Le api (nota n. 18)
È stato Maeterlinck a farmi conoscere le api. (nota n. 19)
Intendo dire da un punto di vista psichico e poetico. Una faccenda nei confronti della quale già in precedenza avevo avuto una certa familiarità. Parlo di quand’ero un ragazzino. È strano che mi torni in mente una questione di così tanto tempo fa… più o meno una sessantina d’anni.
Gli studiosi delle api ne parlano sempre al femminile. Il fatto è che tutte le api che contano appartengono a quel sesso. In un alveare c’è solo un’ape che si sposa, ed è chiamata ape regina, e genera cinquantamila figli, dei quali un centinaio maschi, e le altre tutte femmine. Alcune di queste figlie sono giovani domestiche, altre sono zitelle, e tutte sono vergini e tali rimangono.
Ogni primavera, la regina esce dall’alveare e vola via con uno dei suoi figli e si sposa con lui. La luna di miele dura solo un’ora o due; poi la regina ripudia il marito e torna a casa ed è in grado di deporre due milioni di uova. Una faccenda che andrà bene per tirare avanti per un annetto, ma è appena appena sufficiente, perché ogni giorno vengono annegate centinaia di api, e altre centinaia se le mangiano gli uccelli, e spetta alla regina mantenere la popolazione al livello necessario – diciamo, cinquantamila individui. La regina deve sempre avere a portata di mano quella quantità di figli, che, durante l’alta stagione, cioè in estate, devono anche essere in con- dizioni di efficienza, altrimenti in inverno la comunità si troverebbe a corto di cibo. Dunque, la regina depone duemila o tremila uova al giorno, secondo le necessità; e deve anche stare attenta e non deporre più uova di quante siano necessarie per un piccolo territorio di raccolta del polline, o un minor numero di uova richieste invece per un territorio più ampio, altrimenti il consiglio d’amministrazione la detronizzerà ed eleggerà al suo posto una regina dotata di maggior buon senso.
In magazzino, ci sono sempre alcune eredi reali, poche, pronte a prendere il suo posto e anche più che desiderose di farlo, sebbene lei sia la loro madre. Queste ragazze sono tenute da parte, e sin dalla nascita vengono nutri- te e curate in modo regale. A nessuna, tra tutte le altre api, viene riservato un cibo così buono come quello che ricevono loro, e nessuna vive così alla grande e in mezzo al lusso. Di conseguenza, sono più grosse e più lunghe e più belle rispetto alle sorelle operaie. E hanno anche un pungiglione ricurvo, a forma di scimitarra, mentre quello delle altre è dritto.
Un’ape comune può pungere chiunque a destra e a sinistra, ma quelle reali pungono solo le altre api reali. Un’ape comune può pungere e uccidere, per giusta causa, un’altra ape operaia, ma quando è necessario uccidere la regina vengono impiegati altri modi. Quando una regina è diventata vecchia e flaccida, e non depone più uova a sufficienza, a quel punto una delle sue figlie reali è autorizzata ad attaccarla, mentre il resto delle api rimane a guardare il duello e controlla che tutto si svolga secondo le regole.
Nel duello le due api usano il pungiglione ricurvo. Se una delle combattenti si trova in difficoltà per cui rinuncia e fugge, è riportata indietro e deve provare di nuovo – una volta, forse due; poi, se fugge di nuovo per salvarsi la vita, la sorte che l’attende è una condanna a morte; le sue figlie s’ammassano tutte come una palla intorno a lei, e la tengono in quella stretta compatta per due o tre giorni, finché la poveretta non muore di fame o per soffocamento. Nel frattempo l’ape vincitrice riceve gli onori reali ed esegue l’unica sua funzione – cioè deporre le uova.
Per quanto riguarda l’etica dell’assassinio per regolare la sentenza di morte della regina, beh, si tratta di una faccenda politica di cui tratterò successivamente, a tempo debito.
