Marta Barone, già autrice di libri per ragazzi al suo esordio narrativo per Bompiani con Città sommersa (pagg. 304, euro 18) semifinalista al Premio Strega 2020, attinge nel suo romanzo a quella memoria familiare e collettiva che tutti abbiamo e sovente risulta difficile indagare. Una memoria quella di Marta che affonda le radici nella storia del padre Leonardo prima che lei venisse al mondo e si intreccia alla storia d’Italia, nello specifico gli anni Settanta nella Torino delle lotte politiche e delle rivendicazioni operaie. La narrazione prende il via quando il padre non c’è più, con il ritrovamento casuale di una memoria processuale scritta a difesa del genitore che nei primissimi anni Ottanta era stato processato, poi assolto in Cassazione, per partecipazione a banda armata per aver curato in quanto medico un militante di Prima Linea rimasto ferito. Sarà questo rinvenimento a fare sì che Marta si ponga nuove domande sull’identità del padre, ripercorrendo con un meticoloso scavo nel tempo fatto di testimonianze, ricordi di amici, parenti e compagni di partito, gli accadimenti di un recente passato in cui lei non era nata.
Quel padre “sconosciuto”, come tutti i padri possono esserlo ai figli prima della loro venuta al mondo è, insieme alla ricostruzione della storia degli anni di piombo, il tema portante della narrazione. Dei nostri genitori sappiamo quello che gli stessi ci raccontano o non ci raccontano, vedendoli attraverso la lente “falsata” del ruolo di figlio. Ma chi sono stati prima che venissimo al mondo? Marta Barone trova parole precise: “Di lui non sapevo granché. Oltre al fatto che quando siamo giovani ci limitiamo a constatare che i nostri genitori esistono…”.
L. B. diviene personaggio della narrazione, come Marta, protagonista e voce narrante, che cerca, parte, cammina per le strade ancora ignote di una Milano dove si è da poco trasferita, e ancora riparte, interroga, accumula reminiscenze e documenti dell’epoca come i volantini di propaganda, catalogando informazioni che riportano a galla aspetti sommersi di L. B. come il periodo che visse a Roma dove fu leader del movimento studentesco e il trasferimento a Torino dove avvenne l’incontro con il partito marxista-leninista (Servire il popolo), che imponeva ai suoi membri una disciplina piuttosto rigida anche nella vita privata.
La Città sommersa del titolo può intendersi allora come la Torino vista e descritta attraverso un rinnovato sguardo che contempla i luoghi delle lotte, degli scontri, della Fabbrica, ma soprattutto si riferisce a L. B., figura leggendaria che emerge nella sua interezza una volta ricostruite parti sommerse di vita: L. B. militante della sinistra extraparlamentare, medico benvoluto nell’ambiente proletario, mosso da ideali di uguaglianza sociale in cui ha creduto fino a che gli è stato possibile, che “quando qualcuno aveva bisogno si faceva in quattro per essergli accanto”. La leggenda della città di Kitež citata nel romanzo che si racconta viva ancora, sott’acqua con tutti i suoi abitanti, diventa metafora di una antica memoria che emergendo dagli abissi fa in modo che L. B. venga completamente ri-visto. Una scrittura incisiva quella di Marta Barone, frutto di attenta documentazione che con l’espediente della narrazione esplora il reale, una scrittura garbata e poetica per la bellezza che le pagine attraverso il ricordo sprigionano, lasciando al lettore la sensazione che il passato è cosa viva se si ha il coraggio di vederlo per quello che è, parte di noi e della storia complessa e contraddittoria che ci riguarda tutti.
Silvia Castellani
Recensione al libro Città sommersa di Marta Barone, Bompiani, 2020, pagg. 304, euro 18.