Questo numero di Freeman’s, che arriva in libreria per le edizioni Black Coffee, conferma il grande valore della rivista letteraria quale strumento di scoperta del reale.
Come nei volumi precedenti, i contributi qui riuniti vanno dal racconto, al saggio, alla poesia. Gli autori coinvolti provengono da ogni parte del mondo e alcuni di loro sono tradotti per la prima volta in Italia, mentre altri sono già noti qui da noi per il prestigio della propria opera. Tra questi: Alejandro Zambra, Ocean Vuong, Sandra Cisneros, Julia Alvarez, Lauren Groff, Aleksandar Hemon e Mark Strand, che ospitiamo quest’oggi con una poesia per gentile concessione dell’editore.
Il tema attorno al quale John Freeman li ha invitati a scrivere è quello del Cambiamento, ora che questa parola, con la pandemia, ci chiama a riflessioni, responsabilità, crisi e reinvenzione di noi stessi. Leggendo queste pagine ci si imbatte in vite raccontate al contrario, si conosce Galileo: non l’astronomo, ma il figlio appena nato del poeta Joshua Bennet, ci si siede dove si gioca d’azzardo e al fianco di madri che iniziano a morire per tornare le bambine che erano.
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Mark Strand
Il treno di notte
Questo è il treno di notte per l’interno, e quello sono io
in piedi al finestrino a fissare il buio sempre più fondo
in cui la culla gialla della luna sorgerà.
Ho poco più di vent’anni e fumo una Kent perché
una volta ho visto Richard Wilbur fumare una Kent. Il treno
scorre lungo il bruno corpo convoluto di un fiume,
sfiora filari di alberi che rabbrividiscono al nostro passare,
supera una casa con un’unica luce accesa. E adesso
il treno rallenta, sta per arrivare in stazione,
e quello sono ancora io, indosso un cappottone di tweed
un tempo appartenuto a Mr. Wimsatt, e mi appoggio
con tutta la forza al vento. Non c’è niente vento.
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Traduzione di Damiano Abeni