Durante tutta la sua breve vita che è di cinque o sei anni, la regina vive sostanzialmente in un buio degno di una piramide egizia, immersa nella maestosa solitudine degli appartamenti reali, non avendo nessuno attorno se non dei servitori plebei, che le riservano solo una vuota e finta devozione, un rispetto meramente formale, invece dell’amore di cui il suo cuore è affamato; che la spiano a favore delle sue eredi che sono lì in attesa, e riferiscono le sue mancanze e i suoi difetti, esagerandoli; che la adulano e la lusingano quando le stanno davanti ma poi a sua insaputa la calunniano; che le strisciano davanti fin- tantoché è potente per poi abbandonarla quando diventa vecchia e debole. Ed eccola lì che, senza amici, è insediata sul suo trono durante tutta la notte della sua esistenza, completamente tagliata fuori, dalle barriere dorate del suo terribile rango, da ogni solidarietà che la consolerebbe, da ogni dolce compagnia e da ogni amorosa tenerezza che invece desidererebbe ardentemente; una povera e abbandonata esule nel suo stesso palazzo e nella sua tana, mero oggetto di formali cerimonie e di una venerazione meccanica e puramente formale, figlia alata del sole, nata per l’aria libera, per il cielo blu e i prati fioriti, ma condannata dallo straordinario caso della sua nascita a svendere quella principesca eredità, quell’inestimabile patrimonio, in cambio di una buia reclusione, a una grandezza fatta solo di orpelli, e a un’esistenza senza amore, alla fine della quale l’attendono solo mortificazione e oltraggi, e una morte crudele – e per giunta condannata, a causa di quanto c’è in lei d’istinto umano, a considerare come una cosa preziosa quel pessimo affare!
Huber, Lubbock, Maeterlinck – anzi, tutte le grandi autorità in materia – concordano nel negare che l’ape sia un membro della famiglia umana. (nota n. 20)
Non so il perché sostengano una cosa del genere, ma penso che sia per motivi fondamentalmente disonesti. Perbacco, gli innumerevoli fatti portati alla luce grazie ai loro accurati ed esaurienti esperimenti dimostrano che se al mondo esiste una creatura più stupida di qualsiasi altra, ebbene, costei è proprio l’ape. Non mi sembra che ci sia ombra di dubbio. Ma è così che fanno sempre gli scienziati. Trascorrono trent’anni ad accumulare una montagna di osservazioni solo con l’intento di dimostrare una certa teoria; poi si compiacciono per il loro successo trascurando completa- mente la cosa più importante di tutte – e cioè che quella montagna dimostra in realtà qualcosa di completamente diverso dalla loro teoria. Quando allora a uno di questi scienziati segnalate l’errore che hanno commesso, costui non risponderà mai alle vostre lettere; quando andrete a trovarlo per cercare di convincerlo, il domestico vi sbarrerà la strada e voi non riuscirete a entrare. Gli scienziati hanno un modo di fare odioso, tranne quando ci si dichiara fanatici della loro teoria; a quel punto si riuscirà anche a farsi prestare del denaro da loro. Per essere del tutto onesti, ammetto di buon grado che di tanto in tanto qualcuno di loro in realtà risponderà alla vostra lettera, ma quando si degnano di farlo, comunque sia svicoleranno di fronte alla contestazione – non si riesce mai a inchiodarli. Quando ho scoperto che l’ape aveva caratteristiche assolutamente umane, in merito a questo punto ho scritto a tutti quegli scienziati che ho appena citato. Quanto a svicolamenti, in tutta la mia vita non ho mai veduto nulla di simile alle risposte che ho ricevuto.
Quanto a importanza, nell’alveare, il personaggio che viene subito dopo la regina è la vergine. Le vergini sono in tutto cinquantamila o centomila, e sono le lavoratrici le api operaie. Tutto il lavoro che viene eseguito, all’in- terno o all’esterno dell’alveare, sono loro a svolgerlo. I maschi non lavorano, la regina non lavora, a meno che il deporre le uova non debba considerarsi un lavoro, cosa di cui, però, dubito fortemente. Comunque sia, nel complesso sono due milioni e hanno tutte cinque mesi di tempo per portare a termine il contratto, secondo i termini. Nell’alveare, la distribuzione del lavoro è studiata con la stessa intelligenza e specializzazione come avviene in una grande officina meccanica o in una grande fabbrica americana. Un’ape addestrata per una delle numerose e diverse attività cui è stata assegnata non sa fare null’altro se non quello che è di sua competenza, e considererebbe un’offesa se le venisse chiesto di dare una mano in una qualsiasi faccenda che vada al di là della propria specializzazione. È altrettanto umana come lo è un cuoco; e chiunque sa cosa accadrebbe se si osasse chiedere a un cuoco di servire a tavola… Un cuoco arriverà a suonare il pianoforte, se glielo si chiede con cortesia, ma non va oltre. Tempo addietro, chiesi a un cuoco di tagliare la legna, per cui so come vanno queste faccende. Anche le braccianti stagionali che dànno pure una mano in casa hanno i loro limiti; lo ammetto, tali limiti sono alquanto vaghi, non perfettamente definiti, addirittura flessibili, ma ci sono. E non si tratta di una congettura ma di una realtà che si basa su un principio assoluto. E pure il maggiordomo. Provate a chiedere a un maggiordomo di lavare il cane. Le cose stanno proprio come dico io; si può apprendere moltissimo in questo modo, senza dover ricorrere ai libri. I libri vanno benissimo, per carità; ma i libri non coprono l’intero campo della cultura estetica umana. L’orgoglio per la propria professione è uno dei pilastri dell’esistenza, se non il pilastro per eccellenza. Senza dubbio avviene così nell’alveare.
