllato dalla United Fruit grazie all’appoggio di dittatori corrotti, ha da poco iniziato a muovere i primi, timidi passi verso la democrazia. Nel 1951 viene eletto presidente Jacobo Arbenz, ex ministro della difesa nel precedente governo.
Punto cardine del suo mandato è una riforma agraria che comporterebbe una ridistribuzione più equa delle terre e, inoltre, cosa forse ancora più importante, la fine dei privilegi di cui la United Fruit ha goduto fino a quel momento. Questo, ovviamente, la multinazionale non può permetterlo.
Ecco allora che Edward Bernays ha un’idea: diffondere tramite gli organi di stampa, locali ed esteri, la notizia (falsa) che in Guatemala il presidente Arbenz vuole instaurare un regime di stampo comunista, portando così il paese a diventare il grande collegamento tra Unione Sovietica e America Latina. L’obiettivo è far sì che gli Stati Uniti decidano di intervenire, stroncando di fatto il governo Arbenz.
Il resto del racconto è tutta una conseguenza del breve prologo iniziale. Si lascia al lettore la vista su un concatenarsi di eventi che dal Guatemala si allargano a tutta l’America latina.
È un po’ come osservare il diffondersi di un virus: noi lettori vediamo pian piano in che modo l’infezione si propaga alle fondamenta dell’ordine politico del continente, lo popola di dittatori – per lo meno, lì dove ancora non c’erano – fino a distruggere una qualunque ipotesi di democrazia. Anzi, peggio: fino a rendere l’idea stessa di democrazia un qualcosa da guardare con sospetto, un processo politico pensato con sfiducia.
E tutto per gli interessi economici di una singola multinazionale. Fa quasi impressione, a libro finito, andare a rileggerne l’inizio, vedere da dove ogni cosa è partita.
È una storia nera, quella di Tempi duri, una storia di violenze, di colpi di stato e complotti, di sicari e omicidi. Si alternano continuamente primi piani e totali, l’andare più narrativo viene spesso spezzato da pagine quasi saggistiche, nelle quali Vargas Llosa ricostruisce la storia recente del Guatemala e dell’America Latina tutta. Ci mostra il forte intreccio tra potere e vita privata, indaga le sensazioni degli uomini e delle donne che quella storia l’hanno fatta, vivendosela addosso.
Tra questi personaggi c’è Marta, Miss Guatemala la chiamano tutti. Marta è una figura che questa storia la attraversa, potrebbe esserne addirittura un simbolo, un paradigma: un personaggio, sedotto da idee rivoluzionarie in principio ,che finisce poi, dopo varie traversie, per essere sostenitrice delle dittature.
Noi lettori la incontriamo all’inizio e la vediamo poi ricomparire qui e là nel racconto, protagonista in disparte di molti degli accadimenti che hanno luogo nel libro. Sarà amante di politici, informatrice della CIA, fuggitiva, sarà molte cose. Proprio a lei viene affidato il finale del romanzo, quando storia e finzione, realtà e pagina scritta tornano a coincidere.
In Tempi duri la tecnica letteraria è portata ai suoi esiti più alti. Come ogni libro di Vargas Llosa, è un capolavoro di montaggio narrativo: impressionanti sono l’uso dei dialoghi, delle distorsioni nella sequenza temporale, dei salti spaziali, delle storie che si sviluppano dentro altre storie.
Ci sono eventi che vengono raccontati prima di sfuggita, poi ripresi più avanti da un’altra prospettiva, salti avanti e indietro nel tempo, e addirittura eventi che vengono raccontati in contemporanea, nello stesso flusso di dialogo, pur appartenendo a tempi diversi. Ogni sua opera è un’architettura pressoché perfetta, senza sbavature, sostenuta da una prosa semplice e funzionale, capace di adattarsi a registri e voci diversi senza diventare mai invadente.
Pur ambientata in anni lontani, quella raccontata in Tempi duri è una storia attuale: parla di noi, del nostro tempo. È grande, grandissima letteratura, di quella che merita di essere letta, ragionata, riletta ancora
Edoardo Zambelli
Recensione del libro Tempi duri, di Mario Vargas Llosa, Einaudi, 2020, pagg. 328, € 20.