Mark Twain
Note del testo inedito
n. 18 – Titolo originale: The Bee, 1902 ca.
n. 19 – Maurice Maeterlinck (1862-1949) è stato un poeta, drammaturgo e sag-
gista belga, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1911. Un aspetto particolare e meno noto della produzione di Maeterlinck è costituito da vari
saggi naturalistici pubblicati durante il primo trentennio del Novecento, diversi
dei quali furono tradotti anche in Italia. I più noti sono quelli compresi nella trilogia sugli insetti sociali (api, termiti e formiche). L’opera a cui qui Mark
Twain fa riferimento è La vie des abeilles (La vita delle api) pubblicata nel 1901.
n. 20 -François Huber (1750-1831), pittore e anche naturalista, autore anzi di una storia naturale degli uccelli di rapina, compì importanti ricerche sui costumi degli insetti, e in modo speciale sulle api, su cui redasse un’opera (Nouvelles observations sur les abeilles, Parigi e Ginevra 1792) molto nota e apprezzata. Par- ticolarmente degno di menzione è il fatto che, pur essendo divenuto cieco, egli continuò i suoi studi con l’aiuto della moglie e di un fedele servo ch’egli indirizzava alle osservazioni che mano mano riteneva si dovessero compiere. Anche suo figlio Pierre (1777-1840) si occupò di entomologia, e particolarmente studiò i costumi delle formiche su cui pubblicò un volume (Recherches sur les mœurs des fourmis indigènes, Parigi e Ginevra 1810) che sollevò molto rumore per le notizie nuove che conteneva e che parvero a quel tempo fantastiche, ma che vennero successivamente confermate da altri ricercatori. John Lubbock (1834-1913) fu un archeologo e banchiere britannico, notevolmente influenzato nei suoi studi da Charles Darwin. Autore di volumi archeoantropologici come Pre-Historic Times (Età preistoriche, 1865) e Marriage, Totemism and Religion (Matrimonio, totemismo e religione, 1911), per primo suddivise la preistoria in Paleolitico e Neolitico. Si occupò anche di studi zoologici, con particolare riferimento alla vita degli insetti sociali, come nel volume Ants, Bees and Wasps (Formiche, api e vespe, 1882).
Il racconto Le api, inedito assoluto in Italia, è contenuto nel volume Addomesticare la bicicletta (Mattioli 1885), a cura di Livio Crescenzi, in uscita oggi nelle librerie.
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Si riporta qui di seguito una parte dell’articolo di Gian Paolo Serino su Mark Twain, uscito nelle pagine culturali del quotidiano Il Giornale in data 11-11-2019 con il titolo:
Mark Twain? Con la sua ironia voleva mandare tutto in “fumo”
“… Addomesticare la bicicletta, Mattioli 1885 (pagg. 140, euro 10; traduzione di Livio Crescenzi), raccoglie un gruppo di testi risalenti agli anni 1899-1902 e che toccano gli argomenti più diversi: da Richard Wagner all’insegnamento dell’inglese a scuola, dalle api come esempio per l’essere umano alla allora “diabolica bicicletta”(quella con la ruota anteriore grandissima) sino alla dissertazione sul tabacco. Dissertazione sul piacere di fumare ma al contempo anche un’accusa modernissima su un mondo commerciale – e dove lo stato tassa anche i vizi pur di guadagnare – dove i consumatori sono più attirati dalle marche che dalla effettiva qualità”.